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Colpi di coda

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Affiochite o semispente

le luci della città interiore -

prendi un cammino ignoto

che sgrana frane di fuliggine.

Di vele e remi il moto è messo ai ceppi

forse da un Dio che non ti ama

forse dal Caso che non si dichiara.

Eppure l’asperità caparbia del respiro

eccita tuoi obsoleti lembi

a remare verso il Capolinea detestato.

È questa l’umanità del Fato:

vedere l’invisibile – ignorare il prevedibile

e poi – forse - volere l’irrefutabile.

Misterioso nel tempo e nella prassi

fu impresso a caldo il Fato

con cadenza irreversibile

sul rigoglio di appetiti inoculati –

ancora un poco vivi – adesso rastremati –

che paghi a boccate d’aria stanca.

 

 

Era l’alba appena quando ti raggiunse

come rivelazione la Novella.

Il tempo fiammante di sorprese e giochi

era tuo - senza frontiere - a verde aiola:

senza patemi potevi vagheggiare

la tua assenza priva di spavento –

come bigiare una giornata a scuola.

Rassicurata: avresti avuto ali -

se morta - e ogni bene mondano

avresti beatamente sorvolato –

così come - mentendo - la nonna

ti persuadeva che volando da lassù

avrebbe seguito ogni tua gioia

ogni tuo verde spasso su ogni prato

ogni tuo dubbio sul mondo di quaggiù.

 

 

L’ingordigia e la deità di Crono

chiudono in mito l’angoscia della specie.

Ma tuo è il tempo faticoso della coda:

non resta che andare rimanendo -

a soffi e sbuffi - in folle il cardias –

smaniosa in fondo a un letto -

divisa in ansie contrapposte:

se affrettarti alla Stazione ovvia

o fingere di scucire al Fato esoso

una o più soste speranzose …

Come se il semplice Poi

potesse con le spine dare rose.

Come se quel Poi potesse aprire

il chiuso pugno per donarti d’un colpo

- ora! – quel bene senza nome -

quello  non confessato –

che al Poi segretamente hai riservato -

come saldo di conto –  per altro scampo 

dalla finale sorte.

Inutilmente!- come sapevi e sai.

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