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Quella volta che (7)

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… tra i regali di nozze ricevetti tre servizi da 12, molto raffinati, di tazze da tè e due servizi di bicchieri a calice di cristallo finissimo per un totale di 72 calici, nonché due servizi di piatti in fine porcellana, uno di posate con la placchetta in oro zecchino e quattro servizi da caffè, tra cui anche uno di Richard Ginori decorato in oro.
Adoravo quei regali! Li guardavo e intanto sognavo d'invitare le amiche a prendere il tè nel mio salotto bianco e passare, così, ogni tanto, pomeriggi "tra donne" a parlare di ricette, di vestiti, di lieti fine settimana, di gite e di vacanze.
Gite, vacanze, fine settimana che, tra parentesi, non ci sono mai stati.
( Sarà perché non ho mai avuto amiche? Forse o chissà…)
Già mi vedevo, a preparare gustosi manicaretti e servirli in bellavista su quelle porcellane e m'immaginavo complimenti e applausi alla cuoca.
Auspicavo calici alzati e caffè da offrire a numerosi ospiti.
Invece soltanto pochi parenti hanno brindato con quei bicchieri, mangiato in quei piatti e con quelle posate e sorseggiato i miei caffè. E lo hanno fatto fino a quando, un giorno che probabilmente la mia luna girava al contrario, mi ruppi le scatole d'invitare tutti, di lavorare come una schiava negra per Pasqua e Natale, per l'ultimo dell'anno o Capodanno, per la Befana e i compleanni senza ricevere in cambio neppure uno spicciolo di aiuto dopo i bagordi.
(Le mamme e le suocere che ci stanno a fare?)
Ricordo il giorno successivo al mio rientro a casa dall'ospedale, dopo una settimana di degenza per il parto di mia figlia: una domenica pomeriggio in cui mi ritrovai sparpagliati per la casa parenti e colleghi, tutti matti per la bambina, tutti assetati di spumante, tutti golosi di pasticcini e tutti bisognosi di un caffè!
A sera, tutta quella marmaglia mi lasciò, con tanti saluti, baci e auguri, in una casa che sembrava un reduce di guerra e con una bambina di una settimana che ancora non sapevo tenere in braccio.
Mio marito ed io ci guardammo avviliti e, mestamente, ci rimboccammo le maniche. Tra un pianto e un pannolino da cambiare, una poppata e una ninnananna, alle due di notte, finalmente, potemmo andare a dormire. La mattina seguente, mio marito andò a lavorare ed io mi ritrovai sola e sfinita con una neonata e le fatiche di un parto recente sulla pelle.
Alcune mie conoscenti sono state un mese in pigiama, dopo il parto, coccolate dalla mamma, altre sono tornate alla casa paterna per farsi aiutare, altre, oltre all'aiuto della mamma, avevano anche l'ostetrica a domicilio e la babysitter (a pagamento!)
La mia decisione di non invitare più i parenti fu dunque ben motivata.
Così i miei servizi da tè, caffè, piatti e bicchieri solo rimasti soli e derelitti insieme a me.
Si dice “meglio soli che male accompagnati, no? E sia, allora!
Però… nemmeno uno straccio di amica o di amico vero e disponibile. E non avere amici è peggio che stare chiusi nella vetrina per anni, inutilmente come quelle stoviglie, stanche anch’esse di essere solo belle e inutili stoviglie.
Neppure colleghi di lavoro da invitare, perché fui costretta a licenziarmi, rifiutandosi, le nonne, di darmi una mano con la bambina. Eppure il mio era un lavoro part-time e non le avrebbero impegnate più di tanto!
No! Io sono più derelitta di quelle stoviglie!
Almeno loro hanno me, che di quando in quando provvedo a lavarle e a rimetterle a posto, magari in una diversa disposizione, tanto per movimentare e giustificare la loro esistenza.
Nessuno, tranne mia figlia, giustifica la mia. E’ tantissimo,lo so, ma non è tutto, ahimè.
E allora?
Allora vorrei essere un oggetto da vetrina, ben conservato.
Un’inutile teiera, per esempio.
Ma felice, perché, di quando in quando, qualcuno giustificherebbe la mia esistenza.




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