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Argomento: Cinema

di Michelangelo Franchini
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Pubblicato il 16/03/2015 00:30:12

Riggan Thomson -un Michael Keaton usurato dal tempo- tenta di cimentarsi con un proprio adattamento di Carver in un teatro di Broadway, dopo una carriera costruita sul ruolo dell'uomo uccello, icona fumettistica remunerativa ma anche eterna frustrazione per un attore che vuole essere preso sul serio. Ma una sinossi da sola non può restituire la forza di questa storia, raccontata con continuità emblematica, senza brusche interruzioni. Riggan, uomo distrutto e icona della celebrità hollywodiana, cerca di fuggire alla figura che lo ha reso famoso e poi assorbito, al punto da arrivare a rappresentare il suo super-io come individuo mascherato che dialoga con il protagonista.

Un individuo che incarna l'onnipresente possibilità di una facile affermazione -anche economica- in cambio della rinuncia alla propria integrità artistica. Il conflitto che infatti consuma i personaggi è quello della difficile ricerca di una dimensione artistica sincera e riconosciuta in un mondo ostico come quello del teatro, annichiliti dalla stupidità di un pubblico che vive di eroi bidimensionali ed effetti speciali magniloquenti, incapace di apprezzare qualcosa più che la spettacolarizzazione barocca di storie commerciali e senz'anima.

La macchina da presa insiste impietosa nel mostrare il retroscena degenerato di un mondo sfavillante, il triste destino di una celebrità che ha vissuto di eccessi e ha trascinato con sé la propria famiglia, diretto prodotto dei suoi sbagli e delle sue sregolatezze. Il riferimento a Carver non è casuale: carveriana è infatti la regia che sceglie sistematicamente di non mostrare mai l'azione diretta, solo i suoi effetti -secondo la lezione del grande narratore americano, il quale a sua volta aveva seguito il consiglio di Hemingway di “trattenere indizi per sette ottavi”- e la loro deflagrazione. La storia procede impietosa verso una catarsi che sembra scontata, ma non lascia mai indovinare nulla.

La bravura della coppia Keaton-Norton è tale da veicolare con successo il ritratto del profondo tormento di due uomini -a loro modo simili- che inseguono l'arte, consapevoli delle rinunce necessarie ma non per questo meno immuni alle conseguenze che comportano. Entrambi uomini lacerati in cerca di qualcosa -redenzione il primo, affermazione l'altro- che si condensa in un ultimo grande spettacolo, per il quale sacrificheranno tutto. 


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