Pubblicato il 24/09/2008 21:57:00
Vista la dilagante moda di usare termini propri della matematica in opere letterarie, anche da Adelphi si sono lasciati sedurre da tale vezzo, abbinando all’ammiccante titolo una altrettanto ammiccante foto di copertina, sebbene da Adelphi pongano sempre una particolare cura nel scegliere le immagini per le opere pubblicate, soprattutto nella prestigiosa collana Fabula, di cui questo volume fa parte col numero198. Anche l’autore è vistosamente ammiccante, quel Peter Cameron che con grande sorpresa dei più riscosse un vasto e meritato successo con “Quella sera dorata”, romanzo dall’ampio respiro e dalla vocazione quasi “Forsteriana” apparso sugli scaffali delle librerie quasi in sordina ma che piano piano seppe conquistare il suo posto – meritatissimo – fra i bestsellers della stagione. Visto il successo, si saranno detti, pubblichiamo e, stavolta pubblicizziamo, un altro suo romanzo - dal titolo assolutamente pompier - di “Un giorno questo dolore ti sarà utile”; libro consigliatissimo soprattutto dai librai, che forse ne avevano ordinate troppe copie visto il successo del precedente. Ebbene, come mi sarei dovuto aspettare, il libro mi deluse parecchio. Una storia degna dei primi vagiti di Leavitt, condita con prosopopea e sfarzo anedottico, ma che non va da nessuna parte e lascia nel lettore una certa aria di compatimento verso il protagonista. La struttura è quella che recentemente vedo spesso nei romanzi targati a stelle e strisce, una famiglia che più male assortita non si può, che passa il tempo a litigare e cercare di farsi del male, soprattutto per poi crogiolarsi nel rimorso e negli alcoolici. Famiglie che pur tentando di apparire disastrate, vivono negli agi che la cultura americana ritiene ormai indissolubili dall’essere umano: grandi case, automobili, lavori d’ufficio (nei romanzi americani che ho letto nessuno svolge mai un lavoro manuale, a parte lo chef di ristorante - considerato molto trendy) e scorte inesauribili di bevande alcoliche. Ed ora con grandi squilli di trombe appare questa esigua raccolta di racconti brevi “inediti” sottolinea l’editore (e meno male sottolineo io), scritti negli anni 80 ed uno in tempi recenti. Dopo aver letto i racconti mi è sembrato assai ovvio che li abbiano pubblicati esclusivamente per le tirature da sogno dei due precedenti libri, siamo qui di fronte ad un esempio di quel tanto amato movimento che prese il nome di minimalismo. Io, che non amo le etichette in genere, ricorro a questo termine in quanto le storie sono davvero minime, sono come delle istantanee scattate su scene di vita quotidiane, con situazioni amarognole e dialoghi davvero stucchevoli. Il racconto che dà il titolo alla raccolta parla di matematica così come potrebbe tranquillamente parlare di letteratura o educazione fisica, e lascia una idea nella mente del lettore che potrebbe tradursi in “embè?”. I racconti sono come sfere di vetro soffiato, o addirittura bolle di sapone, evanescenti, leggeri, possono per un attimo meravigliare, ma sono destinati a volare via senza lasciare grossi ricordi o meditazioni. Per un viaggio in autobus a Roma, periferia-centro, è assolutamente adatto e dura giusto quell’oretta, comprese distrazioni circostanti.
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