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Il giardino di Elio Pecora

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Il generoso dono della critica alla storia  

 

 

Il complesso rapporto tra l’oggetto del giudizio e la sua storicizzazione costituisce un campo d’indagine diuturnamente irrisolto o, comunque, sempre prossimo a nuove soluzioni, come dimostrano le posizioni assunte dalle correnti neo-estetiche dell’ultimo torno del XXI secolo. Tuttavia, anche a richiamare le pasoliniane «descrizioni di descrizioni» o gli assunti teorici di Nelson Goodman e di Arthur Danto, un’opera letteraria ha bisogno della critica non già per sopravvivere, ma per inverare la sua occorrenza nel pubblico dei lettori: tra il testo letterario e la sua disamina vi è il medesimo rapporto che, filogeneticamente, interviene tra una categoria generale e la sua manifestazione in re o, in altri termini, la stessa relazione insistente tra il type e il token. Va fatta, però, un’importante correzione: il discorso epidittico acquista valore quanto più si lega alla continua frequentazione del suo soggetto.

In questo assunto giace il valore di Il giardino di Elio Pecora, il saggio di Anna Maria Vanalesti che, oltre a essere una ben nota autrice di testi dedicati alla letteratura italiana generale e contemporanea, ha lungamente seguito l’oggetto della sua indagine, tentandone un’esatta collocazione storico-storiografica. Questo lavoro, infatti, rappresenta sia la prima monografia su una figura di spicco della letteratura italiana degli ultimi quarant’anni sia un ulteriore tassello ecdotico per l’aggiornamento di Lo specchio. Storia letteraria del Novecento e Duemila, un’operazione che, per onesta acribia, Vanalesti ha spesso rimodulato allo scopo di mettere ordine nel complesso panorama della produzione letteraria italiana degli ultimi due secoli.

Il giardino di Elio Pecora coinvolge la biografica parabola della formazione intellettuale dell’autore fino a chiudersi in un’importante crestomazia di specimina, ognuno preceduto da un analitico e tecnicamente esauriente cappello introduttivo. Pubblicato in occasione degli ottant’anni di Pecora, il lavoro assume il carattere di uno ‘specillo ermeneutico’ di fondamentale importanza per avvicinarsi all’opera di uno scrittore talmente versatile da vestire i panni del poeta – per primigenia e specifica vocazione –, del romanziere, del critico letterario – si pensi a La parola immaginata – e, non da ultimo, quelli del curatore dell’opera omnia di Sandro Penna.

Ebbene, a fronte di un soggetto così ampio e complesso, nell’opus di Pecora Vanalesti rinviene, con la consueta e adamantina chiarezza stilistica, una lunga serie di elementi tuttora taciuti da una ponderosa messe di saggi critici che, limitandosi alle singole produzioni del poeta,  non ha finora assunto la consistenza di una monografia interamente dedicata a tutta la produzione dello scrittore.

Dall’umorismo sapienziale di Tutto da ridere alle scaltrite volute metriche ed epifonematiche di Favole dal giardino e di Simmetrie, il saggio comprende osservazioni puntuali sulla drammaturgia (pp. 47-51) e il sistema linguistico di un autore che, per quanto legato alla tradizione letteraria otto-novecentesca, sperimenta – prova ne sia L’occhio corto – un dettato poetico a metà strada tra la prosa e la poesia e, a volte, costruito con le soluzioni tipiche della prosa numerosa.

Soffermandosi su un tema caro a Pecora – e comune, ad esempio, a Giampiero Neri (Teatro naturale) e Annalisa Manstretta (Gli ospiti delle stagioni) –, quello del giardino come luogo falsamente edenico ed emblema della società degli uomini e degli artisti, Vanalesti analizza una forma di poesia nella quale «verso dopo verso il poeta realizza e inventa il suo giardino, si ferma in esso, lo occupa e si lascia occupare, ne accetta le regole» (p. 15). Tuttavia, ben lontana dal coinvolgere in un’unica analisi tipologica tutta l’opera di Pecora, il critico si serve del tema del giardino per organizzare l’asse interpretativo della propria disamina. In fondo, poiché ogni argomentazione scientifica deve partire da un’ipotesi, questa della Vanalesti costituisce l’abbrivio di un percorso analitico fortemente legato sia all’autopoiesi dei testi esaminati sia alle pubbliche conferenze dove lo scrittore ha spesso richiamato l’agone mortale tra le specie animali e vegetali che occupano il medesimo spazio d’esistenza. La metafora del recinto, tanto cara al poeta da informare un’opera come Recinto d’amore, viene assunta dalla studiosa quale crivello con cui escogitare un processo argomentativo che non deroga dalla ricerca lessicale all’interno dell’opus: dalla rilettura e ‘ri-attualizzazione’ del mito di Narciso ai motivati richiami alla poetica di Leopardi e di Pascoli, Vanalesti rinviene un preciso sostrato lessicale nel sistema della scrittura di Pecora. Un capitolo di rilievo della monografia è Il sistema linguistico, dove, dopo un corollario teoretico esemplato sulla scrittura leopardiana, sono individuate le portanti paradigmatiche di una Weltanschauung che impone adeguate opzioni metriche, sintattiche e lessicali senza le quali la cifra del poeta non sarebbe riconoscibile.

Il giardino di Elio Pecora è un saggio fondamentale, nonostante la sua collocazione cronologica lo sottoponga a nuove informazioni, specialmente dal punto di vista semantico. Infatti, per quanto l’ammissione del carattere sistemico della lingua possa sembrare un truismo, sul fronte lessicale l’esistenza del ‘sistema lingua’ è da sempre messa in discussione dal fatto che non esiste ancora una chiara idea della natura strutturale della semantica delle parole. Ciononostante, come ci insegna il lavoro di Vanalesti, la rassegna delle occorrenze, coonestata dall’individuazione di alcuni campi semantici, attende allo scopo di individuare la cornice, il brain frame entro il quale si muove la percezione del mondo e della vita trasfigurate dalla poetica di Elio Pecora. Il riconoscimento di arcilessemi quali ‘casa’, ‘sonno’ ed ‘eguale’ consente al critico di rastremare lo ‘spazio linguistico-emotivo’ del poeta, semplificando il proteiforme carattere gnomico dell’opera di questo autore. Di ciò siamo ben avvertiti da un’importante dichiarazione di metodo: «Non stiamo ancora parlando di contenuti, perché questi sono latenti e incastonati in campi semantici precisi, che si allargano intorno a parole chiave, presenti in tutti i testi, come vertici di una composita griglia di valutazione, o quadro ottico, che il poeta applica alla realtà, in base alla sua scala di valori» (p. 23). Sulla scorta di tale asserzione, Vanalesti individua, nel ‘recinto epistemologico’ delle sue pagine, un nodo complesso afferente all’ultimo dei tre sopraccitati campi semantici. Nella ricerca verso l’altro, l’eguale in cui rispecchiare se stesso, per stemperare l’ansia della vita attraverso una condivisa medietas, il poeta costruisce un rigoroso bagaglio etico, senza però confinare la sua produzione in progetti simili a quelli del Canzoniere sabiano o della Vita in versi di Giudici (p. 38). In un certo senso, la lepidità della scrittura di Pecora risponde, come ci suggerisce Vanalesti, al progetto di inverare quella tanto agognata aspirazione alla leggerezza che, per parafrasare Italo Calvino, non solo è all’origine della comunicazione letteraria, ma rende la parola depositaria di un processo analitico puntuale e spietatamente sincero (p. 54). Così acquista titolo di grande merito, nell’economia del saggio Il giardino di Elio Pecora, il riferimento al «riso interiore» sotteso a opere quali Interludio, Per altre misure finanche Simmetrie; l’inedito e originale rilievo, considerato in relazione agli esempi delle Operette morali di Leopardi e alle soluzioni palazzeschiane, viene declinato dalla studiosa per comprovare la presenza di una funzione demistificante nella poesia dell’autore salernitano (pp. 41-44). Moralistica e paideutica, la cifra di opere quali Tutto da ridere e La società dei poeti collima con gli intenti degli apologhi delle Favole dal giardino, dove Pecora «rivela una verità ‘altra’ sull’esistenza, restituendoci però il senso del ridicolo, dello scherzo e dell’accettazione della vita» (p. 53). Innervandole nella plurimillenaria tradizione della favola versificata, Vanalesti consegna ai lettori una nuova interpretazione delle Favole, il cui sostrato creativo, riconosciuto ben lontano dalle umoristiche empatie pirandelliane, è assimilato, almeno per i contenuti, alle impressive immagini che occupano Myricae e i Canti di Castelvecchio di Pascoli e Il viaggiatore insonne di Sandro Penna. È per questo che, quasi a confermare la sua stringente argomentazione o, se si vuole, a dimostrare il proprio teorema, Vanalesti ci offre, insieme all’ancora parziale bibliografia critica sull’autore, una silloge di dodici testi editi e inediti trascelti all’interno dell’opera di un indiscusso protagonista del nostro attuale panorama letterario.

 

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