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Il pappagallo di Mahler

Racconti

Torgny Lindgren
Iperborea

Recensione di Giuliano Brenna
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Pubblicato il 06/02/2009 20:49:00

Una raccolta di racconti assai singolare, tanto per cominciare nessuno dei dieci racconti ha un titolo, semplicemente un numero, quasi l’autore volesse dire che benché siano racconti separati, con trame e protagonisti ben distinti, essi non sono altro che semplici capitoli di una storia più ampia che è il libro intero.
Ma questa non è l’unica singolarità, o forse è la minore, leggendo i racconti si ha infatti l’impressione di trovarsi in un mondo parallelo, in cui realtà e immaginazione si mescolano e convivono perfettamente in sintonia. Tuttavia, malgrado la mescolanza di elementi fantastici, non siamo di fronte ad una raccolta di scritti fantasiosi, o di genere fantasy, siamo davanti a degli scritti in cui, alla ordinarietà del quotidiano, si mischia qualcosa di fuori dell’ordinario, ma non per creare delle vicende inverosimili, semplicemente per fornire un’altra versione, una versione “probabile” di fatti reali. Per esempio, nel racconto che dà il titolo alla raccolta, il grande compositore Mahler avrebbe tratto il motivo portante del suo “Lieder alla terra” dal canto di un pappagallo, giunto sino a lui per una serie di avvenimenti incatenatisi in modo casuale ma assolutamente geniale. Oppure, invece, nell’ultimo racconto il principe Eugenio, l’artista della famiglia reale di Svezia, va di nascosto in una misera pensione ad imparare i segreti dell’arte da un imbrattatele, assai portato per la millanteria e per l’imbroglio, e anche nel momento in cui viene riconosciuto come membro della famiglia reale, gli astanti, che sul principio non avevano capito chi era, continuano nella loro convinzione che quello strano personaggio era un agente di commercio, come la maggior parte di essi.
In altri racconti incontriamo personaggi meno noti, alle prese con incombenze assai particolari, uno è un vecchietto per il quale fare 19 scalini è una impresa titanica, magistralmente descritta; un altro è un gigante che decide di disboscare una foresta vergine per avere una migliore vista, ed in questa impresa si consuma, letteralmente. Il libro è una girandola di personaggi e avvenimenti minuziosamente descritti con un gusto particolare a metà tra la leggenda e la storia, sempre comunque con quell’alone di magica semi-realtà, o realtà probabile. Il sublime ed il grottesco spesso non hanno un confine così netto come si potrebbe pensare, ma si compenetrano, fatti sublimi hanno origine da accadimenti grotteschi, oppure situazioni che hanno del grottesco mostrano improvvisamente il loro lato etereo, quasi con una luce divina. Così il ricco commerciante deciso a tenere con sé una prostituta a patto che essa non si innamori di lui, si trova improvvisamente innamorato e smanioso di vivere con la donna, precedentemente cacciata perché ha dimostrato dell’affetto e gli ha reso i soldi ricevuti.
Il mondo creato da Lindgren in questo libro è tanto reale quanto paradossale, in esso convivono alberi magici ma un po’ confusi, un bimbo che per sopravvivere alla tubercolosi si stacca dal suo corpo e vola sul soffitto, contadini che discutono sull’essere e sull’apparire, un semplice contadino che si ritrova negli ingranaggi della storia senza sapere il perché e muore per avere un po’ di pace, per dire alla Storia di lasciarlo in pace. In questo mondo tutto diventa possibile, probabile, l’arte entra nel quotidiano e lo dipinge coi colori della fantasia trasformando i più semplici personaggi in fautori di splendide opere d’arte, gli Artisti in semplici personaggi.
Un libro molto bello e divertente che lascia il lettore stupito e divertito come un caleidoscopio in cui ai colori della realtà si sommano quelli dell’immaginazione.

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