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Il ’vizio’ assurdo della guerra

Argomento: Società

di Nicola Lo Bianco
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Pubblicato il 03/03/2014 17:42:19

IL “VIZIO” ASSURDO DELLA GUERRA

 

 

 

Di anno in anno, di mese in  mese, ci ritroviamo a parlare di guerra.

Come se non bastasse l’indegnità di un mondo dove quotidianamente si violano i più elementari diritti umani.

Qualcuno ha detto:<Dopo Auschwitz non si potrà più pensare allo stesso modo>.Come dire che l’uomo deve trovare altri fondamenti, altri sentimenti, altri modi di pensare alla vita ed al rapporto tra gli uomini.

Ed invece, ancora, tra menzogne e demagogie, tra “ragion di Stato” ed ipocrisie, si continua a far vivere l’umanità nella paura, nell’incubo del futuro prossimo;si continua a perpetrare la “strage degli innocenti”.

L’epoca che stiamo vivendo è un’epoca di guerra e di crimini di guerra, ascoltiamo attentamente i pensieri di chi quei crimini li ha già visti nella Germania nazista:”Questo mostro (Hitler) stava per conquistare il mondo/i popoli lo hanno spento/ma non cantiamo vittoria troppo presto/il grembo da cui è nato è ancora troppo fecondo.”(Bertold Brecht, drammaturgo tedesco).

Una donna anziana, dell’età di chi ha ben conosciuto i disastri della seconda guerra mondiale, salendo sull’autobus, in risposta non so a chi o a che cosa, dice:<A cu parra di guerra ch’avissi a siccari a lingua!A guerra!, ancora ‘un si l’hannu livatu u vizio d’a’ guerra?!> : -A chi parla di guerra dovrebbe seccargli la lingua!La guerra!Ancora non se lo son levato il vizio della guerra?!-

Sintesi straordinaria di una memoria, di un’ esperienza, di un sentimento umano collettivo, dell’essenza della guerra.

Il “vizio” della guerra.Come dire che la guerra è un “difetto” psichico, di comportamento, è una violenza (vizio deriva dal latino vitium, “difetto”, che a sua volta proviene da vis, “violenza”) ingiustificabile, irrazionale, esecrabile.

Ma sono <parole di una vecchietta, una povera ignorante> che non sa, direbbe il mafioso, il pane che si mangia, buona tutt’alpiù per la statistica dei “troppi pensionati”.

La “vecchietta”, tuttavia, ci dice un’altra cosa: che non è vero che la storia non insegna niente;non insegna a chi non vuole imparare.

La guerra viene imposta.Viene imposta da chi vi ha un interesse particolare, da chi pensa di uscirne più forte ed impunito, da un meccanismo di potere che è sostanzialmente quello che, per richiamare l’esperienza della “vecchietta”, ha scatenato l’ultima guerra mondiale.

La guerra, al di là delle giustificazioni apparenti, più o meno convincenti, è una questione di potere, una resa di conti, la più sbrigativa (per loro) per mantenere o acquisire ulteriori indebiti privilegi.

Non riesco a trovare altra fondata spiegazione.

Chi di noi, in piena libertà e coscienza, deciderebbe di sterminare una famiglia, gente che vive come noi, fors’anche con gli stessi problemi, gli stessi crucci, le stesse piccole gioie della vita quotidiana?

E’ un assurdo: un ristretto numero di uomini deve decidere della vita o della morte di altri esseri umani.

Non è concepibile, per dirla con Shakespeare, che <una zucca di politicante pretenda di farla in barba pure a Dio>.

Chi trama e appronta guerre, oggi più di ieri, vista la potenza annichilatrice della tecnologia, è un nemico dell’umanità, presente e futura.

E come tale dovrebbe essere trattato e giudicato.E rimosso dal posto di comando.

Il pensiero, l’ipotesi, l’intenzione stessa della guerra vanno posti al bando.

Se non si accettano questi principi inderogabili, il mondo rischia di avviarsi ad una disgregazione irreversibile, al termine della quale ci ritroveremmo nella guerra permanente di tutti contro tutti.

Avrebbero ragione i peggiori, e si imporrebbe una concezione del mondo che i filosofi chiamano nichilismo;avrebbe ragione il “nichilismo” del mafioso, per il quale, come ebbe a dire il capomafia don Calò Vizzini, “dentro e fuori governa una regola di vita che ha tre linee essenziali:la politica, la violenza e la ricchezza.Chi è fuori da queste tre forze umane non trova posto, è niente.Lo si può acchiappare per la testa e farlo trottare come un somaro”.

E’ una responsabilità di dimensioni strategiche, della quale, nell’immediato devono farsi carico, come ha recentemente ha ribadito papa Francesco, coloro che hanno il potere di decidere in un senso o nell’altro.

Ma è anche una responsabilità di tutti noi, di tutti quanti gli uomini, ai quali incombe il dovere di non assuefarsi, l’impegno di fare sentire la propria voce contro la “cultura dell’abiezione”, di ritrovarsi lì dove, scrive un mio amico poeta, Crescenzio Cane, “brillano lacrime sotto tutte le bandiere”.

Servono ancora le parole di un grande scrittore italiano, che ben conosceva gli occhi della morte, Cesare Pavese:<Ogni caduto somiglia a chi resta, e gliene chiede ragione>.

La pace è un valore assoluto, non negoziabile, né discutibile.

I pensieri, gli atti, le manifestazioni di pace, piccoli o grandi che siano, sono un sicuro segno di conforto:l’umanità non si rassegna alla barbarie.

 

NICOLA LO BIANCO


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