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La casa madre

Narrativa

Letizia Muratori
Adelphi

Recensione di Giuliano Brenna
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Pubblicato il 09/09/2008 21:11:00

Due racconti sul mondo dell’infanzia e dei suoi giochi, imposti dalla televisione, e degli intrecci che gli stessi creano con la vita reale. Nel primo Irene riceve la sua bambola dentro una confezione a forma di cavolo, e, seguendo le regole imposte dal produttore, deve simulare il parto e prendersi amorevolmente cura della bambola/figlia come se fosse reale, non separandosene mai e comportandosi esattamente come una vera madre. Questo per simulazione delle altre bambine della sua scuola, il che la porterà ad assumere un atteggiamento privilegiato nei confronti di una compagna, giudicata strana perché sprovvista della bambola. Mentre il gioco si dipana ed Irene assume espressioni materne nei confronti della bambola, la madre invece cade sempre più in depressione staccandosi via via dalla figlia, sino a cercare un punto di non ritorno. Si crea così uno sfasamento tra il reale, percepito sempre più distante e l’immaginario che diventa un appiglio alla realtà per la bambina.
Nel secondo il protagonista è invece un maschietto convinto che alcune ragazze che vivono nel bosco, vicino la casa in cui trascorre le vacanze, siano le magiche creature – proposte dalla televisione – note col nome di Winx, esse sono dotate ciascuna di un particolare “potere” che il bimbo riconosce nelle ragazze vere. E sarà per poter trascorrere del tempo accanto ad una di esse che dovrà cercare di raggranellare del danaro in vari modi senza rendersi conto che le ragazze in questione non hanno alcun potere speciale se non la disponibilità a cedere il proprio tempo (leggi corpo) in cambio di denaro. Sino al giorno in cui il bimbo, per proteggere la sua adorata fata, che gli spilla denaro in cambio di attenzione, recandosi da lei, incontra suo padre, il quale, come lui, paga la ragazza per potergli stare accanto qualche mezz’oretta. E sarà questa comune frequentazione a rinsaldare il rapporto fra padre e figlio, sino a quel giorno assai labile. Qui si crea quasi un parallelo fra padre e figlio: credono entrambi di trovare ciò che la loro immaginazione cerca e pagano – tristemente – per poterle stare accanto, ma il gioco perverso fa si che il bimbo vi sia costretto per sopperire alla mancanza di compagnia – del padre – e il padre lo fa volontariamente sottraendo tempo al figlio creando così una sorta di circolo vizioso spezzato solo nel momento in cui il padre capisce a cosa entrambi vanno incontro. Il libro si legge facilmente, e assai volentieri, ci parla con un linguaggio semplice, spesso con toni tipici dell’infanzia e getta uno sguardo, diverso, disincantato, sul mondo dei bambini, spesso edulcorato e guidato dal mondo della televisione.

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