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La famiglia d’Azzia di Capua

Argomento: Storia

di Luigi Russo
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Pubblicato il 02/09/2010 11:50:21

LA FAMIGLIA D’AZZIA DI CAPUA E NOTE BIOGRAFICHE DI
ALESSANDRO D’AZZIA (1774-1834)

Origini e personaggi della famiglia d’Azzia
La famiglia d’Azzia è una delle maggiori e più antiche famiglie capuane, sulle cui origini sono state formulate varie ipotesi.
Il Candida Gonzaga a proposito delle origini della famiglia sostenne:

La famiglia d’Azzia è considerata di origini incerte. Alcuni la ritengono originaria romana uscita dalla gente Actia, altri la credono longobarda, altri la fanno discendere dalla casa d’Este, altri dalla famiglia Beccatelli, ed alcuni la considerano originata in Capua verso il principio del secolo XIII. Quest’ultima opinione è del tutto falsa trovandosi memoria degli Azzia prima di tale epoca. Prima sede fu Capua poi un ramo passò in Napoli nel 1500 e venne ascritto al Seggio di Nido, ottenne il Grandato di Spagna e si estinse nella famiglia Albertini, nella quale portò i titoli di marchese della Terza e conte di Noja, titoli ora posseduti dalla famiglia Perres Navarrete de’ Duchi di Bernalda, Patrizi Napoletani. Ha goduto nobiltà in Napoli al Seggio di Nido e in Capua ed ha vestito l’abito di Malta nel 1546. Veggonsi Monumenti di tal famiglia in Capua nella Chiesa di San Domenico. Ebbe vari feudi, le contee di Noja e Nusco e il marchesato della Terza. (1)

Secondo il Bonazzi, i d’Azzia erano una famiglia nobile di Capua che era stata feudataria fin dai tempi di Ferrante I d’Aragona. Nel 1594 fu dichiarata nobile fuori piazza in Napoli (2).
Il Di Crollanza parla soltanto della famiglia d’Azzia di Napoli e afferma che era di origini longobarde; fu ascritta al seggio di Nido. Ebbe i titoli di conti di Noja e Nusco, di marchese della Terza e signora di 12 feudi. Un Raone fu Vicario di Basilicata (3).
Lo Spreti parlando dei d’Azzia conferma la loro dimora in Napoli, la provenienza da Capua e la loro antica nobiltà:

Dimora: nella città di Napoli. Famiglia di antica nobiltà, originaria di Capua, ricevuta nell’Ordine di Malta sin dal 1493. Possedette le baronie di Campagna, Lavello, Lesina, Pace, Romagnano, Sansossio, le contee di Noja e Nusco, ed il marchesato della Terza. Nel 1535 ottenne il grandato di Spagna. Nel secolo XVI un ramo da Capua passò a Napoli, fu aggregato al seggio di Nido e s’estinse successivamente nella famiglia Albertini, nella quale portò i titoli di marchese della Terza e conte di Noja. (4)

Maria Cappuccio, storica e poetessa capuana, affermò sulla famiglia d’Azzia:

Gilberto d’Azzia sotto Federico II fu Siniscalco del Regno e marchese della Terza. Secondo Scipione Gazzella egli apparteneva ad un’antica famiglia nobile di Napoli le cui prime memorie risalirebbero al 1122 in alcune scritture della S. Trinità. In tempi posteriori la famiglia si trova a Capua e vi rimane per molti secoli divisa in più rami. Secondo alcuni essa era nobile già ai tempi di Giordano, principe di Capua nell’anno 1122. Ma secondo altri è originaria della Sassonia […] Pirro Antonio d’Azzia fu vescovo di Pozzuoli. (5)

La presenza di appartenenti alla famiglia d’Azzia (denominata Accia) nei documenti capuani risale al 1200, si tratta per lo più di pergamene dell’Archivio arcivescovile di Capua (6).
Molti esponenti dei d’Azzia appartennero all’ordine di S. Lazzaro, raggiungendo i più alti incarichi, e furono cavalieri gerosolimitani (7).
Il palazzo d’Azzia (Gentile) nella Strada di S. Maria delle Dame Monache, detta anche Strada S. Domenico [oggi Gran Priorato di Malta] in Capua fu costruito nel XIV secolo e appartenne alla famiglia De Capua e poi ai d’Azzia – Tommasi. In esso prese stanza Carlo V nel 1537 durante la sua permanenza a Capua (8).
Nel Catasto onciario del 1754 fra i maggiori proprietari vi era Alessandro d’Azzia (seniore), patrizio capuano di 48 anni, che viveva con: donna Anna Lanza, moglie di 33 anni, don Gabriele, figlio di 14 anni (padre di Alessandro juniore), don Giuseppe, figlio di 10 anni, don Alberto, figlio di 1 anno, donna Maria Maddalena, figlia di 4 anni, donna Maria Saveria, figlia di 2 anni, don Silvio d’Azzia, fratello di Alessandro di 47 anni. I d’Azzia abitavano in un’abitazione di più membri inferiori e superiori nel “ristretto” della parrocchia di S. Giovanni de’ Nobili Uomini, confinante con i beni dei signori Lanza e la via pubblica con un giardino di agrumi; Alessandro aveva affittato alcune stanze inferiori, di cui alcune adibite ad uso di osteria per un totale netto di 38,25 ducati per 127,15 once.
Il d’Azzia possedeva inoltre i seguenti beni: un altro edificio di case ad uso di forno, affittato i cui frutti erano riscossi da don Silvio d’Azzia, fratello di Alessandro; un’altra casa di più membri inferiori e superiori nel “ristretto” della suddetta parrocchia (confinante col giardino appartenente al Beneficio di S. Nicola ed altri propri beni, affittata dalla quale ricavava ducati 18,75, tassata per 61,15 once; un’altra casa con cortile, denominato il Cortile d’Azzia, di più membri superiori ed inferiori affittata nel “ristretto” della stessa parrocchia (confinante i beni del suddetto Beneficio di S. Nicola e del Conservatorio della SS.ma Concezione per ducati 97,87 per 326,7 once; due giardini di 4 moggia nel casale di Vitolaccio [oggi Vitulazio] stimati ducati 45 per 150 once; una masseria di fabbrica in Vitulaccio di più membri superiori ed inferiori con diverse comodità nella località detta a’ Mercolani con un territorio montuoso di 72 moggia, comprese in esse 4 moggia tenute in affitto da donna Teresa Menecillo e porzioni di montagna dell’A.G.P., con piedi di olive ed alberi vitati (confinante coi beni di don Giuseppe del Tufo, di donna Teresa Menecillo e la via pubblica), apprezzata per 96 ducati per 320 once; altre 20 moggia di territorio montuoso ed olivato nel medesimo casale; un altro territorio montuoso e boscoso nella località Boscarello (confinante con i beni del SS.mo Corpo di Cristo e quelli della parrocchia del medesimo casale) stimate per 90 ducati per 300 once; un’altra masseria di fabbrica con membri superiori ed inferiori, con un “trappeto” (ovvero frantoio) per la macina delle olive, con 72 moggia di territori (confinanti coi beni di don Giuseppe Umbriani) apprezzata per 172 ducati per 570 once; 75 ducati annui da riscuotere da don Carlo Lanza per le doti di 1500 ducati della figlia donna Anna Lanza (moglie di Alessandro) dai quali si caricavano 216,20 once; infine possedeva due cavalli da carrozza per un totale complessivo di 2408,17 once, dalle quali dovevano sottrarsi numerosi pesi.
Don Alessandro d’Azzia dichiarò numerosi pesi: ducati 99,75 ducati annui al fratello don Domenico d’Azzia per il suo livello, per i quali 332,15 once; 40 ducati annui a donna Costanza d’Azzia, monaca nel monastero di S. Maria di Dame Monache, per 133,10 once e 4 tomola di grano annue; 11 ducati annui a donna Teresa Menecillo per l’affitto delle predette moggia 4, tassati per 36,20 once; 6,50 ducati alla Casa Santa A. G. P. per l’affitto della suddetta montagna, dove si trovava la masseria, tassati per 21,20 once; 12 ducati annui a donna Anna Pellegrino per un capitale di ducati 200, tassati per 40 once; inoltre nella discussione si stabilì la rendita del trappeto nella masseria di Vitulaccio per 6 ducati annui, tassati per 20 once. I pesi ammontavano a 572,85 once, pertanto sottratti alla rendita complessiva davano una rendita netta di 1853,32 once (9).
Nel dicembre 1765 don Alessandro (seniore) fece il suo ultimo testamento col notaio Francesco Garofalo di Capua. Egli espresse la sua volontà di essere seppellito nella Chiesa dei PP. Domenicani di Capua, nella sepoltura della Cappella Jus patronato della sua famiglia. Egli nominava suo erede il figlio primogenito don Gabriele, avendo già fatto rinuncia dei suoi beni con pubblico atto del notaio Gennaro Giosa di Napoli. Inoltre, lasciò diverse disposizioni per la moglie donna Anna Lanza: l’abitazione nel palazzo di famiglia, 300 ducati annui, 12 “tomola” di grano e 12 “stari d’oglio” annui. Il d’Azzia lasciò altre disposizioni per altri esponenti della famiglia: don Giuseppe, don Roberto, don Pietro Antonio, don Carlo, don Francesco, don Giovan Battista, donna Maddalena (educanda nel Monastero di S. Andrea di Dame Monache), donna Maria (10).
Nel 1773 alla morte di Alessandro (seniore) il figlio primogenito Gabriele fu nominato suo erede con decreto della Gran Corte della Vicaria.

Alessandro d’Azzia
Alessandro d’Azzia (juniore) nacque nel 1774 dal marchese Gabriele del quondam Alessandro e da Giovanna Ciavari-Lombardi (11). Egli apparteneva ad un antica e nobile famiglia capuana.
Nel 1792 don Alessandro d’Azzia chiese di poter continuare gli studi nel Reale Collegio di Napoli [la Scuola della Nunziatella di Napoli] a spese del monte fondato da don Carlo Mazziotti di Capua; la Regia Camera di S. Chiara decise di consentire il proseguimento degli studi a don Alessandro a spese del monte Mazziotti anche dopo l’età di 18 anni e inviò gli ordini al consigliere e governatore di Capua (12).
Nello stesso anno morì il padre don Gabriele e Alessandro fu dichiarato suo erede con decreto della Gran Corte della Vicaria di Napoli del 26 novembre 1792. Egli ereditò anche 100 moggia di territori divisi in due partite che erano ereditari dell’avo canonico don Roberto d’Azzia, che nel 1722 aveva fatto il suo testamento col notaio di Capua Flaminio Boccagna (13).
Nel 1793 il marchese Alessandro d’Azzia decise di contrarre matrimonio con donna Giovanna Trenca, appartenente ad una famiglia patrizia aversana; egli affermava di non avere più nessun genitore e di non essere soggetto ad alcun parente, ma aveva trovato impedimento nella Curia arcivescovile di Capua da parte di sua nonna donna Anna Lanza e dello zio don Giuseppe d’Azzia, che si opponevano al matrimonio giudicandolo non decente alla loro famiglia e non avevano dato il loro consenso alle pubblicazioni e alla spedizione dello “Stato libero”.
Alessandro dichiarò che l’opposizione era insussistente perché egli, essendo di maggiore età, non era soggetto ad alcun parente e il suo matrimonio era più che conveniente: donna Giovanna era unica erede di una famiglia nobile di Aversa, educata nel Monastero di Donne Monache di S. Biagio in Aversa e il matrimonio era vantaggioso anche economicamente (14). Infatti, in data 14 febbraio 1793 nel palazzo di don Onofrio Trenca, patrizio della città di Aversa, con il notaio Carlo Melorio, erano stati stipulati i “capitoli matrimoniali” fra don Alessandro d’Azzia e donna Giovanna Trenca; in questa occasione era stata stabilita la dote di 2000 ducati, da prendere dalle doti matrimoniali di donna Fulvia Morelli, madre di Giovanna (15). Il matrimonio fu celebrato, anche se in seguito Alessandro sposò Giovanna Ireneo.
Il d’Azzia nel 1796 fu autore in Napoli di un’ode in onore del signor don Michele Vecchione (16).

Durante il periodo rivoluzionario del 1799 divenne un acceso repubblicano, probabilmente venne in contatto con le idee rivoluzionarie proprio nel reale Collegio militare. Nel mese di marzo del 1799 pronunciò efficaci parole durante una seduta dei rivoluzionari napoletani, registrate da Marc-Antoine Jullien, segretario generale della Repubblica Napoletana, che testimoniavano l’importanza di propagare al popolo il Catechismo repubblicano, piuttosto che altri scritti di autori conosciuti. Il d’Azzia era convinto che al popolo non dovevano proporsi «Rousseau, Mably, Pagano, ma le prime idee del Catechismo repubblicano» (17). Tale affermazione testimoniava come il Catechismo fosse la principale risorsa dei democratici per spiegare al popolo i concetti di democrazia, libertà, sovranità e uguaglianza (18).
Nel giugno del 1799 il nobile capuano Alessandro d’Azzia fu nominato membro della Commissione per la coscrizione militare e per la riorganizzazione della Guardia Nazionale per il Cantone del Sebeto (19). In seguito fu impiegato nella commissione legislativa ed esecutiva (20).
Il d’Azzia nel luglio del medesimo anno si rifugiò nella fortezza di Capua insieme al vescovo Michele Natale (21), al canonico Francesco Perrini (22) e a don Carlo Pellegrini (23) di Capua; i quattro “compromessi capuani” uscirono da Capua vestiti con le uniformi cisalpine e giunti a Napoli si imbarcarono su una nave inglese; disgraziatamente il vescovo Natale fu riconosciuto e arrestato e con lui gli altri tre repubblicani (24).
Egli dovette esiliare in Francia e a Parigi venne in contatto con i tanti esuli italiani (25). Nel 1801 lavorò come poeta-revisore dei libretti dell’impresa dell’Opera Buffa e scrisse nel 1801 Sur le rétablissement d’un Théatre Bouffon à Paris, uno scritto pragmatici di apertura della nuova stagione d’opera italiana (26).
Il d’Azzia era compreso nell’elenco dei Rei di Stato ai danni dei quali furono eseguiti i sequestri dei loro beni negli anni 1800 e 1801 (27).

Durante il “decennio francese” Alessandro d’Azzia raggiunse altissime cariche pubbliche, anche per i suoi contatti stretti col Saliceti; egli, insieme a Giuseppe Poerio e Pietro Colletta, era considerato appartenente al gruppo dei “satelliti di Saliceti” (28).
Nel 1807 fu nominato regio procuratore del Consiglio delle Prede Marittime, che aveva sede in Castel Capuano, con decreto reale del 31 agosto del 1807; egli aveva domicilio in Napoli in Largo Alabardieri a Chiaja n. 8 (29).
Nel dicembre del 1808 don Alessandro decise di vendere 40 moggia di terreni, localizzati nel Feudo degli Schiavi, ereditati dall’avo don Roberto d’Azzia ai fratelli Nicola e Giovanni Gravante di Grazzanise per la somma di 900 ducati; l’atto fu stipulato presso il notaio Paolo Vitolo di Grazzanise di Capua (30).
Don Alessandro d’Azzia nel febbraio del 1810 chiese di affrancare un capitale di annue entrate di 500 ducati annui che aveva stipulato nel 1802 con istrumento del notaio Giuseppe Narici di Napoli con il monastero di S. Giovanni Battista dell’ordine di San Domenico. In totale il d’Azzia dovette pagare 1150,96 ducati alla Cassa di Ammortizzazione (31).
Nel medesimo anno il d’Azzia chiese di affrancare un censo enfiteutico di 513 ducati che era stato contratto con la Casa Santa degli Incurabili di Napoli il 6 febbraio 1775 da don Onofrio Trenca, patrizio aversano, e ceduto da questi a don Alessandro d’Azzia, figlio del fu don Gabriele, in occasione dei capitoli matrimoniali della figlia donna Giovanna con il d’Azzia nel febbraio 1793. L’atto era stato stipulato presso il notaio Carlo Melorio della città di Aversa. Il censo riguardava una masseria di 87 moggia di territori seminatori, arbustati e campestri nella località il Gaudio e la Turricella in Patria (32).
Nell’aprile del 1810 fu nominato sostituto procuratore generale presso la Corte d’Appello di Napoli, continuando a disimpegnare la precedente carica di regio procuratore presso il Consiglio delle Prede Marittime (33).
Nel medesimo anno il d’Azzia fu nominato relatore al Consiglio di Stato per la provincia di Terra di Lavoro (34).
Don Alessandro nel 1811 in qualità di sostituto procuratore della Corte di Appello fu autore delle Conclusioni del Pubblico Ministero nella causa di Roberti, Pastore e Costanzo contro Francesco e Saverio di Costanzo il 25 settembre 1811, pubblicato in Napoli nel 1811 (35).
Nel 1815 il palazzo d’Azzia, appartenente ad Alessandro era costituito da 13 bassi, 4 stanze inferiori e 12 superiori con un giardino murato di 15 passi ed era tassato per 128 ducati (36).
Nei Catasti Provvisori don Alessandro d’Azzia possedeva molte rendite in diversi Comuni della provincia: 2666,50 ducati in Santa Maria di Capua per 155 moggia di territori, 1848 ducati in Marcianise per 28 moggia, 1434 ducati in Macerata per 100 moggia, 757,40 ducati in Vitulaccio [oggi Vitulazio] per 167 moggia, 534,81 ducati in Capua per 38,27 moggia, 422,40 ducati in Bellona per 151 moggia. In totale il d’Azzia aveva dunque un patrimonio fondiario di 639,27 moggia di territori (37).
Nel mese di giugno del 1816 don Alessandro acquistò un fondo dall’Intendenza di Casa Reale in Santa Maria di Capua, in località la Starza di Virilasci di 135 moggia per un prezzo complessivo di 22333,33 1/3 ducati (38).
Don Alessandro d’Azzia morì il 3 novembre del 1834, già vedovo di Giovanna Ireneo (39).


NOTE:
(1) B. Candida Gonzaga, Memorie delle famiglie nobili delle province meridionali d’Italia, vol. V, Napoli 1878, pp. 40-42.
(2) F. Bonazzi, Famiglie nobili e titolate del Napolitano, Napoli 1902, pp. 28-29; Id., Iscrizioni di Ufficio all’elenco dei Nobili e titolati del Napolitano, Napoli 1893, p. 11.
(3) G. B. Di Crollanza, Dizionario storico-blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane estinte e fiorenti, vol. I, ristampa anastatica Forni editore, Bologna 1886, p. 75.
(4) V. Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, Milano, 1928-1932, vol. I, p. 458.
(5) M. Cappuccio, Capuani insigni e ambienti culturali dal Medioevo al Risorgimento, in Capys, IV, a. 1970, pp. 8 e 17.
(6) In una pergamena dell’Archivio arcivescovile di Capua del 1200 troviamo una concessione di un terreno in Ville Castellucci da parte di Iacobus de Accia, figlio del signor Federico de Accia de Capua, in G. Iannelli, Regesti e transunti, in G. Bova, Le pergamene sveve della Mater Ecclesia capuana, vol. I, Napoli 1998, p. 228. In un’altra pergamena capuana del 1219 Roberto de Accia, figlio del miles Giovanni, compra un portum cum molendinu nei pressi del fiume Volturno fuori Capua, in Archivio Storico Arcivescovile di Capua (ASAC), pergamene del Capitolo, n. 62, in G. Bova, Le pergamene sveve, op. cit., I, p. 163. In un documento privato capuano del 1245 Raone de Accia, figlio di don Giovanni de Accia, aliena al figlio Iacobo de Accia il suddetto portum cum molendinu di suo diritto ereditario, in Iannelli, Regesti e transunti in G. Bova, Le pergamene sveve, op. cit., III, Napoli 2001, p. 329.
(7) La famiglia d’Azzia primeggiò per lungo tempo nell’ordine di S. Lazzaro, di cui erano stati o furono creati Gran Maestri: frate Alfonso d’Azzia (1327), fra Giacomo d’Azzia (1347); fra Giacomo II d’Azzia (1468-1498) milite e maestro generale in tutto il regno di Sicilia; fra Giacomo Antonio d’Azzia (1498-1512) grande e general Maestro di tutta la milizia di S. Lazzaro; fra Alfonso II d’Azzia maestro generale dell’ordine per investitura di papa Adriano VI; fra Sebastiano d’Azzia (1525) commendatario dell’ospedale e della chiesa di S. Lazzaro; fra Muzio d’Azzia (1548-1564) grande e generale maestro, che investito dal Papa Paolo III fu riformatore della milizia, in M. Cappuccio, op. cit., pp. 23-24; D. Iannotta, Notizie storiche sulla chiesa di S. Lazzaro in Capua, Napoli 1762. Molti esponenti dei d’Azzia furono cavalieri Gerosolimitani e nel 1480 tre di essi combatterono contro i Turchi a difesa di Rodi al fianco del Gran Maestro d’Abusson. Infine, Francesco d’Azzia morì combattendo contro i Turchi nella battaglia di Otranto nel 1481, dove caddero anche i più famosi Matteo de Capua, Rossetto e Rinaldo Ferramosca, in F. Granata, Storia civile della fedelissima città di Capua, Napoli 1752, vol. III, p. 143; M. Cappuccio, op. cit., p. 24.
(8) Ristampe Capuane, a cura degli “Amici di Capua”, Napoli 1986, p. 189.
(9) ACC, Catasto onciario della città di Capua, a. 1754, n. 1146.
(10) AS Ce, Atti del notaio Francesco Garofalo, a. 1765, ff. 173 t.°-180; l’atto fu rogato in Capua il 12 dicembre 1765 alla presenza del regio giudice a contratti magnifico Antonio Gionti e dei seguenti testimoni: don Vincenzo Tabassi, don Carlo Ruggiero, reverendo don Caspero Letizia, reverendo don Tomaso Battista Finello, magnifico Carmine Gionti e magnifico Marco Antonio Garofano.
(11) G. Iannelli, Cenni storici biografici di Monsignor Michele Natale Vescovo di Vico Equenze, a cura di F. Provvisto, Pomigliano d’Arco (NA) 1999, pp. 154-155.
(12) AS Na, Real Camera di Santa Chiara, Bozze delle Consulte, vol. 105, Napoli 25 agosto 1792.
(13) AS Ce, Tribunale di prima istanza, b. 4, f. 79; si tratta di un processo ereditato dal Tribunale di prima istanza dalla Gran Corte della Vicaria; il canonico don Roberto d’Azzia istituì nel 1722 erede universale il nipote don Giuseppe d’Azzia; al quale subentrò il fratello Alessandro (seniore) e dopo la sua morte nel 1773 il primogenito Gabriele e dopo la sua morte nel 1792 fu sostituito da Alessandro d’Azzia (juniore).
(14) AS Na, Real Camera di Santa Chiara, Bozze delle Consulte, vol. 739, a. 1793.
(15) AS Ce, Atti del notaio Carlo Melorio, a. 1793.
(16) A. d’Azzia, Ode al signor don Michele Vecchione, Napoli 1796; tale opera si trova nella Biblioteca del Museo Campano di Capua nella sezione topografica.
(17) Marc-Antoine Jullien, Segretario Generale della Repubblica Napoletana. Lettere e documenti, a cura di M. Battaglini, Napoli 2007, p. 357.
(18) R. Capobianco, La pedagogia dei catechismi laici nella Repubblica Napoletana, Napoli 2007, p. 63.
(19) M. Battaglini, Atti, leggi proclami ed altre carte della Repubblica Napoletana 1798-1799, Chiaravalle C.le (CZ), 1983, Vol. I, p. 488; cfr. A.M. Rao (a cura di), Guerra e politica nel Giacobinismo napoletano, in Eadem, Esercito e società nell’età rivoluzionaria e napoleonica, Napoli 1990, p. 196.
(20) M. Battaglini, A. Placanica, Leggi, atti, proclami ed altri documenti della Repubblica napoletana, 1798-1799, Napoli 2000, p. 540.
(21) G. Iannelli, Cenni storici biografici di Monsignor Michele Natale, op. cit.; Michele Natale nacque in Casapulla, casale di Capua il 23 agosto 1751 da Alessandro e Grazia Monte; fu battezzato il 24 agosto nella Chiesa parrocchiale da don Stefano Peccerillo. Nell’ottobre del 1771 entrò come alunno nel seminario di Capua., dove ebbe come maestri padre Vincenzo Labini (uno dei più dotti uomini dell’ordine dei Teatini, poi vescovo di Malta nel 1780) di Teologia dommatico-scolastica; Cosimo Aulicino di Teologia morale (parroco di S. Martino ad Iudaicam); Domenico Ferraiolo di Fisica e Geometria (parroco di S. Giovanni a Corte) anche lui coinvolto nelle vicende politiche del 1799; Paolo Pozzuoli di Logica e Metafisica (parroco di S. Antonio in Abbate, poi canonico penitenziere, rettore del Seminario e infine vescovi di S. Agata dei Goti nel 1792), Giovanni Stellato di Retorica (sacerdote di Casapulla, grecista e latinista di primo rango, poi canonico ed arcidiacono); Girolamo della Valle, maestro dell’Umanità (sacerdote di S. Maria di Capua, sostituì il Pozzuoli, morto nel 1797 in proposta di vescovo); Francesco Rossi, maestro della Terza scuola; Alberto Fiordalise, maestro della Quarta scuola; Giovanni Addario e Giuseppe Sorvillo, maestri di canto Gregoriano; alla direzione degli studi sopraintendeva lo stesso arcivescovo Michele Maria Capace Galeota e i suoi vicari generali. Nell’ottobre del 1786 fu nominato cappellano della Cappellania del Presepe nella Chiesa parrocchiale di Casapulla. Nel 1790 gli venne conferita una cappellania curata in Capua, in questa occasione ebbe la raccomandazione del re Ferdinando IV. Divenuto segretario del potentissimo arcivescovo e Cappellano Maggiore mons. Agostino Gervasio, strinse amicizia con le più illustri e nobili famiglie di Napoli, nominato anche precettore straordinario dei figli del re che si trovassero nella reggia di Napoli o di Caserta. Nel settembre del 1797 gli fu comunicata la sua nomina a vescovo di Vico Equense (la bolla apostolica del Papa Pio VI fu inviata in data 18 dicembre). Il 1° gennaio 1798 fu immesso nel possesso della diocesi di Vico Equense, ma entrò per la prima volta nella Chiesa di Vico l’11 febbraio. Conquistato dalle idee repubblicane nel maggio del 1799 tentò di arringare il popolo del casale di Casapulla in occasione della patronale di S. Elpidio, ma fu espulso dal suo paese natale. Verso la fine di giugno con la caduta della Repubblica Napoletana tentò di salvarsi prima della reazione borbonica; fuggì prima nel casale di Caturano, poi a Curti presso la sorella; infine fu aiutato a portarsi nella fortezza di Capua, dove si ritrovò in compagnia di altri compromessi come il canonico Francesco Perrini di Curti, Carlo Pellegrini e Alessandro d’Azzia di Capua. Il 20 luglio, dopo la resa di Capua, uscì in divisa militare di cisalpino, insieme al Perrini, al Pellegrini e al d’Azzia; giunti in Napoli e imbarcatosi su una nave inglese, fu riconosciuto da alcuni marinai della sua diocesi e fu tratto in arresto insieme ai suoi amici. Il Natale fu prima trasferito nel carcere della Vicaria poi al castello del Carmine. Fu condannato a morte dalla Suprema Giunta di Stato e la sua esecuzione avvenne al Largo del Mercato della città di Napoli il 20 agosto 1799: mons. Natale fu afforcato, insieme al sacerdote don Nicola Pacifico, Vincenzo Lupo, Domenico ed Antonio Piatti e donna Eleonora Pimentel Fonseca; mentre don Giuliano Colonna e don Gennaro Serra di Cassano furono decapitati. Il vescovo Natale scrisse: Lettera Pastorale ai suoi Diocesani, datata 30 aprile 1799, scritta dal cittadino Michele Natale, vescovo di Vico Equense e Presidente di quella Municipalità, e il Catechismo Repubblicano, datato anch’esso 30 aprile 1799 (di cui una copia è conservata nella Biblioteca del Museo Campano di Capua).
(22) Francesco Perrini nacque il 18 dicembre del 1769 dal magnifico Nicola Perrino e Chiara Schiavo; fu battezzato coi nomi di Francesco Saverio Maria. Entrò nel seminario di Capua a 14 anni il 5 marzo 1783 e ne uscì il 20 settembre del 1791, conseguendo la licenza dell’arcivescovo mons. Agostino Gervasio, che gli consentì di studiare a Napoli con l’obbligo di ritornare presso l’arcivescovato capuano ogni volta che il Gervasio lo richiedesse. Quest’ultimo, dopo averlo fatto sacerdote, il 1° novembre del 1793 lo nominò maestro di eloquenza; insegnò fino al 7 aprile 1797, data in cui fu promosso canonico diacono della cattedrale. Nel 1799 fu coinvolto nei fatti rivoluzionari; fu inquisito nella Regia Corte di Capua dal magnifico Liberto d’Errico per il mancato pagamento di un debito, proprio nei mesi rivoluzionari, per cui fu ordinato il suo arresto. Arrestato a Napoli nel luglio del 1799 con il vescovo Natale, il d’Azzia e il Pellegrini, fu esiliato La partecipazione ai fatti rivoluzionari del 1799 è documentata nella presenza del Perrini (denominato Perrino) fra i Rei di Stato, in A. Di Biasio, Rivoluzione e controrivoluzione nell’alta Terra di Lavoro. La Repubblica napoletana del 1799, in F. Barra (a cura di), Il Mezzogiorno d’Italia e il Mediterraneo nel triennio rivoluzionario 1796-1799, edizione Centro Dorso di Avellino, Pratola Serra (AV) 2001, p. 572). Gli fu concesso di ritornare in Patria nel 1803. Con il ritorno dei Francesi nel 1806 fu nuovamente nominato canonico (con Bolla apostolica 22 dicembre del 1806); promosso il 16 giugno 1809 canonico presbitero e il 12 maggio 1813 fu Vicario generale capitolare; nel 29 giugno fu inoltre promosso canonico degli Otto con altra cedola reale. Nel 1811 Gioacchino Murat lo aveva nominato Direttore generale della Statistica della Provincia di Terra di Lavoro. Il 29 giugno 1811 il ministro dell’Interno comunicò all’intendente di Terra di Lavoro Michele Bassi di approvare che Francesco Perrini si impegnasse nella redazione delle notizie statistiche della provincia di Terra di Lavoro, rielaborando le relazioni dei redattori locali. Nella realizzazione della Statistica murattiana la Società di Agricoltura ebbe un ruolo importante, i cui redattori locali vennero scelti privilegiando i suoi soci (M. Di Nuzzo, Agricoltura, industria, commercio, in Caserta al tempo di Napoleone, op. cit., p. 131; sulle società di agricoltura e le società economiche cfr. R. De Lorenzo, Società economiche e istruzione agraria nell’ottocento meridionale, Milano 1998; A. Marra, La Società Economica di Terra di Lavoro, Milano 2006). Il Perrini mantenne la carica di Direttore generale della Statistica anche dopo la restaurazione borbonica; mentre il 31 luglio del 1815 dovette rinunciare all’incarico di Vicario capitolare. Nel 1813 il canonico Francesco Perrini era presidente del Giury dell’Istruzione Pubblica per la provincia di Terra di Lavoro (L. Russo, Affari Comunali del Comune di Casanova e Coccagna nel “Decennio francese”, in Rivista di Terra di Lavoro a cura dell’Archivio di Stato di Caserta, a. I, n. 3, Ottobre 2006, p. 96; il Gran giury dell’istruzione pubblica fu istituito con il decreto del 29 novembre 1811 da Gioacchino Murat cfr. A. Cecere, L’istruzione pubblica, in Caserta al tempo di Napoleone, il decennio francese in Terra di Lavoro, a cura di I. Ascione e A. Di Biasio, Napoli, Electa editrice, 2006, pp. 173-174). Il Perrini morì in Curti l’8 maggio del 1825 e fu sepolto nella Chiesa dei PP. Alcantarini fuori S. Maria di Capua in Iannelli, Cenni storici biografici di Monsignor Michele Natale, op. cit., pp 35-36. Francesco Perrini fu autore della redazione delle tre relazioni provinciali disponibili della Statistica murattiana. Secondo Aldo Di Biasio il Perrini fu implicato nei fatti rivoluzionari del 1820-21 (A. Di Biasio, Il decennio francese in Terra di Lavoro, Le carte dell’Archivio di Stato di Caserta, in Caserta al tempo di Napoleone, op. cit., p. 22).
(23) Carlo Pellegrini nacque da Pompeo e Lucia Torelli dei Baroni di Romagnano il 26 settembre del 1799. Studiò in Capua e fu apprezzato come giovane di alta intelligenza e finissima cultura; nel 1799 in seguito al divulgarsi delle idee repubblicane francesi divenne fervente repubblicano insieme ad Alessandro d’Azzia di Capua, al canonico Francesco Perrini di Curti e al vescovo Michele Natale di Casapulla (G. Iannelli, Cenni storici biografici di Monsignor Michele Natale, op. cit., pp. 154-155). Nel 1799 il Pellegrini fu nominato componente del Governo dipartimentale del Dipartimento Volturno, nel quale risultavano anche i capuani Pompeo Sansò e Carlo de Tomasi; altri personaggi nominati furono: il presidente Francesco (?) Pellegrini (N. Ronga, La Repubblica Napoletana del 1799 nell’agro acerrano, a cura dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Napoli 2006, p. 76; un Francesco Pellegrino risulta essere detenuto alla data del 1° giugno 1800; cfr. AS Na, Amministrazione generale dei beni dei rei di Stato, fascio. 22), il commissario organizzatore Ignazio Falconieri (suo segretario fu nominato Vincenzo Cuoco), il commissario Decio Coletti del casale di Cisterna di Sasso [oggi Castel di Sasso] ed altri (Ronga, La Repubblica Napoletana del 1799 nell’agro acerrano, op. cit., pp. 75-76; Il regno di Napoli in seguito all’emanazione della legge del 9 febbraio 1799 era stato diviso in Dipartimenti e Cantoni, importando la struttura amministrativa territoriale vigente in Francia in Ibidem, p. 73; cfr. M. Battaglini, Atti, leggi, proclami ed altre carte della Repubblica Napoletana 1798-99, Chiaravalle (CZ), Società Editrice Meridionale, 1983, p. 1305). Arrestato nel luglio del 1799 a Napoli insieme al Natale, al d’Azzia e al Perrini. Nel settembre del 1799 il cavaliere gerosolimitano Luigi Palmieri d’Aversa, incaricato di procedere ai sequestro dei beni dei Rei di Stato, si portò in Casapulla dove Carlo Pellegrini possedeva una masseria e la sequestrò (Ronga, La Repubblica Napoletana del 1799 nell’agro acerrano, op. cit., p. 127; in Casapulla il Palmieri sequestrò anche una casa appartenente al fu monsignor Michele Natale; il Palmieri era subentrato a Gennaro Mirabella di Pozzuoli; vantandosi di non aver accettato alcun incarico durante il periodo repubblicano e di aver partecipato con un gruppo di realisti all’assedio di Capua in Ibidem, pp. 96-97; Ronga, Il 1799 in Terra di Lavoro, op. cit., p. 82). Nel 1800 fu inviato in esilio a Marsiglia, insieme a tanti altri repubblicani italiani, sotto la minaccia di pena di morte se fosse tornato senza permesso reale (A. M. Rao, Esuli. L’emigrazione politica italiana in Francia (1792-1802), prefazione di G. Galasso, Napoli, Guida editore, 1992, p. 484; cfr. Ronga, La Repubblica Napoletana del 1799 nell’agro acerrano, op. cit., p. 75; Filiazione de’ Rei di Stato, condannati dalla Suprema Giunta, e da’ Visitatori Generali in vita, e a tempo ad essere asportato da’ Reali dominj, Napoli 1800). Il Pellegrini riuscì a ritornare in Italia e nel 1804 sposò Barbara Invitti dei principi di Conca (Iannelli, op. cit., p. 154). Ricoprì più volte la carica di sindaco di Capua; successivamente si ammalò e si stabilì con la moglie in San Prisco, nel palazzo dell’amico Giovan Battista Boccardi nella Strada della Piazza [attuale Via Michele Monaco] dove morì il 16 ottobre 1816 (AS Ce, Stato Civile, San Prisco, a. 1816).
(24) Iannelli, op. cit., p. 155.
(25) F. Barra, Il decennio francese nel regno di Napoli, 1806-1815, studi e ricerche, Salerno 2007, p. 77. Cfr. A. M. Rao, Esuli. L’emigrazione politica italiana in Francia (1792-1802), prefazione di G. Galasso, Napoli, Guida editore, 1992.
(26) A. Fabiano, I “buffoni” alla conquista di Parigi: una storia dell’opera italiana in Francia tra “Ancién Régime” e Restaurazione (1752-1815): un itinerario goldoniano, Torino 1998, p. 182.
(27) Di Biasio, Rivoluzione e controrivoluzione, op. cit., pp. 566 e 569; cfr. AS Na, Amministrazione generale dei Rei di Stato, fascio 103.
(28) M.C. Nardella, L’Intendenza di Capitanata nel Decennio, in All’ombra di Murat: studi e ricerche sul decennio francese, a cura di Saverio Russo, Bari 2007, p. 176. La citazione “satelliti di Saliceti” è del Di Martino in A. Di Martino, La nascita delle intendenze: problemi dell’amministrazione periferica del Regno di Napoli, 1806-1815, Napoli 1984, p. 16.
(29) AS Na, Almanacco Reale, Napoli 1810, p 226.
(30) AS Ce, Tribunale di prima istanza, b. 4, f. 79; l’atto di vendita fu fatto il 20 dicembre 1808; i terreni ereditari del quondam don Roberto d’Azzia erano soggetto a maggiorato perpetuo, ma nel novembre 1807 dichiarò liberi i fondi primi soggetti al vincolo in virtù della legge eversiva delle sostituzioni fedecommessarie.
(31) AS Na, Cassa di Ammortizzazione e del Debito Pubblico, B. 726, n. 10693, a. 1810.
(32) Ivi, B. 726, n. 10698, a. 1810.
(33) AS Na, Decreti originali …, b. 35, decreto datato 30 aprile 1810.
(34) AS Na, Decreti originali …, b. 43, decreto datato 26 dicembre 1810.
(35) A. d’Azzia, Conclusioni del Pubblico Ministero nella causa di Roberti, Pastore e Costanzo contro Francesco e Saverio di Costanzo il 25 settembre 1811, Napoli 1811; anche tale opera si trova nella Biblioteca Museo Campano di Capua, nella sezione topografica.
(36) AS Ce, Catasto Provvisorio, Stato di Sezione di Capua, a. 1815.
(37) AS Ce, Catasto Provvisorio, Partitari dei Comuni di Santa Maria di Capua, Marcianise, Macerata, Vitulaccio, Capua e Bellona.
(38) AS Na, Cassa di Ammortizzazione e del Debito Pubblico, B. 249, a. 1816-17; al momento della stipula del contratto don Alessandro pagò 10000 ducati; in seguito in data 25 ottobre 1816 pagò 11516,66 ducati con fede di credito del Banco delle Due Sicilie e i restanti 216,67 ducati con altra fede di credito del medesimo Banco in data 18 novembre 1816; molto probabilmente queste 135 moggia erano comprese nelle 155 moggia dichiarate nel Catasto Provvisorio di Santa Maria di Capua.
(39) Iannelli, op. cit., p. 37.


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