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Pensieri sparsi sul centro storico di Palermo

Argomento: Esperienze di vita

di Maddalena Rotolo
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Pubblicato il 09/04/2015 07:06:11

Mi ritrovo a “passeggiare” ormai ogni giorno, più o meno velocemente, per le strade del centro storico di Palermo.

 

Devo tristemente riconoscere che per me, nata e cresciuta fieramente in centro e poi tristemente trasferita in una periferia dalla mentalità quasi “paesana”, questa frequenza ormai quotidiana del centro storico è stato per diversi giorni un toccasana.

 

Da attenta osservatrice quale sono, ogni pietra o arco ha una storia da raccontare, un mistero da svelare. E ogni giorno, nonostante la frequenza, rimango stupita dalla bellezza artistico-monumentale del centro storico della mia amata città: chiese e palazzi nobiliari, conventi e  monasteri, cupole e  torri… veri e propri monumenti frutto di artisti ed architetti fieri, competenti, sognatori.

 

Niente da stupirsi che tanti di questi edifici siano stati riconosciuti quali monumenti nazionali e come tali vengano tutelati. E niente da stupirsi che il centro storico della mia amata città sia stato candidato dall’Unesco per l’inserimento nella lista dei patrimoni mondiali dell’umanità.

 

Non sono pochi i palermitani (e non solo) che acquistano immobili nel centro storico, immobili che da anni versano in cattive condizioni e li ristrutturano. Una vera e propria opera di riqualificazione, sostenuta dal Comune che contribuisce con vari incentivi a questo recupero, per rivalorizzare il centro storico, per ripopolarlo.

 

Non nego di essere stata solleticata da quest’idea: acquistare casa al centro storico, vivere tra pietre dense di storia e di bellezza, essere circondata da colori e profumi di ogni tempo… Certo, proprio un regalo meraviglioso per mia figlia che, dalla maxi-vetrata della scuola che adesso frequenta,  vede la città dal meraviglioso, affascinante punto di vista dei tetti e delle cupole.

 

Ma l’altro pomeriggio, ancora una volta come un mese fa circa quando lo stesso problema mi condusse in piazza del Garraffello lasciandomi dentro per più giorni una sensazione di profondo ribrezzo, una strada chiusa per lavori e i sensi circolatori obbligati hanno mostrato a me e mia figlia un altro aspetto del centro storico, un punto di vista molto più “basso” e concreto  che ha lasciato interdetta me e sconcertato lei.

 

Altro che fusione di colori e profumi, altro che suggestiva bellezza!  Sono ben lontani i tempi in cui Ballarò e la Vucciria erano mercati vivi e pulsanti degni di essere ritratti da Guttuso e dove l’odore del pesce fresco  si mescolava a quello del caciocavallo del “Coccodrillo” solleticando piacevolmente le narici.

 

Abbiamo assistito al trionfo della sporcizia e del degrado, all’apoteosi  della rassegnazione e del malaffare.

 

Perché il centro storico non è solo la via Maqueda chiusa al traffico e più o meno “impupata” in virtù delle fioriere, e non è nemmeno il corso Vittorio Emanuele  con le sue meravigliose chiese e  i suoi palazzi adibiti ad hotel e musei. Eh, no! Il centro è fatto anche delle vie interne: quelle strade e quei vicoli dove, passando, non vedi più negozi "storici", chiusi per la crisi o per le intimidazioni, o trasferiti perché non reggevano più lo schifo dilagante; dove i palazzi storici cadono a  pezzi, perché i loro proprietari non vogliono spenderci una lira . E dove, “in compenso”, vedi “signore” sporche e attempate sedute davanti a portoncini spalancati su monovani in cui al centro troneggiano materassi macchiati in attesa del prossimo porco di turno (e le scuole a un tiro di schioppo!!!); dove vedi utilizzare le lastre di marmo poste davanti ai portoni dei palazzi come appoggio per consumare atti sessuali  e, agli angoli degli stessi portoni, esseri umani di sesso maschile di tutte le età “urinano” tranquillamente anche alla luce del sole (avrei voluto usare un termine più “spartano” per rendere l’idea del disagio provato a  quella vista, ma sono troppo signora per cedere alla tentazione di farlo); dove i ragazzi sniffano, anch’essi alla luce del sole,  utilizzando gli specchietti retrovisori di quella bolgia infernale di auto posteggiate ovunque e in malo modo grazie a compiacenti posteggiatori di colore che ti prendono a male parole se tu per girare l’angolo della strada con la tua monovolume devi fare venticinque manovre; dove centinaia di ragazzi, maschi e femmine,  stanno seduti davanti a  tavoli sporchi circondati dalla spazzatura consumando l’ormai obbligatoria birra delle ore 18; dove non vedi un vigile, né un carabiniere e sai per certo che gli oggetti vomitevolmente sporchi che vendono sui marciapiedi sono rubati nelle case di onesti cittadini e che quello è il regno delle scommesse clandestine e degli schiamazzi a  tutte le ore del giorno e delle risse e degli allacci elettrici abusivi...

 

Leggevo da qualche parte che i giovani bazzicano quelle zone (Ballarò, Vucciria, Albergheria) perché nessun’altra zona della città “offre svaghi a basso costo” come quelle. E io ricordo quando ero ragazzina io e mi chiedo come si possa scendere così in basso per “risparmiare”.

 

E allora ripenso alla solleticante idea di trasferirmi in centro e penso che neanche lì riuscirei più a radicarmi, che anche lì non riuscirei a dormire come mi succede regolarmente nell’allegra borgata in cui vivo, in cui la notte si alternano le gare di corsa di moto o cavalli ai furti e ai pestaggi, e se chiami la Polizia ti senti fare mille domande stupide e quando arriva finalmente la volante  è passato così tanto tempo che se ne sono già andati tutti perché hanno finito di farsi gli affari loro. Se mai arriva, la volante, perché il più delle volte ti senti dire che “riceviamo tante di quelle segnalazioni che non è che possiamo correre per tutte” e poi magari, qualche amico che lavora come vigile o poliziotto ti confida amaramente che loro da qualche parte non vanno, per “garantire l’ordine pubblico”.  

 

Ah… perché adesso l’ordine pubblico si garantisce così, consentendo alla mafia di continuare a dilagare indiscussa e per niente sommessa?

 

No, non potrei radicarmi mai e poi mai. Non potrei mai vivere da “reclusa in casa” senza avere neppure la possibilità di affacciarmi e consapevole di avere un “coprifuoco” da rispettare per non guardare e  non “fare abbili”. Un coprifuoco che non partirebbe certamente al calar del sole…

 

Mi chiedo, quando la commissione Unesco è venuta a Palermo  qualche giorno fa, che giro le abbiano fatto fare. Mi chiedo cos’abbiano pensato. Mi chiedo come possa, un sindaco che sembra amare Palermo svisceratamente e che ha fatto della lotta alla mafia una vera e propria ragione di vita (almeno così ricordo, io che ho vissuto la primavera di Palermo), non far nulla di fronte a tutto questo, e vantarsi  di ciò che Palermo è stata e di ciò che le varie dominazioni ci hanno lasciato nel tempo. E il presente? E il futuro di questa città?

 

Eccola la mia città. La città di cui sono assurdamente innamorata, e che non smette mai di deludermi, giorno dopo giorno. Perché Falcone e Borsellino sono morti, e le spoglie di padre Puglisi riposano nella penombra proprio nei pressi di quelle strade e di quei vicoli, e tanta gente lotta ogni giorno per mandare a quel paese la mafia e io ho impiegato più di vent’anni della mia vita nell’educare, fra le altre cose, alla legalità per poi constatare che la mafia continua ad imperare e che i giovani ne rimangono irretiti in vario modo in nome di un non meglio definibile “divertimento a basso costo”.

 

A questo punto, penso che se mai deciderò di andarmene dalla strada in cui vivo e  da cui, a causa dello sfruttamento edilizio, non si vedono più neppure le verdi montagne che mi piaceva tanto guardare da bambina, quando ci venivo per andare in visita dai nonni, sarà per andare a stare in riva al mare: da lì non vedrò cupole e chiese, e sarò ben consapevole che da qualche parte si consuma tutto lo schifo possibile e si discute con il politichese più insulso, ma almeno i colori e i profumi saranno ancora capaci di suscitare il mio stupore.


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