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Né il giorno né l’ora

Poesia

Nelo Risi
Lo Specchio - Mondadori

Recensione di Roberto Maggiani
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Pubblicato il 14/11/2008 21:53:00

Nelo Risi è nato a Milano nel 1920. E’ poeta e regista cinematografico. Esordì nel 1941 con la raccolta di versi "Le opere e i giorni", cui seguì "L'esperienza" (1948), che rievocava la partecipazione dell'autore alla campagna di Russia e l'esilio in Svizzera. Già queste opere, come le successive, sono caratterizzate da un forte intento etico, lo stesso che si riscontra parallelamente anche nella sua produzione cinematografica, con la scelta di temi di deciso impegno civile.
"Né il giorno né l’ora" è un capolavoro di poesie in versi concatenati, una “libera scrittura quasi in prosa”, come lo stesso Risi afferma. Un libro docile, in cui ancora, come nel suo precedente "Ruggine" (2004), v’è il tema del tempo, inesorabile ma non invincibile; il tempo è saggezza e riflessione, e porta l’uomo a una nuova visione della vita; la morte stessa, all’apice di una esistenza, può essere vista in una nuova e allettante prospettiva, e forse se ne può dare una nuova definizione: “[…] un nuovo dizionario ci vorrebbe / per comprendere la morte / come nuovo elemento di vita”. Il poeta parla tra sé e sé, non sa né il giorno né l’ora, “Un’età più che rispettabile / davvero si stenta a superarla […]”, in cui qualcosa avverrà, “[…] ancora per poco e tutto / sarà leggenda in famiglia […]”; egli vive la sua vita con la consapevolezza dell’approssimarsi della fine della propria esistenza terrena, “[…] Anima che farai / ora che il corpo se ne va…”, ma nel poeta non v’è ansia poiché la sua è una razionale e meditata presa di coscienza del fatto che “[…] non è più il mio tempo / non ha più il mio spazio: al cerchio / per chiudere manca un trattino / […]” ma quel trattino è ancora pieno di potenziale.
E’ un libro intimista, ma con quella caratteristica propria di Risi di sapersi parte integrante di un mondo che da sempre lo chiama in causa e verso i cui guasti si orienta criticamente; le poesie sono pensieri su sé stesso e sul proprio rapporto con il mondo, esposti con umiltà e intelligenza. Risi non ha una voce che grida e sparge epiteti, ha invece una voce seria e serena che sa dire ciò che manca al mondo che lo attornia, per quanto egli ormai, un po’ per scelta, un po’ per causa di forza maggiore, talvolta se ne allontani, poiché non c’è ascolto verso “l’antica sapienza”, depositata dalla vita stessa in coloro che, come il poeta, han vissuto molti anni e vedono ormai il mondo da “[…] / Oltre il mare dove inizia l’erba / con promesse di pascoli e di costellazioni / […]”. Risi denuncia il non ascolto come un male del tempo moderno, il mondo non ascolta la voce dei propri “nonni” che hanno visto qualcosa che non si doveva vedere, nel dolore e nella disperazione di giorni tristi, ormai lontani ma sempre pronti a crollare sulla giovinezza stolta, “[…] Dov’è finita l’antica sapienza / venerata e tirannica quando i nonni / pur tacendo imponevano silenzio / chi mai oggi ascolta più? / […]”. Risi vive in prima persona l’esperienza dell’esclusione, in un mondo veloce e accelerato non a misura di coloro che iniziano ad avere il “fiato corto” e restano indietro, “[…] / ti appoggi al muro fa spalliera / neanche un angelo che ti accompagni”; parole commoventi, tristi, che attendono risposta. Egli ha dalla sua la notorietà e la capacità della Parola, può scrivere i suoi pensieri, e in questo modo, lodevolmente, dà voce a tutti quegli uomini e quelle donne che stanno nell’ombra senza quell’angelo che li sostenga e che li aiuti quando il fiatone li assale, volendo ancora rincorrere quelle piccole speranze che da sempre volano nell’aria tersa del loro cuore.
E’ vero che “la vita gli scorre sopra” ha un “fazzoletto di vita che gli resta” ma ha ancora “una legittima richiesta: / auspica energia per delle vecchie speranze / quasi presumesse una seconda giovinezza / tale da scuotere l’Europa / dalla ben nota inerzia / tuttora capace di un centro / - vecchia quercia asfittica / la si vorrebbe alta nel cielo / e il più possibile chiara”.
Se da una parte vi è la tendenza del poeta, mai sopita, a intervenire con il suo pensiero in relazione alle schizofrenie dell’epoca moderna, dall’altra vi è invece una delusione che lo porta ad escludersi dalla falsità del dire e del fare, “un vaneggiare di parole / […] / si riuniscono parlano di amori / […] / non posso che tacere / frasi fatte […]”.
Infine un bellissimo testo, intitolato “Continuare…”, rappresentativo dell’anima del poeta e della sua piena sintonia con la vita, e in cui si manifesta appieno la sua libertà e il suo pieno ascolto alla verità: “[…] / Ho vissuto con fiducia nel reale che non sento / il bisogno di portare con me niente / ho acquistato negli anni il piglio / di preservarmi dai vuoti dai richiami / del sociale dal come valutare gl’incontri / lasciare al mezzo una conversazione le spalle / al banale limitare gl’inviti o a mattino inoltrato / fischiettare Mozart staccando la spina per cogliere / l’istante di vero che talvolta mi dà luce”.
Un libro consigliabile per l’ampia veduta sul mondo di oggi, di una persona che ha attraversato quasi un secolo di vita e ha maturato saggezza dal suo sempre cercare e mai saper sostare in comoda solitudine ai margini degli eventi, un libro che offre uno sguardo sereno sulla vita che giunge al suo apice, che sa ascoltare la “Voce delle cose / […] / una vertigine dall’invisibile / al visibile che affiora”.

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