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Stragi degli innocenti, ieri e oggi

Argomento: Sociologia

di Maddalena Rotolo
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Pubblicato il 11/04/2015 15:04:31

«Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande; Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più» (Mt 2, 18).

 

 

Erode, duemila anni fa. Erode, che alla richiesta dei Magi che volevano sapere dove si trovasse il re dei Giudei che era nato, ebbe paura di un bambino. Lui, il superuomo. Il detentore del potere. Colui che deteneva il potere di vita e di morte su tutti. Erode ebbe paura di un bambino di povera gente, nato in un viaggio, un migrante, senza fissa dimora. E mandò ad uccidere tutti i bambini al di sotto dei due anni.

 E le madri piangevano. Si ribellavano. Cercavano di strappare i loro figli a quel volere cieco, a quel destino inaccettabile. Per poi accasciarsi al suolo, disfatte dal dolore, stringendo al petto i corpicini martoriati dei loro figli, carne della loro carne. Qualcuna inseguiva un soldato, in cerca di vendetta, perché un crimine del genere non può restare impunito.

 

Erode. Oggi. Quanti Erode anche oggi uccidono i bambini. Quanti uomini pensano di ostentare il proprio potere nel sopraffare i piccoli. Si ritengono superuomini anche loro, superiori ad ogni legge. Al di là di ogni morale. In barba a Convenzioni e Tribunali.

Quante stragi di bambini, ancora oggi. Raccapriccianti.

Bambini venduti come schiavi…

Bambini usati per il fiorente mercato degli organi…

Bambini che vengono fatti prostituire…

Mogli-bambine…

Bambini uccisi dall’odio di fanatici religiosi…

Bambini soldato…

 

 

E poi c’è un’altra strage di bambini. Ancora più barbara e agghiacciante. Ancora più esecrabile. Assolutamente inaccettabile. Una strage che si consuma nel Nord del mondo, in quella parte del mondo più ricca ed evoluta, guastata dal benessere, in cui i bambini vengono uccisi dalle loro mamme.

E i giornali scrivono fiumi di parole. In TV in quattro e quattr’otto son pronti ospiti d’eccezione, ricostruzioni particolareggiate e plastici costosissimi. I media condannano ancor prima di “sapere”. Sanno che questi casi vendono. Fanno notizia come nessun altro. Perché non ci si può credere. Perché il mondo ci cade addosso, quando una mamma uccide la sua amata creatura. Perché una mamma ama il suo bambino. Non può non amarlo.

Solo che l’amore è qualcosa di cui a volte non si può sostenere la grandezza.

L’amore è la prova più dura che si possa affrontare, nella vita.

Amare significa ammettere che esiste qualcuno, oltre noi.

E l’amore esige che si faccia il suo bene, prima che il nostro.

Spesso solo il suo bene, piuttosto che il nostro.

Ma noi spesso sappiamo solo amare noi stessi.

E quando arrivano gli altri, continuiamo solo, attraverso loro, ad amar noi stessi.

Non siamo in grado, molto spesso, di amare gli altri attraverso noi.

Non sappiamo andare oltre noi.

È così da sempre. E da sempre, Eros e Thanatos sono inscindibili.

Al momento dell’accusa, una volta messa all’indice la madre-Medea, inizia il tempo della ricerca delle colpe: depressioni post-partum, schizofrenia, amore infinito che non voleva “veder soffrire la propria creatura”, profonde angosce rimosse, remote violazioni dell’anima e del corpo, assordanti ed incomprensibili pianti interiori… Tutte sacrosante motivazioni. Più o meno vere.

Perché, purtroppo, è anche vero che oggi tante mamme sono troppo abbagliate dalla “luccicanza” della società dei consumi. Serate e selfie, amiche e carriera,  sembrano essere diventate una vera e propria ragione di vita. Tutto il resto viene dopo. Anche un figlio. E ci si sente sempre più vuota e insoddisfatta. Ci si sente sempre più sole.

Unico comune denominatore: la solitudine. Una solitudine che schiaccia. Perché ognuno è circondato da tutta una serie di persone che “stanno accanto” senza guardare, prese dall’apparenza, prigioniere della stessa “luccicanza” a volte.

E spesso le mamme che uccidono sono le più belle e straordinarie, quelle che “nessuno se lo sarebbe mai aspettato” perché sono le più brillanti. E chi sta loro accanto le guarda con invidiosa ammirazione senza scendere mai dentro a cogliere la verità che serbano nel profondo…

Fa molto male, la solitudine.

È il peggior male del nostro secolo, la solitudine. Non infinita, ma infinitamente crescente. Nonostante centinaia di amici su Facebook. Nonostante le serate e lo shopping e il “successo” sociale.

Basterebbe imparare a guardare le persone. A guardarle davvero.

Basterebbe imparare ad ascoltarle. Nel detto e nel non detto. Ad ascoltarle davvero.

Ciò farebbe sentire amate, comprese, non colpevolizzate, non fallite…

E allora Mermero e Fere non dovrebbero più temere Medea. 


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