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Il cuore di Athanas

di Stefano Pucciarelli
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Pubblicato il 19/07/2012 22:24:27

Cosa sognava il tuo cuore, Athanas,

nei giovani  anni dei tuoi lavori forzati,

quando vedevi allungarsi il porto a Durazzo? 

Sognavi di vedere quelle banchine 

dal mare, il giorno che le avresti lasciate?

 

Figlio senza colpa ti tolsero tutto,

solo il tuo cuore ardeva 

nel gelido campo della diffidenza,

dove non spunta il fiore dell’amicizia.

 

Oh sì, quanto avresti desiderato

un vero compagno, un amico sincero 

con cui parlare del tuo sequestrato paese, 

di poesia, di libertà e di Dio.

Solo silenzio e sospetto fiorivano.

Tacere e aspettare.

 

Un capo ti riconobbe: - Vai - disse,

- la tua istruzione portala in campagna,

ma stai attento, maestro… -.

Divenisti  maestro in agri lontani.

 

E intanto ansimavi per quelle banchine,

e per l’Italia, al di là della sponda,

dritta davanti alla prua dei tuoi sogni.

Scegliesti la strada della dignità,

uomo libero in un paese d’oppressi:

mai nessuno divenne padrone dei tuoi pensieri.

 

Passasti la vita in composto silenzio,

finchè per la figlia in Italia 

ottenesti un breve permesso.

C’incontrammo per caso d’estate, 

in Calabria, in un estraneo accalcarsi di gente.

 

Predicavo laBibbia ai turisti,

e i tuoi occhi s’accesero:

volevi ascoltare, volevi parlare, volevi imparare,

desideravi amicizia,

volevi amare con l’amore dei veri amici,

prima di morire.

 

E fummo amici, per un breve

e intenso frammento di tempo:

Athanas l’albanese di sessant’anni,

e il suo amico italiano che gli parla di Dio.

 

Athanas amico mio, che dovevi venire in Italia 

per curare quel tuo coraggioso cuore malato.

In corsa dietro al treno del tempo, 

quel cinico tempo che non t’aspettava più.

 

Leggi e corruzione a volte

son nemiche della brava gente.

Quanto furono fredde amico mio

quelle notti, aspettando

sui gradini dell’ambasciata Italiana

il tuo umile e disperato turno? 

 

E il tuo dolce cuore, non ardeva 

di dolore e comunque d’amore 

per quelle banchine che avresti tra poco lasciato?

L’amore e il sogno ti tennero in vita,

compagno mio, che volevi conoscere Dio.

 

Non ci sono sogni impossibili 

nel cuore degli uomini giusti.

La prua dei tuoi sogni infine salpò,

per quella breve, immensa traversata

di mare e di vita: mare blu, sangue rosso

e cuore debole di Athanas, desiderio vivo.

 

Sarei partito amico mio, per venire a trovarti, 

per stare ancora insieme, dopo le telefonate.

E una telefonata ci fu, ancora, 

ma non eri tu,

e troppo lontana Livorno da Brindisi.

 

Forse fu l’emozione o l’attesa,

la gioia o l’intenso ardore:

ma giunse la nave all’approdo

e con essa anche il tuo umile cuore 

terminò il suo stanco durare:

 

solo poche ore ti rimasero allora 

per sognare, per abbracciare la libertà

e per sussurrare alla fine:

“Chiamate il mio amico…”. 

 



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