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Mirtos

Narrativa

Pavlos Màtesis
Crocetti Editore

Recensione di Giuliano Brenna
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Pubblicato il 15/01/2009 23:57:00

Mirtos è un bambino di otto anni, addormentato dal giorno della sua nascita ed accudito da due anziani parenti, gemelli nonagenari, che vivono una stravagante esistenza terrorizzati dal freddo e dalle malattie in genere, e notevolmente costernati dal fatto che potrebbero morire prima che il bimbo si risvegli. Il passatempo preferito dagli stravaganti vecchietti è spiare col cannocchiale gli abitanti della casa di fronte alla loro. I dirimpettai sono una famiglia altolocata e la loro servitù, formata da una specie di eunuco, che è segretamente amico dei vecchietti, ed una coppia con una figlia, oltre altri servitori di minore importanza. La coppia dei padroni di casa, invece, ha una figlia ritardata ed un figlio, bellissimo, che si vuole maritare per impedirgli di partire per la guerra. La narrazione, dopo un’iniziale introduzione sulla casa dove vive Mirtos, si appunta proprio su questa abitazione borghese, dove, sotto una apparenza di rispettabilità si nasconde una coltre di nefandezze, soprattutto perpetrate dal padre, afflitto da una specie di machismo che lo porta ad impalmare illegittimamente la figlia dei servitori e la promessa sposa del figlio. Questa esuberanza sessuale dell’uomo sembrerebbe trarre origine da un fatto avvenuto nell’infanzia e che ha come contraltare la castrazione del servitore eunuco. Le vicende della famiglia si svolgono in modo sempre più grottesco, sino ad un finale che vede tutti i protagonisti scendere in piazza in una sorta di catarsi. Nel frattempo Mirtos continua placidamente a dormire, e sognare, consapevole di questo suo stato, e non ignaro di quanto gli succede intorno. Infatti sarà proprio lui, al suo improvviso risveglio, a fare giustizia di ogni male perpetrato dagli adulti ai danni dei bambini. Adulti che si sentono nel diritto di fare qualunque cosa, anche le più turpi in nome della salvaguardia delle apparenze, celando le azioni più abiette con la scusa del bene supremo, spesso con l’avallo della Chiesa, sensibile più al danaro che alla vera giustizia. Bambini vengono torturati, chiusi in convento, tenuti segregati, fatti morire per celare i misfatti degli adulti, ed il fatto che Mirtos dorme, ma è consapevole, sottolinea nettamente l’apparente incapacità dei fanciulli a capire ciò che i grandi combinano, ma come questo male in realtà incida profondamente l’indole dei bambini stessi, i quali, non appena in grado di agire da soli (come quando Mirtos si sveglierà) sentono subitaneo l’istinto della vendetta contro le crudeltà degli adulti. Vendetta che ci viene presentata sì cruenta, ma letta sul filo della metafora che pervade il libro, ci appare come purificatrice, un anticipo di quella giustizia che gli adulti si illudono di evitare ammantando tutto con le buone maniere e con i non si dice.
La narrazione è mirabile sotto un punto di vista formale, con una trama assai ben congegnata, non priva di colpi di scena, e lati ironici molto simpatici, si inserisce in un filone che lo fa accomunare a cent’anni di solitudine, per i parenti dai nomi simili e per certe ambientazioni campagnole; o alla delfina bizantina, in cui sotto un tourbillon di avvenimenti, cruenti o ridicoli, nasconde un forte messaggio ed il monito di come la famiglia sia di fatto lo specchio della società, e se si è violenti nella prima la seconda avrà certamente da scontarne il fio.

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