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L’origine

Poesia

Domenico Cipriano (Biografia)
L’Arcolaio

Recensione di Roberto Maggiani
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Pubblicato il 28/09/2018 12:00:00

 

Poeta sapiente dalle molte sfaccettature, Cipriano incanta con questo suo lavoro, capace di evocare multiformi percezioni e consapevolezze: con versi strutturalmente liberi, tratteggia relazioni che dal reale si innalzano verso spazi figurativi in cui cerca rappresentazioni del presente, definendo una sorta di relazione biunivoca tra lo spazio empirico e quello eidetico per comprendere-interpretare la storia personale e globale: “[…] / C’è un giorno da cui non possiamo separarci. / Così / fremiti angoscianti seguono ancora e altrove / in altra veste / raschiando la grazia celestiale / da questo grumo sedimentato del cosmo. / […]” (pag. 35); “[…] / È tutto reale / nulla da consegnare alla surreale immagine del pensiero. / […]” (pag. 36) – per poi ricadere come pioggia sul terreno della memoria facendo germogliare nuove occasioni – “[…] / Un’ultima occasione / per avvinghiarci alla bellezza. Un risarcimento / al sentimento di sentirci vivi. La speranza di riavere dalla vita / l’ultima sostanza. / […]” (pag. 44). Cipriano è un tessitore di istanti, la sua mente guizzante “[…]  Fissa cardini / innanzi a precipizi, / con lo sguardo sulla valle spoglia / che copre i sedimenti del passato. /…/ E assumiamo il profilo della terra incolta / se non ricominciamo.”

Nella raccolta c’è una sorta di piacevole mestizia soffusa, preannuncio di una promettente arrendevolezza – alla quale le poesie, a tratti, s’intonano – porta d’ingresso a un climax del pensiero a cavallo di versi snelli calcanti sentieri di montagna che culminano su vette poetiche a ridurre la distanza tra la scrittura e i multiformi significati dell’esistenza, dove si acquieta, in qualche modo, la sofferenza del poeta – “Soffro la distanza dalla scrittura […]” – e il lettore ritrova speranza a motivo della gradevole empatia che si instaura con il poeta stesso.

Nel gioco di questa scrittura sono rilevanti i suoni e, di conseguenza, le distanze dalle quali essi giungono; modulati in volume e timbro, depositano suggestioni e memorie, oltreché nostalgie, che nutrono la voglia di scrivere o di leggere: “[…] Il mutare dei suoni in lontananza / preclude / la voglia di scrivere che immutabilmente assale. / […]” (pag. 33).

“[…] / Sono vividi e sospesi i monti / e anche le case cedono all’eternità / ora che è opale il fotogramma /nei corrugati della memoria. / […]”.

 

Si delineano, in modo esplicito o implicito, paesi e paesaggi, vivificati dalla memoria e dai sentimenti, passati o attuali, talvolta scoloriti o sfocati da variabilità meteorologiche inserite ad hoc nella composizione poetica; tali mutevolezze paesaggistiche sono adeguate alla ricerca dell’artista di quel “foro” montaliano*, portale d’ingresso al mondo delle relazioni perfette, al quale il poeta sembra anelare, che fa capolino fin dall’infanzia e non vuole in nessun modo materializzarsi nel reale: “Dei paesi vivete / il silenzio, il respiro / affannoso d’inverno, / la nebbia che sfoca / i contorni, le ore / fredde d’assenza, / […]” (pag. 51).

Nella bellissima poesia di pagina 25, l'autore tratteggia l’unitarietà della storia evocando un fondamentale senso di appartenenza alla categoria umana; “un sasso” diventa memoria di noi stessi, in ricerca di chi eravamo e di chi saremo, con la speranza che qualcosa potrebbe andare meglio di come, fino ad ora, è andata: “[…] / un sasso di cui non avremmo premure né interesse / se creature che ci hanno germinato / non avessero lasciato una traccia, senza / sapere del futuro, cercando di resistere / alle successioni del loro presente inesplorato. / […].” C’è tenerezza verso l’intera umanità: “Con delicatezza, dopo millenni di abbandono, / transitano tra le mani i resti / di una nostra esistenza sconosciuta, da ricostruire / o inventare nelle ipotesi più sognanti. / […] / Avremo la stessa cura (credendo illusi a un futuro eterno) / di tramandare un legame duraturo / con quanti attraverseranno questo spazio / e l’aria respirata da chi l’ha vissuto, / ora che lo sguardo ci rivela chiari / i segni illuminanti del paesaggio?”

 

In ogni caso: “Per legge fisica e per dinamica del tempo / dovrà accadere che questo sterminato fiorire di stelle / verrà a riflettersi nel vuoto oscuro / restando sottopelle. […]” (pag. 26). Ed è quello che succede ad alcuni di noi che hanno fiducia in un futuro migliore, la poesia apre alla speranza e non illude.

 

Una raccolta che mi sento decisamente di consigliare. Fin dal titolo evoca una genesi, un punto di partenza, un concepimento, una evoluzione che ha le sue ere, di pochi millisecondi, come sono le rapide percezioni dello spirito umano, quasi veggente davanti al formarsi dell’attimo, o ere di giorni-mesi-anni in cui gli attimi si uniscono come cellule a formare la creatura che è la vita umana e il suo fine.

 

 

 

 

* “[…] / fu così e fu tumulto nella dura / oscurità che rompe/ qualche foro d’azzurro finché lenta / appaia la ninfale / Entella che sommessa / rifluisce dai cieli dell’infanzia / oltre il futuro - / […]”, da “Accelerato”, Eugenio Montale.

 

 


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