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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

La poesia di Ines Cergol

di Ines Cergol 

Proposta di Loredana Savelli »

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Pubblicato il 01/04/2012 09:27:51

C'è acqua
quando è vuota la sorgente?

Favole di fondali,
voci di oscurità
generano inquietudine
e nascosta nel tempo
risvegliano la fonte
che cade, cade
attraverso la pace
nel buio delle profondità
e sogna, sogna
la propria origine
fino ai dolori della nascita.


*

solo a causa dell'acqua pesante
penso silenziose galee
è l'acqua ad attirarmi
nel fluire degli scrosci
delle onde in fuga
che non sommergono
mai
i loro bordi


*

dovrei dubitare della gravità terrestre
essere ancora incerta della gravità della terra
che mi porta addosso
che mi prende in sé

puntini scintillanti
nella spirale del vento
di grida
biforcute come serpenti
generano il cielo
attraverso l'occhio cieco di dio
attraverso le tenebre del tempo
che si spegne
che si spegne


*

quando te ne stai andando
dall'altra parte
ti aspetta sempre qualcuno
pur sapendo
che sei completamente solo
e totalmente tuo
e sconosciuto
e te ne vai
quando da questa parte è ancora giorno

*

Essere identico

essere un altro
in te
estraneo a te e a sé
nella realtà di nessuno
con una metà
fissare assorto il deserto
correre verso il nulla
sul cordone ombelicale
oscillare nella morte
essere lo stesso
intero a metà
chiuso-aperto

*

Porta sbarrata

questa porta
che ogni giorno
si apre e si chiude
piena di correnti d'aria
piena di polvere
dalla strada dirupata
sopra la terra battuta
questa porta
dai cardini che cigolano
appesa alla maniglia
come volesse uscire
anche lei
questa porta
spalancata nel vuoto
sbarrata nel vuoto
davanti a chissà chi

*

Angelico fremito

l'ultima spira
dell'incenso odoroso
promette la salvezza
posa in modo così seducente le labbra
sulle gelide pietre
da provocare dolore
dolore nel corpo
dolore negli angoli degli occhi
il bianco pulviscolo nevica oltre l'orizzonte
pizzica le mani vuote
cent'anni di solitudine
traversano veloci il mare
le rondini perdono il volo
le passiflore chiudono in sè le loro corolle
coprimi
coprimi davanti a questo bianco freddo
forse dio avrà pietà
avvertendo
l'angelico fremito


*

Fulgura

non scolpire
lettere alfabetiche
sull'orlo dell'inesprimibile
sull'orlo dell'inavvertibile

che orlino l'oscurità
nell'albero genealogico delle rocce

che il triduum pascal
sia
il preludio
nell'imprevedibile

tra le spine
sull'abisso marino
nei sepolcri dei corpi

che la danza sia
stupore
di una lettera
segmentata

*

Angor

silenzio d'aquila
allungata come un uragano
oltre la cresta montana

silenzio d'Aquilonia*
limpidezza di un contatto fascinoso
intimità – serenità
morbidezze – sostanze
turgidezza della pupilla
oltre il nucleo marino

la fragranza della salvia
ammorbidisce dolcemente
il margine roccioso
della paura e dell'audacia

nuotare nuotare
nelle profondità
che assorbono
il riflesso del cielo
sotto le ali dell'aquila
avvinti
dalla sacralità

* Orlec - località sull'isola Cres che significa aquilotto,
sotto l'Italia veniva chiamata Aquilonia.


*

Nascor

quale lingua
infiamma
la veste alla rosa
risveglia l'assonnata
conoscenza delle labbra
slega lo sguardo
nella spontaneità delle erbe
nel germogliare del fuoco

quale lingua
nuova
profetizza
la diversità
scopre
la casa perduta
contorce il corpo
nella precocità
nell'armonia
delle metamorfosi

*

Desideratio

risvegliare
l'aurora
senza interrogativi
senza sguardo retroattivo
senza civetteria
senza sogni
portarla
nel giorno

vegliare con lei
fino a notte

incatenarla
come l'aura-alone
intorno all'asse
dello strale di occhi misteriosi
a una sillaba della visione
che palesa
la nudità smarrita


*

Fascinatio

amo
questo smembramento
queste reminiscenze
che in alcun modo riescono
a congiungersi in un'unità
questa spaccatura
negli abissi incolmabili
luce-tenebre
che si riversano amalgamente
attraverso i labirinti del quipresente
indescrivibili
solo auspicabili

attraverso cui
irreale
penetro
divento una nebulosa
una volpe
un segugio

ogni tanto palpo
il remo apparente
affinché rinasca il senso di solidità
e l'acqua non si trasformi in ghiaccio

amo
questa spaccatura dell'acqua
attraverso il remo
che si gonfia dall'umidità
rianima il suo legno
questa carenza d'acqua
che scorrendo via trapela
nei colpi di remo
nei colpi delle braccia
che il ritmo desta
in ondeggiamento
lasciando
attraverso sé
il cammino
nei sogni
nel linguaggio
acquisito con ritardo
in circoli interiori
ignari di se stessi
e della perseveranza
di un'incessante fusione


**

ho ancora
la lingua
di terra d'acqua di erbe
dai continui mutamenti
che tace nel silenzio
che genera nel buio
segni invisibili
sigilli di bava
e di inalterabile
corno
di giorni antidiluviani
del vuoto del principio
della pienezza della fine


***

dono l'imene
- Dio santo!
che una buona volta
questo mondo
mi piombi
addosso
affinché io possa
morire
per me
che questa rosa
irrori di sangue
la sorda argilla
della nascita
e io resti esclusa
dalla triplicità che
di continuo mi insidia
e non mi permette
di alzare la mano
sul fratello
che cattura il mio cuore
in una trappola
e ogni mattina
ricompone un collage
nella vetrata della
verginità ermetica

*

Trafigurazione

cerco di decifrare tra i versi
un torrente di parole risplendenti
che il fulmine sta scolpendo
tra gli strati del paradiso e l'inferno

attraverso uno spiraglio
brilla un raggio

cerco di decifrarmi sul bianco lenzuolo pulito
evocato da scritte di palinsesti
in cui cerco il mio posto
la mia fuga
nella trasfigurazione di tutte le immagini
impresse in un cupo canto
l'eco
che predomini il sangue
che doni la resurrezione
del primo pensiero dell'immagine e dell'unica parola
nata per l'eternità

attraverso uno spiraglio
brilla un raggio

senza tracce di contatti di sguardi di spostamenti

non resta che la luminosità della crescita
rinchiusa tra mani intrecciate
in preghiera ammantate



(I testi sono stati scelti dalle raccolte Globoko zgoraj (Profondamente in alto), 1991; Vmes (In mezzo), 1998 e Svetlobnica (Lucernario), 2005)


(Traduzione dallo sloveno di Jolka Milič, vedi sito http://www.filidaquilone.it/num023milic.html)





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