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Giornata internazionale
contro la violenza sulle donne | 25 novembre

#controviolenzadonne

Poesia della settimana:

VIOLENZA SULLE DONNE
Mariella Bettarini, (23/11/2015 12:00:00) »

CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE
Sette poeti, (25/11/2012 12:00:00) »

In occasione della "Giornata internazionale contro la violenza sulle donne", raccogliamo in un'unica pagina (questa), in tempo reale, i contributi di tutti gli autori sul tema; basterà inserire nel titolo dei componimenti, pubblicati nelle diverse sezioni de LaRecherche.it, l'hashtag: #controviolenzadonne (esempio, se il titolo scelto per il testo è La primavera, allora si dovrà scrivere: La primavera #controviolenzadonne).

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 Poesia [Δ]

Mimo
(25/11/2019 22:16:36) »

Il testo ha audio/voce
Maria Musik

*

Liberamente ispirato al suicidio di Daniela Carrasco, artista di strada nota come Mimo.
Non si sa se si sia tolta la vita e il suo gesto sia stato strumentalizzato dalle organizzazioni che guidano la rivolta popolare cilena o sia stata vittima di tortura e stupro da parte dei militari e, poi, impiccata ed esposta  per scoraggiare chi manifesta contro le politiche presidenziali.
Però, resta il fatto che l'uso del corpo di questa donna, che proveniva da una famiglia poverissima e aveva partecipato alla manifestazione di ottobre, sia stato efferato e brutale qualunque versione si dimostrasse attendibile.
E resta il fatto che si stia usando violenza sessuale politica contro altre donne.

Mimo

 

volevate il terrore negli occhi.

volevate il terrore negli occhi.

volevate il terrore negli occhi

che avevano sfidato il manganello

sotto una pioggia di proiettili

e non bastava il fumo dei lacrimogeni

per spegnerne la sfida.

Mimo era il mio nome

il nome del corpo che avete sfondato

forse a colpi di slogan forse a colpi di reni.

la mia morte usata e profanata.

il terrore lo avete avuto

e anche il mio povero corpo vi siete presi.

ma non la mia voce.

la voce di un Mimo

vale più di mille parole.

anche se mi avete suicidata

spezzandomi il collo

ed esponendomi come fossi un maiale macellato

dalla tomba dei secoli si alza il mio canto

si uniscono i gesti silenti

alla ballata delle sorelle morte.

spunteranno fiori neri dalla terra

che mi ha accolta come una madre.

il giorno della liberazione

risplenderanno i loro colori

esploderanno in tutti i cieli

invasi dai palloncini di Mimo

che era solo una donna

ma che per la causa

è stata martoriata.

Ophelia
(28/11/2015 13:07:09) »

Cristina Polli

*

Ophelia.

 

Avvinghia il pensiero

l’ombra che torna

per una questua di sopravvivenza.

 

Non cambiarle il nome:

per la caduta non ci sono appigli,

finzioni soccorrevoli di sorta.

 

Fuori trillano i passeri

E le cornacchie se ne stanno mute.

 

A quella scapigliata
(28/11/2015 10:43:36) »

Klara Rubino

*

A quella scapigliata scapestrata scalmanata
bambina che chiese aiuto e che
nessuno ascoltò.
...che la voce si autodivorò e che quelle
richieste d'aiuto mancate divorarono dal di dentro.

 

A quella ferita solcata da lacrime all'ortica
da una serena faccia di silicone nascosta.
...che sogna di essere figlia di qualcun altro,
magari correre tra le valli, la semplicità e la verità:
...l'infanzia.

 

A quella bambolina che vide la tenerezza trasformarsi
a passo felino in smania, ingordigia, violenza
e frantumarsi il quadro ideale e necessario
del parente caro e prossimo. Smarrita.


A quella donna che non sarà forse mai
davvero capace di amarsi davvero.

 

Farfalle in un barattolo
(26/11/2015 14:06:31) »

Tania Scavolini

*

Di ombre vestita

annusi l’ultimo schiaffo,

assaggi l’ultima lacrima,

ferita è l’anima,

derisa è la dignità.

Nel chiarore il ricordo

di quel che eri prima,

avvolta è l’illusione

in un cumulo di sberleffi.

Ripensi ai tuoi torti

di credere a chi non merita,

sensi di colpa galleggiano

nel fango del tuo orgoglio.

In un angolo il bagaglio

della tua intenzione:

dar volo alle speranze,

farfalle in un barattolo

impazienti di libertà.

 

 

Non resisto, non esisto
(26/11/2015 13:57:25) »

Tania Scavolini

*

Funerale di parole tra noi,

un corteo di miei “NON RESISTO!”

La bara del nostro amore sfila

seguita da muti sguardi.

Non accetti lo so, ma insisto.

Mi minacci e d’insulti mi ferisci,

in una manciata di secondi

di colpo capisci

che al capolinea della finzione

non ritorno.

 

-Cosa può pensare la mente

in un istante di follia?

Ma il tempo è perdente

e getta le carte a terra-

Hai vinto tu,

“Re”dalla corona di latta

e dalla vile spada.

 

Si fa buio a me intorno,

l’orrore del tuo gesto

impresso sul mio

“NON ESISTO”.

 

Stalking
(26/11/2015 13:50:44) »

Tania Scavolini

*

Voce tagliente al telefono,

una, due, tre, dieci volte

sempre lui, sempre il demonio,

ad ogni squillo s’imperla la fronte,

si gela il sangue, il cuore è un tamburo.

Di colpo lo vedi alla finestra,

è lì che aspetta fuori dal tuo rifugio,

vuole punire la tua ribellione,

vuole vuole vuole…

sconfiggere il tuo indugio.

Di nuovo uno squillo,

al telefono ora ti blandisce,

mansueto e tenero si mostra,

quasi di pena ti stordisce,

ti adula come un serpente,

per morderti di veleno insolente.

"NON TI ILLUDERE DONNA!

ANCORA I LIVIDI TI MARCHIANO LA PELLE"

Ti salva quel riflesso sul vetro

a ricordarti chi è,

a suggerirti di non fidarti.

È sera ora,

domani sarà un altro giorno di squilli

forse o forse no,

domani potresti anche morire...

 

Come sale sulle piaghe
(25/11/2015 16:46:00) »

Cristina Polli

*

Come sale sulle piaghe.

 

A ciò ch’è trattenuto fra le ciglia,

Nessuna conoscenza si compara,

Nessun sapere è posseduto meglio

della corrente che travolge le vene.

 

Dalle pieghe intime all’aria che

Respiro alla tua bocca,

Niente so con maggior sicurezza

del pugnale che trapassa la carne.

 

E se la carne non mi appartiene

mi attraversa la lacerazione,

lo scontro affilato di parole

versate come sale sulle piaghe. 

Lettere da Donetsk (a Nadezhda)
(25/11/2015 14:58:13) »

Stefano Peressini

*

Lettere da Donetsk     (a Nadezhda)

 

Nel breve mormorio

d'un temporale

si lasciano cadere

le ombre della sera

dai tetti scivolosi

all'asfalto delle strade

a sbriciolare l'orma

del fioco balenare

d'una luce diluita

in pozze d'acqua scura.

 

La trovi la città

che non vorresti

nei vicoli vissuti

a respirare tra i rifiuti

e le parole dure

tra cocci di bottiglia

e messe nere

corpi stropicciati

in calze a rete, sirene

taglienti come lame

sulla tua pelle nuda.

 

Dove porta quel tuo

peregrinare stanco

adesso che nessuno

ascolta l'instabile

frusciare dei passi

trascinati all'infinito

lo scendere le scale

accidentate dell'esilio,

l'avvicinarsi al nulla

sovraccarico d'angoscia.

 

     Al di là

     delle tue ciglia chiuse

     c'era una notte

     nuova e silenziosa

     il guizzo d'un sorriso

     da cogliere e sposare.

     Il battito del tempo

     il vento più leggero

     una mano a sollevarti il mento,

     i fiori a primavera.

 

Adesso è tutto scuro,

appeso a vecchie frasi

ai sogni derelitti

e a un conto da pagare.

Donne
(25/11/2015 07:55:17) »

Matteo Cotugno

*

Un altare su cui il rosso stempera
quel grido lancinante di rabbia
che percola nelle porosità del marmo,
la mia pelle vorrei fosse così
dura da non provare nulla
e impressa per sempre,
testimone di violenza,
indelebile martirio,
occhi che hanno visto l’orrore
avanzare senza sosta,
senza essere fermato
nell’indifferenza generale.
Scolpitemi qualsiasi data
ogni giorno è buono
ogni ora vale
ogni scusa giustifica l’abominio
la brutalità dei mille altari
eretti per noi.

un salto e basta
(25/11/2015 01:06:05) »

Nadia Chiaverini

*

un salto e basta
(25/11/2015 00:52:36) »

Nadia Chiaverini

*

Festa
(24/11/2015 23:45:02) »

Maria Musik

*

Me piacerebbe che 'sto giorno

nun fosse mai sortito da quel forno

che pe' tutti se chiama monno

anche s'è accuminato più che tonno.

 

Penza che bello arzasse domatina

e mettese alla finestra, là 'n cucina

a urlà co' tutto er fiato che c'hai 'n gola

oggi è la festa mia, dajè: se vola!

 

Invece, si se tratta de noi donne

è sempre 'na commemorazione de le gonne

strappate, carpestate e rinzozzate

de sborra, de sangue e de mazzate.

 

Tu me dirai: e la festa de la mamma?

Lassame perde, che nun è 'na manna

si er fijo vede che je se porta 'n fiore

'na vorta all'anno e l'antri ggiorni more.

 

Vojo 'na festa tinta e ripulita

che nun sappia de botte e de fatica

'n giorno intero che nun puzzi de morte

e che se senta cantà da ogni corte.

 

Ma visto che piovono bombe e cazzotti

invece de canzoni so' rintocchi

de 'na campana a morto ogni minuto

pe' 'na donna morta e 'n omo sordo e muto.

 

E lassamelo dì, puro si storci:

quello che me fa vedè verdi li sorci

è quanno chi t'ammazza e te tortura

c'ha propio la tua medesima natura.

 

Fa finta de nun crede e lì t'accanna

dovrebbe fa' la mamma e 'nvece danna

recita la parte de l'omo cazzuto

che gode solo quanno t'ha fottuto.

 

Te rinnego, feccia de la terra

pe' convenienza tradisci la sorella

pure si credi de portà i carzoni

sei 'na carogna senza li cojoni.

Era di notte
(24/11/2015 20:30:59) »

Fiammetta Lucattini

*

(A Franca Rame)


Ti hanno caricata come una vacca
riottosa, serrando le tue grida educate
con fazzoletti sporchi e la tua tragedia
è durata solo cinque stupri
sessisti, fascisti come sempre,
come allora come ora.
Ti ha salvato il coraggio, condiviso con Dario,
di denunciare e di non mollare
al silenzio l'infamia subita.
Anche le donne che non ti hanno
conosciuta trovano in te una laica
patrona contro ogni sorte di violenza
che non cessa di sfigurare la quotidianità.

a te stessa
(24/11/2015 19:24:46) »

Patrizia Sardisco

*

A te stessa

 

In alto, come bianchi zoccoli al sole

luccicano per un istante i pugni

prima di fondersi, a freddo,

con il tuo involucro molle e cedevole

di soffice pasta di pane.

Colpiscono schiantano abbattono, sfondano

il guscio al tuo albume che sfama illusioni,

e i sogni e fiducia e speranza,

le piccole lucciole ignare del poi,

quel tuorlo di te e del tuo sciocco stupore

che di nuovo davvero sia potuto accadere.

È te stessa che il tuo Io ora odia, disprezza,

quando cedi l’azione all’attesa zelante,

paziente: avrà fine.

È a te stessa che il tuo Io ora chiede perché,

quando un freddo mattone pietoso

solo rincuora il tuo viso.

Ecco l’ultimo colpo sfiancato: è una firma,

l’aspetti, e non fa quasi male.

Dolore e rumori sconnesse impressioni,

poi nitidi i passi e un tonfo, di là

dalla porta, il suo sonno di stanco guerriero rivela.

È te stessa il bambino che culli svegliato

dal sogno più nero: è nulla, dai dormi. Dormi, son qui.

È a te stessa che devi il soccorso, la fuga,

il respiro: salvezza. In silenzio lo urlano

i segni sul corpo che pregano, e pregano te:

partorisci te stessa alla fine, una volta!

E grida, dai grida, ma forte, dai grida

che ti sentano i sogni e fiducia e speranza

che accorrano, e ti portino altrove alla fine, una volta!

Ma è una supplica vana, smarrita

nel freddo viluppo di lacci che è trama e ordito

di una nuova bugia: e ricomposta che hai la tua tela,

ripieghi con cura e riponi al suo posto l’inganno

a te stessa.

La donna che credesti d’amare
(24/11/2015 16:37:07) »

Klara Rubino

*

La donna che credesti di amare
non era una dea, non un
territorritorio immacolato da
marcare, conquistare, possedere;
non una chiesa in cui trovare
rifugio, comunque; non una
schiava captiva che mantieni e che
ti serva e ti soddisfi, come tu
non sei un eroe mitologico,

un carnivoro felino, un antico guerriero,

un ribelle perseguitato,
nè re; ma sei un uomo.

 

Se ami una donna, guardala
attentamente
e impara da lei:
è così che le madri amano.
Ogni giorno spera
che il suo amore sia seme
e che non verrà dimenticato
e assapora ogni giorno,
occasione, preziosa,
irripetibile, per dare.

 

Se tu amassi così, non saresti
travolto dalla tormenta tremenda e terribile
del vicolo cieco.
Non manderesti in frantumi il cervello e con
il cervello in frantumi non
ne faresti a brandelli il corpo
impugnando e infilzando
un fallico coltello.

 

La donna che credesti d'amare
non è una magica orchiedea
che mai invecchierà da mettere
all'occhiello della giacca.
Non era una dea,
la donna che credesti d'amare, esangue,
nella salata ultima sfera di rimpianto,
ripercorre
il volto di tuo figlio
ad ogni alba
orfano.

Traccia la libertà
(24/11/2015 01:04:49) »

Liliana Ugolini

*

 

Traccia la libertà
il macigno inamovibile.
Voci del fil rouge
le scarpe rosse camminano.
Flash di lame a tacere
la violenza d’intoccabile livore
urla di schiume e gocce
sopra gli occhi. e l’impotenza
fa piccolo il sermone ripetuto
che vorrebbe aggiogare.
Stille della liberazione son nel groviglio
e la vittima conscia dovrà vivere
il futuro conquistato
senza rosso, senza scarpe
e con i tacchi altissimi di donna.

 

Io
(23/11/2015 22:16:52) »

Maria Musik

*

Io correva

correva lungo la riva

e trasmutava in vacca.

 

Orrore colava sul corpo di bestia

dai cento occhi che mai smettevano

che mai dormivano e sempre guardavano.

 

Che cosa pensavi mentre ripetevi

ti piace?

ti piace?

 

io sognavo lo ionico viola

per trasmutare la viscida schiuma bianca

in soffice spuma d’onda.

Il colore della notte #
(23/11/2015 19:24:21) »

Maria Allo

*

Fu viola quella notte

come fiori di bouganville

sulle mie tempie e dietro casa.

Incessanti sospetti di silenzi

mi esplosero lividi

in bocca e nelle crepe dei sospiri

come grappoli appassiti

furibonde raffiche

mi schiantarono fin dalle radici

[Ombre barriere fughe]

il vento frusciava indifferente

nell’ansimare d’un presentimento.

Perchè dovrei confessarti

il vortice del cuore

nel magma incandescente senza posa

perchè mai in agonia

mi parve sulla battigia

il rumore del mare

quando azzurro era il sogno quella sera

e tu come puoi conoscere

la misura dell’amore che non ha misura?

Ricordo tra un mucchio di pietre e l’infinito

sperso quel viola che ancora m’assale.

Ora capisco il colore della notte...

Le donne vanno e vengono
(23/11/2015 19:23:13) »

Nicola Romano

*

Se intendi donna

la sensazione è di viole schiuse

a quei primi tepori del buon tempo

quando nei cesti scoppiano i colori

delle ragazze scese al lungomare:

stanno coi fianchi d'acqua sotto il sole

come attesa di barche nel canale,

il gesto lento che agita e rinnova

fragranze d'erba smossa tra i capelli

 

Vengono dai cortili della luna

- giorni di pelle bruna ed occhi chiari -

a sciogliere gli accordi al cuore muto

(marea che abbranca il buio delle nottate)

Vanno come la sera ai suoi segreti

o nuvole di passo alla svernata

e l'aria poi si complica di suoni

di lumi pieni sopra la laguna

di stormi di conchiglie di allusioni

se intendi donna

                         anima

                                  avvenire

Soliloquio
(23/11/2015 11:20:03) »

Emanuele Di Marco

*

Il labbro è rotto, guarda, ed il rossetto?

Oggi non lo metto. Maledetto il giorno

che ti vidi. Perché gridi? quanto dolore

finora mi hai portato? Rinnegato

per nulla hai l'amor nostro, mostro, ecco, mostro!

Mamma dove sei? Ti chiamo.

Mi senti mamma? chiamo...

T'amo mamma che ora sei lì in Cielo.

Me lo dicevi sempre - è un disgraziato! -

ed io sciocca non t'ho mai ascoltato.

Piango in silenzio sullo specchio. 

Gonfio è anchè l'occhio. Io t'imploro, mammetta,

di lontano dammela tu una mano. Come ci vado

io così al lavoro? Che diranno le colleghe?

che risponderò loro? Le scale, anche stavolta?

oppur, sbadata, il comodino,

il solito pensile, il lavabo o il camino?

Ho sentito un rumore, mammina, ti saluto.

Un bacio sul labbro dammi di velluto e scappa.

La tua figliola, sfatta, trema. Ebbro è tornato

adesso l'orco delle nostre fiabe

- te le ricordi, mamma? di’ ricordi? -

il mostro che mi raccontavi

in favole ormai tanto lontane.

 

Indietro
(23/11/2015 09:59:19) »

Francesca Luzzio

*

                                                                                   INDIETRO

                                                                                          

                                                                                                     Alle donne offese e violentate

 

                                      Io non so che fine

                                      tu abbia fatto,

                                      né dove sei.

                                     

                                     Tocco le mie guance

                                      rugose e spente

                                      da cicatrici profonde

                                     come quelle dell’anima

                                     che non dimentica mai.

                                   

                                     Vado indietro con la mente,

                                     indietro  con i lamenti

                                     e la tua mano riappare,

                                     gigante, violenta.

                                 

                                    L’alito pieno di sgomento

                                    scivola come vento

                                    sul  vetro ormai bianco,

                                    poi..... si scioglie.....

                                    in rivoli di pianto

                                   che chiedono perché.

 

 

                                                           Francesca  Luzzio

 

Nelle tue mani madre
(22/11/2015 12:56:41) »

cristina bizzarri

*

 

Donne che danzano - Pittura rupestre

 

Nelle tue mani madre

il mondo -

pulsare nel tuo palmo

annuncia vita piena.

 

Casa di sbrecciate mura

donna,

fenditure millenarie

annunciano ferite nella carne.

 

Aprire porte all'eccomi -

verginità d’ascolto all'angelo,

annuncia anche orrore.

 

Nelle tue mani madre

il mondo -

parola arcaica tra rovine

annuncia ancora fumo.

 

Nelle tue mani madre

il mondo -

osare strappi al velo

annuncia nuova terra,

promessa oltre il deserto -

libertà.

Il motivo
(21/11/2015 14:18:19) »

Giorgia Monti

*

Il motivo #controviolenzadonne »
Questo testo è in formato PDF (127 KByte)

Rivivo terrore e gioia
(20/11/2015 17:20:53) »

Gabriella Gianfelici

*

 

Verdastra è stamane

la luce che sento.

Ogni goccia di me

intrisa d’erbe e di fiume

di pietre lanciate

per gioco:

aspettano nuovi richiami.

L’onda cattura lo sguardo

rapisce pensieri

trasporta con sé

afflati di soli desideri

e nebbia da spazzare.

 

 

 

 

RIVIVO TERRORE e gioia...

Chiudere la bocca… serrare i denti per non respirare così mi diceva così facevo non fare rumore non parlare non muoverti silenzio assoluto volevo sparire volevo morire uccidermi la stanza diventava pregna di odori di umori e sensazioni schifose, cosa dovevo ingoiare per vivere e perché dovevo vivere? Peggio di uno sgorbio mi sentivo la mia impotenza a chi gridare a chi scrivere tutto quello che stavo vivendo? Mi davano da mangiare come a dei maiali, anche loro così ricompensavano la mia infelicità, il mio mutismo la mia follia la mia paura…niente amavo di me grassa sporca violentata così lo specchio non potevo guardarlo, leggevo nomi di paesi lontani nomi di montagne lontane e io mi perdevo come un manichino in mezzo a fantasie un ‘altra famiglia un viaggio una scomparsa una morte perché nessuno moriva di quelli che dovevano morire? Perché soprattutto non morivo io? La paura restava attaccata ad ogni angolo della mia giornata a scuola pensavo al dopo, il dopo mi riportava alla mia situazione: solo la puzza sentivo dentro di me, con le mie narici e con tutto il mio corpo… Milarepa mi apparve una notte: alto, magro, una barba candida, uno sguardo luminoso...”non prendere quel sentiero, mi disse tranquillo e vibrante allo stesso tempo,quello è troppo tortuoso e lungo... l’altro, quello che è fianco al mio è più naturale a te, a come potrai vivere e forse rivivere... Bimba, molto bimba, ancora non conoscevo la scuola e neanche sapevo ancora leggere, da lì a poco mio nonno mi avrebbe insegnato la lettura e la scrittura, e Milarepa venne fuori ma nessuno poteva comprendere: era stato un mio sogno, una pre-veggenza?, non lo so , mi ha accompagnata per tanti anni e altre volte l’ho risognato.

Sentieri che non si sono mai incrociati, ambedue con destini poco luminosi come inizio alla vita, e poi, lentamente ma decisamente modificati in modo positivo...così ancora, a volte, Milarepa mi torna e leggendo il suo diario mi vedo passeggiare con lui nei prati erbosi e ricchi del Tibet estivo... Conosco troppo poco del mondo e non so se vorrò incarnarmi in Milarepa o se già io ne sia stata incarnata, se ognuno di noi ha l’involucro per nascere e poi, come cipolle, ci dobbiamo sfogliare per rinascere, allora sì, sono stata un pezzo della sua vita.

Riuscissi a sfruttare tutte le potenzialità del mio cuore e del mio corpo senza averne paura potrei toccare altri confini, quelli dove arrivo soltanto scrivendo e immergendomi in  altre sintonie, in altri profumi, in sentieri sconosciuti ai più, tuffarmi dentro un mare che non è soltanto azzurro mare, ma qualcosa di me che si scioglie e riemerge, e che si rituffa per poi

morire... rinascere... cambiare... per amare, soltanto per amare.

 

‘Donna: madre, sorella, amante’
(13/11/2015 16:33:27) »

Giorgio Mancinelli

*

‘Donna: madre, sorella, amante’

Madre
è sentire il battito del cuore
il pulsare regolare del respiro
la linfa che scorre nel reticolo venoso
il formarsi del piccolo corpo
che s’allieta in noi

è l’eremo ascetico del silenzio
il soffio vitale del labbro
adorno di vita
una pausa infinita
nell’approssimarsi del dubbio

è la paura devastante
che adombra la ragione
l’acuto del dolore
il grido liberatorio
il vagito primario del mondo

è il seno donato al poppante
che sugge gioioso
ciò che alla vita lo induce
nel corso degli anni
a venire

è l’animo quieto
nel levarsi della coscienza
nell’incontro col sole
il silenzio dell’infinito
che tace


Sorella

è immemore dell’ombra
dell’albero che abbiamo allevato
del sibilare del vento
che pur la distoglie
dal racconto della nostra venuta

non chiede libertà di vincolo
né giustizia di pace
nell’accogliere il fardello
della costola d’Adamo
nel proprio corpo diviso

è parte di noi come noi
siamo parte di lei
in assenza di verbo come noi
siamo presenza
del verbo ch’è stato

è lei che ci ama
che ci comprende e difende
è lei che ci consola
donandosi alla stregua
della madre ch’è stata

ancor prima che fosse
la foglia caduta dall’albero
ancor prima di giacere
sulla terra spoglia
a nuova germinazione


Amante

è il verso del racconto
‘l’ultima riga delle favole’
l’attrazione profonda
la percezione segreta
di ciò che i sensi incarna

è la forza misteriosa
la passione incandescente
la forza irresistibile
l’affetto significante
del disincanto

è l’incolumità amorosa
la ferita che si risana
l’infinitamente presente
il mondo delle infinite passioni
degli improvvisi ritorni

l’indissolubilità del desiderio
l’epilogo d’ell’odierno dramma
lei sorella, lei amica, lei amante
tutt’uno
con la natura che ci circonda

lei, lo scopo e la fine
che s'incarna nel tempo del sacro
che ci lega all'eternità di Dio
il segreto dell’estrema felicità
. . .
lei: eterna Madre

Feticismo
(13/11/2015 10:29:51) »

Marco G. Maggi

*

Questa paura è fetish

sa di piedi calzati

da scarpe col tacco

che la sera s’affrettano

nel buio di un parcheggio

posando gli occhi ad ogni ombra

 

La violenza si trova

nelle ciabatte di casa

che scivolano sulle piastrelle

tra le mura domestiche

 

e non c'è neppure un'ombra

per trovare riparo

 

 

In una casa
(11/11/2015 14:02:27) »

Serena Piccoli

*

Un giorno per caso entrai in una casa.

 

La tavola imbandita

preparata dalla figlia piccola

la madre sul letto depressa

il padre a letto nell’amplesso.

 

La piccola piangeva dentro

abbellendo la casa delle brutture

la madre depressa urlava

il padre nell’amplesso violava.

 

La piccola continuava

le sue manine fragili

creavano angeli di carta. 

 

La casa decrepita celava 

disperazione e violenza.

La madre inculcava aspettative

il padre inculava iniziative.

 

La piccola continuava

le sue manine fragili

creavano fughe di carta.

 

Ripassai un giorno in quella casa.

 

La tavola non più imbandita

derubata la figlia piccola

la madre chiudeva gli occhi

il padre apriva le mani.

 

La piccola piangeva dentro

imbruttendo la casa delle brutture,

la madre indefessa fingeva

il padre indefesso violava.

 

La piccola non continuava

le sue manine fragili

strappavano fiori di carta.

 

 

da: "Nata farfalla" di Serena Piccoli, WLM Edizioni, 2013

lacrime e campane
(11/11/2015 10:44:41) »

Carla de Falco

*

lacrime pesanti come campane

su guance di bambina imbronciata,

tanto più volo di altri sulla carta

ma nessun miraggio del futuro.

è lei, la ragazza che non balla,

la sola che da tempo l’ha capito

che s’invecchia presto e che non c’è più festa

lì fuori nella vita che ristagna,

nelle parole livide come edemi. 

lacrime e silenzi incidono

mordono la sua cera morbida

creata apposta per essere violata

mentre avanza cupo il rumore delle porte 

quasi inafferrabili farfalle

un battito prima della penombra.

 

Da Rime d’amore e di frontiera, Temperino Rosso Edizioni, 2015.

 

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La spugna
(09/12/2015 15:09:31) »

Giorgia Monti

*

Per qualche strano motivo, sin da piccola, ho sempre pensato alla vita come a una grande festa. Sì, una cosa colorata con musica allegra da ballare sempre e persone buone, buone sul serio, sorridenti, leggere, con facce da festa e anche vestiti da festa. Una cosa bella, niente da dire. Era con questa convinzione che chiudevo gli occhi prima di dormire ed era con la stessa sensazione che li riaprivo la mattina. Le cose storte le vedevo come semplici incidenti di percorso. Qualcosa che si sarebbe aggiustato da sé, irrimediabilmente votato al meglio, alla felicità, alla riuscita. Perché sarebbe dovuta andare in modo diverso? ... Già, perché? Alle elementari ho scoperto che studiare mi piaceva, essere brava mi piaceva. Ero un po’ più brava della media, non di tanto, ma un po’ di più. Ero anche un po’ più bella della media, non di molto, ma un po’ più bella delle altre bambine, di sicuro la più bella della mia classe. Anche questo non posso dire che mi dispiacesse, ma non me ne sentivo responsabile. Non avevo fatto niente per esserlo. Erano molti i maschi ai quali sentivo di piacere, non a tutti, certo, ma a una buona parte di quelli che oltre ai lego, i soldatini, il pallone, le corse e le risse avevano un principio di interesse per il mondo femminile, io piacevo più delle altre. A me più di tutti piaceva Michelino. Piccolo e brutto, con la carnagione olivastra, la faccia tonda e i capelli neri. Spesso anche gli occhi ce li aveva neri, non dentro, tutto attorno. A me lui lo diceva cosa gli succedeva a casa e io lo capivo che non era una cosa bella, solo pensavo che fosse possibile cambiarla. Era un incidente di percorso, qualcosa di sbagliato perché di sbagliare capita a tutti almeno una volta, ma poi la vita l’avrebbe messa dritta la cosa perché la vita è giusta. Per gli otto anni organizzai la mia prima grande festa di compleanno, a casa mia naturalmente. Avevo invitato la Jessica, la Lara, la Noemi, la Raffaella e anche la Monica. Dei maschi avevo invitato solo Michelino e Cristian che era simpatico e rideva sempre. Era tutto pronto, la torta, la tavola con i salatini e le bibite e le sedie tutte da una parte per poter giocare meglio. Cominciò a suonare il telefono. Non arrivò nessuno. Avevano tutte il mal di pancia, anche Cristian, dissero, ce l’aveva. Soltanto Michelino non si sapeva cosa avesse, ma non era venuto lo stesso. Restarono i parenti, pochi anche quelli. La separazione dei miei sembrava essere una roba complicata. Non per me, ci avrebbe pensato la vita. Decisi però che non avevo più delle amiche perché avere delle amiche era un incidente di percorso e io non avrei commesso lo stesso errore un’altra volta. Parlavo solo con Michelino anche se non era più come prima, non per via della festa, era che lui mi diceva meno cose di una volta e io me ne accorgevo. Allora pensai che forse in certi casi la vita ha bisogno di una spinta. Io lo sapevo dove abitava Michelino perché casa sua non era distante dalla scuola e lui mi aveva mostrato il cancello e io avevo notato una tenda della finestra scuotersi. Mi ci feci accompagnare un pomeriggio dicendo che ci saremmo trovati in un gruppo di compagne e compagni per fare i compiti, che erano le cose normali che facevano tutti gli altri bambini e bambine della classe, ma senza di noi. Non ebbi problemi con il campanello perché casa sua non era un condominio, ma una villetta con tutto il prato, i cespugli e degli abeti attorno. Mi stupii molto quando il babbo di Michelino disse alla mia mamma che era tutto a posto e che gli altri mi aspettavano dentro. Ricordo di aver pensato che la vita aveva aggiustato tutto e che il mio Michelino mi aveva organizzato a sorpresa una festa per rimediare a quel disastro completo del mio compleanno. In casa si sentiva odore di cavolo e un silenzio che era come una nebbia perché non mi faceva capire niente. Dove sono gli altri? Di sopra, mi disse, vieni, ti ci porto. Io non ero mica sicura di voler salire perché continuavo a non sentire niente, invece lo sapevo bene com’era quando i bambini e le bambine si trovano in gruppo. Non c’è nessuno che se ne sta così zitto neanche se stanno facendo le equivalenze. Michelino? Chiamai forte irrigidita sul primo gradino. La risposta che mi arrivò fu un ceffone enorme sulla testa, fra i capelli, dove se diventa rosso non si vede niente. Neanch’io ci vedevo più niente e l’odore del cavolo mi stava facendo venire il vomito o forse era stata la sberla o forse la paura. Sì, la paura, perché ormai avevo capito che Michelino non c’entrava per niente, anzi, non era nemmeno in casa e io che ero andata lì per salvarlo non avevo più scampo. Non sapevo che cosa sarebbe successo esattamente, però capivo che non era nulla di buono e quello che mi faceva più male era che in quella trappola mi ci ero ficcata con le mie stesse manine solo perché pensavo che la vita fosse tutta una festa e che quella avrebbe potuto essere la mia, in qualche modo. Quando tutto finì mi portò in bagno, mi lavò e mi rivestì con cura come fosse un altro. Poi mi prese per mano e mi riaccompagnò di sotto. Prima di aprire la porta avvicinò la sua bocca al mio orecchio e con una voce di ferro mi disse: se lo dici a qualcuno ti ammazzo. Io lo sapevo di avere sbagliato perché di sbagliare capita a tutti almeno una volta nella vita, ma non avevo voglia di dirlo proprio a nessuno che la colpa era tutta la mia. Era un incidente di percorso, mi ripetevo nella mia testa, non era niente. Fuori c’erano lo stesso prato e gli stessi cespugli di prima e lo sentii dire cose normali con voce normale alla mia mamma, così pensai che dovevo essere caduta da quelle scale e di sicuro avevo battuto forte la testa. Di sicuro mi ero sognata tutto, neanche il dolore era reale. Prima o poi io avrei avuto la mia vera grande bella festa. Ogni tanto mi sorprendo a pensarlo ancora adesso, qui, sul bordo della strada, quando l’inverno sferra i suoi colpi bassi e l’eroina in circolo è sotto quota e la cocaina è finita al primo servizio. L’unica cosa da cui mi sono liberata è la paura, sarà mica poco, mi dico. Però, davvero, non ho più paura di niente, non delle botte, non delle malattie, non di me stessa e degli errori e nemmeno degli uomini ho più paura. E’ da un pezzo che ho capito che la mia unica festa sarà la tomba, eppure l’altro ieri, quando mi sono incrociata la Monica e lei ha fatto finta di non riconoscermi, vi giuro che stavo per chiederle: ehi, ma per che cazzo al mio compleanno tu non c’eri?

 

 

©Giorgia Monti

La paura
(23/11/2015 17:58:57) »

Giuseppina Rando

*

La paura

 

 Rannicchiata nel letto, la donna suda per lo sgomento : la febbre divora il corpo del bimbo  il  cui volto diventa sempre più spento.

 Il padre nella stanza accanto è divorato dal male dell’io, corroso dall’oro, dal denaro e dalla passione di voler piegare tutto e tutti alla propria volontà, al proprio demone.

 Un  moto  incessante d’odio lo avvolge, per il figlio   malato , per la moglie che vuole curarlo.

   Non dice una parola, estraneo a tutto ciò che accade attorno, lontano all’amore che la donna vorrebbe offrirgli.

 Vortici di sentimenti, incapaci di trasformarsi in presenze costruttive, s’aggirano sotto le architravi  di silenzio che  sorreggono la dimora.  

 

 Per notti e notti la donna sta chinata sul letto, il suo corpo mezzo vivo abbraccia il corpo del figlio mezzo morto , s’intrecciano le loro ossa fragili sì da formare un’unica massa vivente.

La notte non ha fine e l’uomo è sempre là, con lo sguardo  di pietra ,il cuore avvelenato .

S’alza lentamente la donna, s’affaccia alla finestra: è buio fitto. Neanche una stella in cielo. La casa è isolata e la farmacia lontana.

 

E’ naturale vivere con la morte,  ma non è naturale  lasciare che il marito/padre, dalla stanza accanto ,  con gli occhi di pietra e il riso di Satana, ti rubi  il figlio.

Le pareti della stanza crollano sulle membra tremanti della madre, la risucchiano; cerca il figlio, non lo trova .   Gli ossicini del  bimbo  frantumati   dalla febbre e dal disamore del genitore  rientrano nel  ventre materno.

 In quel teatro di prigione però le ombre acquistano colore in quadri di speranza.

 

I resti   delle due creature avanzano con i giorni, corrono con le ore.

Anni e anni di lotta danno alla donna la coscienza che niente più può fermare il  viaggio verso i sogni che hanno riempito  sempre la sua vita.

Il desiderio di  smarrirsi nell’ideale  cade morbido sul suo fragile corpo come veste di seta e la spinge ad andare.

 

Il cammino è avvolto dalla notte, ma lei procede con sicurezza.

  All’improvviso i suoi passi vengono interrotti da una barriera: un mare immenso invalicabile le è davanti.

All’angoscia del limite se ne aggiunge un’altra: una marea di uomini a cavallo la circonda da ogni parte.

 E’ l’esercito dell’uomo dallo sguardo di pietra e dalla risata satanica dell’odio annientatore.

Davanti il mare, dietro Satana che incalza, ai lati il deserto, invivibile.

La notte rende ancora il mare più minaccioso, un manto fluido fatto di notte che fa riemergere paure  lontane: il terrore dello sguardo di pietra, il terrore  dell’uomo  che non conosce l’amore  .

 

Un intreccio magico di raggi , prima gialli, poi verdi, poi fosforescenti si staccano dal nero cielo, s’avvicinano sempre più, prendono  la forma di un veliero sottile.

 La donna   fissa la piccola imbarcazione a lungo e, come per incantesimo, si trova davanti  la  casa di un tempo, quando era solo una bambina.

Là si rifugia: è la  navicella dei sogni.

Un soffio di vento la solleva e la spinge verso l’inaccessibile ignoto.

 E’ leggera,   sfida la corrente, vola sulle onde. Cielo e mare  negli occhi della donna protesa verso l’orizzonte, tra le sue  braccia  torna il figlio emaciato, ma sorridente.

 

 Veleggia sui sogni la donna.

 Finalmente approda  nel porto di una città tranquilla .

 Il figlio, cresciuto, vuol  mettere i piedi a terra, insieme vagano per le strade e i mercati. Osservano  le vetrine di negozi mai visti: frutta, ortaggi, vestiti, gioielli,vasi : è tutto un luccichio di colori.

Madre e figlio si perdono  nelle cose, vogliono assorbire  con gli occhi tutto l’odore, il sapore , il colore del mondo. Il figlio ammira, annusa, tocca tutto ciò che può.

A volte le sue mani restano per lunghi minuti ad accarezzare la superficie lucida di una brocca di rame o quella rugosa di un’arancia. La madre lo lascia fare.

 Intorno tanto rumore e movimento di gente.

 

Tra la gente la donna scorge un uomo che la fissa con  lo sguardo di pietra, sono gli occhi del  nemico,   padre del bimbo inghiottito già una volta dal deserto e dall’odio .

Si sente penetrata dallo sguardo del  disprezzo gelido e le sue membra s’irrigidiscono, diventano  come pietre. E’ il nemico che  torna.

 Il terrore invade la donna che afferra il figlio e insieme corrono verso il porto.

 

“Ci sarà un’altra terra a cui arrivare ? “ chiede il ragazzo alla madre tremante, seduta sulla panchina del porto. Oscuro silenzio.

 Scende ancora  il buio  a sovrastare  ogni cosa.  La paura dell’uomo dallo sguardo di pietra paralizza  madre e   figlio, in perfetta simbiosi.

   Mente  e  arti bloccati.

Ormai andare avanti o tornare indietro è la stessa cosa per lei.

 

 E’ la  paura a distruggere  più dell’uomo dagli occhi di pietra, più dell’uomo che odia è la paura a distruggere.

E’ la paura il nemico più pericoloso, è lei la morte, prima ancora della morte.

Sulla panchina del porto resta seduta la donna, si trasforma in  statua di pietra , sul volto è scolpita la paura.

 Nella paura annegano i sogni, nella paura si spegne la vita .

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  Che succede?
(23/11/2015 20:41:13)

Gabriella Maleti

*

(inedito)

 

 

Quando il padre stringe il collo della madre

e la bambina guarda e la madre rovescia il collo,

tutto prosegue sulla linea di una domanda:

che succede?

L’incomparabile diviene comparabile a un

grido per la grossa onda del mare? Per il

coniglio appeso alle gambe posteriori in

attesa dello sbrego?

 

Il picchiare disastrato della bimba sulle

gambe del padre. Fermo.

Grida e grida.

Piccole mani a pugno, quelle, che si esercitano

per l’avvenire?

Può darsi che l’uomo smetta lasciando gola e

segni che diverranno violacei.

 

Ora silenzio, se non il respiro fitto-roco della madre,

e quello catalogato-rauco del padre.

 

Oh fiori, indescrivibili segni di speranza e

dolcezza, definibili occhi di bambina che

guarda e ricorda, balbetta le ingiunzioni

fuligginose del fu padre ordalico e i mali alla gola

della fu madre, ma non per i pollici che affondavano

nel suo collo, solo la lunga domanda: “Che succede?”

 

Ora il tutto tace e si rimprovera, tempo bastonato,

morto. A un passo, lì, dalla morte.

 

 

16 novembre 2015

 

23/11-30/11, settimana contro la violenza sulle donne, partecipa con un tuo testo: #controviolenzadonne ]

 

  vuoto d’amore
(23/11/2015 18:20:19)

Alda Merini

*

Ed era un mattino bugiardo

uno dei tanti mattini

in cui entrai in un nefasto sogno:

era un sogno di  pesanti paure,

di zolle devastate

era il sogno di un impossibile amore.

Le nostre mani furono disserrate

schiodate come le mani del Cristo

inutili furono i nostri abbandoni,

qualcuno ci ferì alle spalle

non so chi, non so chi

forse una forza umana

forse la forza del destino

forse tu stesso, amore,

mi hai colpita alle spalle

 

 

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  La violenza contro le donne
(25/11/2015 00:28:14)

Istat - Argomento: Società

*

 

La violenza contro le donne dentro e fuori la famiglia

 

La violenza contro le donne è fenomeno ampio e diffuso. 6 milioni 788 mila donne hanno subìtonel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale, il 31,5% delle donnetra i 16 e i 70 anni: il 20,2% ha subìto violenza fisica, il 21% violenza sessuale, il 5,4% forme piùgravi di violenza sessuale come stupri e tentati stupri. Sono 652 mila le donne che hanno subìtostupri e 746 mila le vittime di tentati stupri.
Le donne straniere hanno subìto violenza fisica o sessuale in misura simile alle italiane nel corsodella vita (31,3% e 31,5%). La violenza fisica è più frequente fra le straniere (25,7% contro19,6%), mentre quella sessuale più tra le italiane (21,5% contro 16,2%). Le straniere sono moltopiù soggette a stupri e tentati stupri (7,7% contro 5,1%). Le donne moldave (37,3%), rumene(33,9%) e ucraine (33,2%) subiscono più violenze.
I partner attuali o ex commettono le violenze più gravi. Il 62,7% degli stupri è commesso da unpartner attuale o precedente. Gli autori di molestie sessuali sono invece degli sconosciuti nellamaggior parte dei casi (76,8%).

[ continua a leggere sul sito dell'Istat... ]

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  25 novembre: contro la violenza sulle donne
(25/11/2015 12:00:00)

*

 

 

Care Autrici e cari Autori,

 

in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, il 25 novembre prossimo, LaRecherche.it vi invita, fin da ora, a riflettere sul tema e a comporre testi (poesia, narrativa, articoli, saggi...) da pubblicare il 25 novembre; facendo seguire al titolo l'hashtag #controviolenzadonne, tutti i testi, riportanti il suddetto hashtag, verranno raccolti, automaticamente e in tempo reale, in un'unica pagina che sarà online dalle ore 00:00 del 25 novembre. Attendiamo numerose adesioni con testi di qualità e contenuti.

Grazie.

La Redazione

 

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  Ermal Meta - Vietato Morire (Official Video) [Sanremo 2017] #controviolenzadonne
(08/02/2017 10:16:46)

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  Siamo noi - Puntata del 15 maggio 2015 #controviolenzadonne
(25/11/2015 00:56:04)

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