Nel teatro Ariston di Sanremo durante l’edizione del 1978 ad un certo punto, grazie all’ugola di tale Franco Fanigliulo, riecheggiò la frase “girare tra le favole in mutande ma il principe dormiva la strega s’è arrabbiata” che lasciò molti perplessi. Poi la strana passeggiata tra le favole piano piano come spesso accade è scivolata nel dimenticatoio. Mi è improvvisamente tornata alla mente leggendo questo libro di racconti. E quello che fa Michael Cunningham, generalmente impegnato con temi molto seri e profondi, è proprio passeggiare tra le favole, magari non in mutande ma un po’ sbracato ed irriverente quello sì. L’autore prende dieci favole note e arcinote e le smonta, ne mette a nudo i meccanismi narrativi, svela con fare talvolta impietoso i profili psicologici di re, regine, streghe, maghi e componenti vari della allegra famiglia dei personaggi delle favole. Soggetti che quando eravamo piccoli ci apparivano quasi come divinità, li percepivamo come familiari ma irraggiungibili e perfetti nello svolgimento delle loro semplici funzioni nella narrazione fiabesca. Chi erano in realtà, come occupavano il tempo una volta spenti i riflettori del racconto, perché si comportavano così, erano domande che nessuno osava porsi, sarebbe stato mettere in dubbio il dogma che ci veniva somministrato dagli adulti. I personaggi si animavano nel momento che venivano raccontati e cosa facessero già si sapeva ma era confortante quella continua e immutabile vita fatata, bellissima nella certezza della sua immobilità, al contrario dei mille timori e delle numerose incognite che ci attanagliavano, soprattutto col calare delle tenebre. Le favole erano un mondo perfettamente rappresentato dai libri pop-up, si animavano quando serviva di una animazione a raggio limitato, i personaggi “prendevano vita” esattamente quando lo decidevamo noi: funzione, contenitore e contenuto perfettamente sovrapponibili ed integrati. Invece non è proprio così, e Cunningham, ce lo svela e dimostra come personaggi creati secoli fa siano perfettamente attuali, scavandone la psiche si vede come i vezzi e i difetti non sono mutati nei secoli, si sono semplicemente rivestiti di spoglie differenti. Ma, per fare un esempio, la fiaba di Hänsel e Gretel, sebbene scritta agli inizi del diciannovesimo secolo, opportunamente ripulita dei fronzoli dell’epoca ci mostra dei profili attuali in modo sconcertante; la strega che vuole piacere ad ogni costo, e quando la bellezza è ormai sfiorita ricorre ad orpelli, trucchi e stratagemmi, sino a tentare di accalappiare qualcuno mostrando una certa disponibilità sbandierata mediante una ardita e appariscente costruzione. E i due ragazzi che arrivano in realtà giungono nel cuore del bosco in cerca di un paradiso artificiale, nella versione Cunningham sono infatti tossici, ma anche i fratellini originari erano a caccia di un paradiso. E se alla fine è la povera anziana donna che finisce nel forno è forse per una eccessiva foga della situazione. E così via, il libro procede smontando e portando alla luce nefandezze tutte umane nascoste in personaggi fantastici, la cui fiabesca bontà forse è solo astuzia o opportunismo. E la modestia di Bella usata per mascherare una certa noia nei confronti dell’angusto ambiente in cui cresce, diventa una virtù nel momento in cui il padre, risparmiando una bella sommetta, se la leva di torno. E la Bestia forse è bestia per tenere a bada i suoi istinti, pronti a farsi ferini e famelici non appena l’incantesimo è rotto e riacquista il suo (bel) fisico di giovanotto in salute. E via così dissacrando e raccontando con un linguaggio schietto e moderno le favole della nostra infanzia, rendendole racconti attuali e anche divertenti che invece di farci sognare, come già hanno fatto, ci fanno riflettere e alla fine della lettura ci si sente come quei fatidici giorni post natalizi in cui si smontavano i balocchi ricevuti nella speranza di trovare, che so, il carrista nel carro armato, il pilota del missile o il capotreno; puntualmente non c’erano ma nella loro assenza ci avevano insegnato a districare fili, girare viti e allentare bulloncini. Naturalmente poi i giocattoli non eravamo più in grado di rimontarli, avevano un nuovo aspetto, diverso, forse meno armonioso, ma che comunque rifletteva la nostra smania di scoprire e di sperimentare, esattamente come ha fatto Cunningham con le dieci favole smontate in questo libro. La penna dell’autore è famosa per la sua brillantezza, in questo caso credo di dover sottolineare la bravura del traduttore a rendere certe espressioni in modo gustoso e azzeccato, senza tentare di tradurre i calembour o le espressioni gergali, ma rendendole perfettamente in italiano. Mentre i bimbi si addormenteranno beati, dopo aver ascoltato per l’ennesima volta le rassicuranti fiabe della buonanotte, gli adulti potranno ri-incontrare gli stessi personaggi, magari invecchiati e inaciditi, e trovarli finalmente simpatici e familiari.