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damore in sicilia, storie damore nellIsola delle isole

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E dà per li occhi una dolcezza al core/ che ‘ntender no la può chi no la prova recita il sonetto più celebre di Dante che sviluppa magistralmente  la polarità occhi- cuore così diffusa nel “sistema” stilnovistico. Non vi si sottraggono i sedici protagonisti maschili (tutti stregati dalla “bella persona” delle donne in cui fatalmente s’imbattono) delle storie d’amore raccontate da Antonino Cangemi in “d’amore in Sicilia”,  il cui titolo sollecita nei latinisti la memoria di una regoletta grammaticale , e, forse, nei musicofili  di un vecchio album di Francesco Guccini: “D’amore morte e altre sciocchezze”.

Certo è che il binomio amore-morte costituisce da sempre, dopo quello occhi-cuore,  un altro tòpos della letteratura amorosa. L’argomento è così vasto che, a volerlo sviluppare, richiederebbe una galoppata per tutto il territorio letterario, e non solo italiano. Una così ossessiva reiterazione è, ovviamente, cosa assai diversa da quella che segna, oggi,  la fine violenta di molte  donne, (sebbene tre di queste storie raccontate dall’autore si concludano con l’assassinio di altrettante “eroine”), così da essere diventata un fenomeno di patologia affettiva e sociale di cui molto si parla;  in quanto la morte messa in scena dai letterati possiede, piuttosto, un connotato psicologico intimamente radicato nello stesso fenomeno dell’innamoramento fulmineo e passionale, che ha tutto il carattere di un evento drammatico, capace, inizialmente, di sconvolgere i sensi e l’anima, per poi acquietarsi all’interno di una più tiepida affettività. La maggior parte di queste storie, infatti, dimostra che tanto più ardente e calda è la fiammata iniziale, tanto più velocemente essa finirà con l’estinguersi, taluna non reggendo nemmeno all’affiochimento causato dalla lontananza, talaltra trasformandosi in un rapporto  “addomesticato”,  inserito all’interno della quotidiana routine di coppia.

Si potrebbe, forse, filosoficamente ragionare sull’impossibilità del cuore umano di reggere a lungo la sovrabbondanza nella presenza dell’amato/amata,  e perché, al contrario, essa lieviti fino ad uno strazio senza fine nell’assenza e nell’impossibilità del possesso, ma non è certamente questo che c’interessa indagare, adesso.

È, invece, cosa da sottolineare come Cangemi stabilisca con le protagoniste di queste storie amorose, mentre le va raccontando con un linguaggio cristallino e sensibile,  una relazione di empatia, ammirandone quell’ardire che le ha spinte a trasgredire regole morali e sociali che avrebbero voluto soverchiare  la loro  pienezza sentimentale, il loro diritto alla felicità ed alla libera scelta. Queste donne, ribellandosi alle convenzioni per amore, diventano, infatti,  soggetti attivi della propria vita con insospettabile determinazione, dimostrando l’ipocrisia di certi clichés anche quando falliscano clamorosamente od operino con apparente o voluta crudeltà.

In questo senso va letta anche la storia d’amore fra Vitaliano Brancati ed Anna Proclemer: in essa, infatti, sebbene la figura più tenera e pura e dolente  sia quella dello scrittore siciliano,  anche la notissima attrice opera una scelta di passione e di libertà che la “costringe” a scegliere la sua arte sacrificando l’affetto e l’attrazione per un uomo a cui scrive, dopo la sua morte: “Mi manchi Nuzzo. Mi manchi terribilmente”.

Di tutte queste storie immagino che la maggior parte dei lettori, e non solo siciliani, sapessero già molti particolari, e, tuttavia, credo che raramente fossero in grado di calarle  correttamente  nel  loro tempo,  avendone assorbito più la trama sentimentale che i risvolti storico-sociali. Ecco, allora, che questo libro, corredandosi di documenti e testimonianze, affrescando in modo rapido e vivido l’ambiente sociale ed il clima storico in cui quegli amori ebbero origine, serve a sottrarli all’indeterminatezza della fiaba e a farci riflettere anche sulle trasformazioni del senso morale e perfino del diritto avvenute in un arco molto ampio di tempo, ché la più antica di queste storie si svolge nel sedicesimo secolo e la più moderna è giunta fino a questo nostro tempo, poiché proprio due giorni fa, il 23 di Novembre,  si è spenta, all’età di 102 anni  Topazia Alliata, che  con il suo Fosco Maraini ha vissuto, come scrive l’autore, “avventure fantastiche” e “atrocità inenarrabili”.

Tra tutte queste storie,  l’unica di cui io stessa sia stata testimone per molti anni è quella fra Nat Scammacca e Nina Di Giorgio, avendo fatto parte dell’Antigruppo siciliano (di cui lo scrittore americano fu un grande animatore)  ed avendo frequentato la loro casa alle pendici del monte Erice anche dopo la fine di quell’avventura culturale anche per me assai  importante. È stato quello fra Nat e Nina un amore difficile, accompagnato da molti dolori, come evidenzia Cangemi, e solo apparentemente conclusosi felicemente con il ritorno di Nat in Sicilia dalla moglie Nina, dopo un’intensa relazione con una donna scozzese da cui lo scrittore ebbe una figlia. I traumi emotivi, infatti, segnarono per sempre la psiche di Nat e il rimpianto per la figlia lontana, che mai più rivide,  gli spezzò il cuore, specie dopo che la speranza di un incontro fu distrutta da una telefonata in cui la figlia ormai maggiorenne, che aveva già prenotato il volo per raggiungerlo in terra di Sicilia, gli ebbe a comunicare che non sarebbe più partita:  paura di mettersi in gioco? Di modificare la relazione con un padre che non ricordava nemmeno? Nat si è spento rifiutando negli ultimi anni di ricevere amici, chiuso nella sua solitudine e nei suoi ricordi, tra i suoi amati libri.

Mi scuserà l’amico Nino Cangemi se ho voluto aggiungere questi dettagli, ma immagino che questa storia bellissima e dolorosa debba ancora essere raccontata in tutta la sua verità, magari  con il supporto di più numerosi documenti e di testimonianze dirette di amici e familiari. Per farlo, forse, ci sarà bisogno che altro tempo trascorra e sciolga reticenze e silenzi.

Un’ultima cosa desidero scrivere: che l’atteggiamento di Cangemi anche di fronte a certi personaggi non del tutto limpidi è sempre pacato, non giudicante. Egli osserva e descrive, piuttosto, gli stati d’animo dei  suoi protagonisti con una misuratezza che attutisce perfino gli accadimenti  violenti, con una intelligenza del cuore umano che lo tiene lontano da ogni superflua volgarità. Mai egli scivola – e potrebbe essere un rischio facile in un libro come questo -  nel voyeurismo, ricordando a se stesso ed ai suoi lettori che ogni persona, ogni sentimento, è degno di rispetto profondo.

 

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