“Indice di immortalitá” di Marina Petrillo è un’opera complessa e profonda che esplora temi come la natura del silenzio, la relazione tra l’umano e il divino, la memoria e l’oblio. La scrittura è densa e ricca di immagini ricercate, con un linguaggio che oscilla tra il lirico e il filosofico.
In essa, l’Autrice, ispirandosi anche a varie, antichissime tradizioni culturali, tra cui la Cabala e l’ermeneutica di testi sacri e filosofici, sembra voler descrivere il processo creativo e la genesi dell’opera d’arte, con riferimenti alla musica, agli stadi di coscienza metapsichica e alla gnosi, introducendo poi il tema del silenzio e del vuoto, che diventa un elemento centrale nella riflessione poetica. Particolarmente emblematica è un’invocazione alla creatura creante, che rappresenta la fonte di ogni natura e il destino umano, e sembra preannunciare una fine o una trasformazione, con sapienti, abilmente dissimulati, elementi di rivelazione. Di grande valenza poetica risulta il richiamo a una figura femminile, che rappresenta la perdita e la ricerca di identità.
Il linguaggio è particolarmente ricco di metafore e simboli, che richiedono una lettura particolarmente partecipe e spregiudicata. L’Autore, infatti, nel suo ardimentoso percorso di scrittura, esplora i limiti della parola e della sua cosmogonia, cercando di perseguire l’inesprimibile e l’indicibile.
La scrittura è sontuosa e evocativa, e la struttura è abilmente articolata, con una logica interna che guida il lettore attraverso i vari difficili temi e le arcane immagini.
Un’opera di poesia, insomma, di grande originalità e spessore, di elevate, ma giustificate, ambizioni espressive.
Mi ha particolarmente colpito, tra i numerosi testi della raccolta, un “Incipit”, che parte dall’immagine di un “sommesso atonale” che lacera l’ascolto di “Musikanten”, suggerendo la dissonanza e la tensione che possono caratterizzare il nostro vivere:
“Un sommesso atonale lacera
L’ascolto di Musikanten
Un bemolle disserta sul candido
destino di un semitono
Sordità in ascesa nell’incauta
Secessione della dissonanza
e della consonanza.
Scale cromatiche discendono
su scale di Giacobbe, angeli
percorrono a ritroso i passi
in alchemico prolungarsi dei suoni
in sogno
il paradigma del risveglio accade
Nuovo gene della contiguità con il divino
Le scale esatonali di Debussy
i madrigali di Carlo Gesualdo
sciamano preziosità accolte in conchiglie
di instabile entropia.”
Il “bemolle” che disserta sul “candido destino di un semitono” fa riferimento alla complessità e l’incertezza della dimensione umano del “reale”.
La “Secessione della dissonanza e della consonanza” è un’efficace modalità simbolica di alludere alla tensione tra ordine e caos, armonia e disarmonia, che comportano la distanza tra il rapporto con la libera fruizione della musica e l’assai meno fluida percezione della peculiarità del nostro contrastato logos esistenziale. La “sordità in ascesa” è un’icastica metafora della nostra incapacità di ascoltare e comprendere pienamente la complessità del mondo.
L’immagine delle “scale cromatiche” che discendono su “scale di Giacobbe” si riferisce all’elettivo collegamento tra la musica e la spiritualità. Gli angeli che percorrono a ritroso i passi sembrano rappresentare l’ardua ricerca spirituale e la costante fatica della connessione con il divino.
La frase “il paradigma del risveglio accade” vuole indicare, invece, finalmente, un momento di illuminazione e comprensione, in cui il soggetto comprende il significato elettivo della musica e dell’essere al mondo.
“Le scale esatonali di Debussy” e “i madrigali di Carlo Gesualdo” vogliono rappresentare, io credo, che la musica può essere un mezzo per raggiungere la dimensione spirituale ed entrare in contatto con il divino.
In un mondo dove la musica può essere il linguaggio dell’anima, un suono sommesso e atonale lacera l’ascolto di coloro che cercano di comprendere il destino umano. La dissonanza e la consonanza si scontrano in una lotta senza fine, mentre la sordità dello spirito umano aumenta.
Ma in questo caos, c’è un momento di risveglio. Le scale cromatiche della musica discendono su di noi come, appunto, una scala di Giacobbe, conducendoci a una nuova dimensione spirituale dove le presenze angeliche possano compiere, seppur a ritroso, i passi di un ritrovato, forse risolutivo, avvicinamento.
La musica diventa così il tramite della contiguità con il divino, un mezzo per superare i limiti della nostra umanità e accedere a una dimensione più alta. In questo risveglio, comprendiamo che la musica non è solo un suono, ma il linguaggio trascendente e prodigioso che ci permette di entrare pienamente, alla fine del percorso, in contatto con l’universo e con noi stessi.
Tutta l’opera sì muove agilmente, con esemplare armonia, in un’atmosfera onirica, autentica e misurata, che non indulge mai ad artifici e freddi cerebralismi, portando il lettore a riflettere sulla natura della creatività e dell’esperienza umana.
Per questi determinanti elementi del tanto composito, ma sempre unitario, testo poetico, possiamo affermare che “Indice di immortalità” è un esempio non comune di come la poesia possa costituire un vero itinerario iniziatico verso la scoperta di sé e delle più recondite leggi dell’universo.