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al testo di Marina Pacifici
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La tenerezza che nell’infanzia mi negavi,
nel dedalo dell’indifferenza ti trinceravi. Una bimba dal muto canto, il deserto della tristezza a celare il pietrificato pianto. Una figlia di cristallo, dimenticata e trasparente. Nel tuo sguardo indifferente avvampava l’ira, la furia inclemente, nel cuore d’un bimba dilagava l’incendio sconcertante della paura. Le lacrime infantili orfane d’una tua carezza, che non sbocciò mai i tuoi occhi chiari, trasparenti il gelo grigio azzurro d’alpini nevai. Il sorriso in lugubre cruccio deturpato, il gioioso canto dell’infanzia in silente prigionia soffocato. L’abbraccio profumato di dolcezza che sempre hai omesso, nel cuore ferito ho suggellato. Spietata valchiria forgiasti la mia argentea armatura, la mia strenua combattività di Pentesilea ogni giorno alla guerra, nella frenetica furia. Ed ora che l’anima nella fucina della memoria, ustionata erra…. Ora che nella torre d’avorio del nulla t’ho relegata, avverto ancora l’eco delle lacrime lo stillicidio dolente di quand’ero indifesa bimba, prigioniera della tua lucida follia. Ora che sei impotente con la tua fatale frenesia. Ora che da lontano nella solitudine siderale, di te mi sento carnefice e rea, per te provo infinita, commossa pietà, misera Medea. |
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