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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Damnati ad Metalla

Romanzo

Loris Ferrari
Robin Edizioni

Recensione di Giuliano Brenna
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Pubblicato il 17/02/2009 21:35:00

I damnati del titolo sono una giovane band Heavy Metal che si trova improvvisamente senza un chitarrista, ingaggiano dopo mille incertezze un anziano musicista, del tutto fuori luogo, ma maledettamente bravo. Il gruppo così formato si accinge a partire per il tour che li porterà in giro per l’Europa per il lancio del loro nuovo disco, costringendo il nuovo, attempato, membro ad apparire sul palco col volto celato da una maschera nera, per timore che l’età del musicista possa deludere i fans, mediamente ventenni. Il nuovo componente assume così il nom de plume – con formidabile sfoggio di creatività - di The Mask. ma la maschera di pelle nera, non cela semplicemente il volto dell’uomo, nasconde una realtà ben più complessa che una cinquantina di compleanni portati malino, forse addirittura un grande chitarrista morto anni prima, sebbene un ferroviere in pensione ed una rockstar siano agli occhi dei giovani, cose totalmente inconciliabili. Da un inizio apparentemente sempliciotto, si dipana una storia veramente molto bella, in cui la vita di quest’uomo, costretto ad andare avanti portando nel cuore mille lacerazioni, viene esaminata e raccontata molto bene, con descrizioni su piani temporali diversi, a volte facendo leggere i pensieri così come si rincorrono nella mente dell’uomo, altre volte con citazioni molto belle e ben inserite nella narrazione. L’uomo si trova così al centro di una sorta di ragnatela di fatti, tra un passato-passato, uno più recente e il futuro per lui, sebbene con una certa età, ancora tutto da vivere, sia con la band sia per i rapporti col figlio. Nella narrazione l’autore dà voce ai vari personaggi, costruendo tratti del romanzo come narrazione corale, e riesce a farlo molto bene, rendendo abilmente il pensiero di ciascuno, facendone così un tassello importante nella costruzione del dettato narrativo, e dando vita, carattere e, soprattutto, spessore, a ciascuno. Il romanzo si srotola arrivando a mostrare chiaramente le vite che si vanno intrecciando nella storia, e a fornire al lettore una sorta di “spaccato” della società dal dopoguerra in poi, in cui ciascuno ha cercato di costruire il proprio sogno, alle volte coi brandelli di quelli degli altri, alcuni prendendo la propria vita tra le mani, ma senza sottovalutare il fatto che ci sono “gli altri” da tenere nella giusta considerazione, perché ciò che si fa, sebbene si creda di farlo a fin di bene, non è mai privo di conseguenze. Questa è una delle perle del romanzo, saper mostrare scelte anche ardite, ma senza dimenticare che vi sono sempre conseguenze e che con il passato non si può chiudere una porta, bisogna, sembra lapalissiano, ma non lo è, lasciarlo passare, non tenerlo come ideale scialuppa di salvataggio. Anche quando il romanzo si fa più descrittivo, o nelle parti di congiunzione fra i fatti più importanti, riesce a tenere sempre un buonissimo ritmo, trattenendo il lettore con un linguaggio ben costruito ed avvincente, mescolando frasi molto eleganti e ben scritte con parti più dialettali, ma altrettanto piacevoli. L’autore riesce a mettere molto bene in evidenza le lacerazioni del protagonista, che vive una vita a metà, in più la metà di vita che si vede costretto a vivere nell’attualità della narrazione, è ulteriormente smezzata dalla lontananza del figlio, e sarà attraverso la musica, suo antico e grande amore che riuscirà a ricomporre tutte le lacerazioni, e ritornare ad essere sé stesso. Verso il finale, vi è la linea costante della citazione di Ulisse di Joyce, quasi a voler far da rimando ad un Ulisse che, come nell’originale, fa ritorno verso la sua Itaca, ma in un modo più attuale, e il libro dell’illustre dublinese crea il legame con la Dublino del tutto attuale dove il protagonista ritroverà la sua Patria, ed i fili di sé stesso in un finale davvero molto bello.
Finale, quasi filmico, che lascia ampio spazio al lettore, e, con un effetto da macchina da presa, porta la scena lontano nel Mondo ed idealmente a quel collegamento col passato, che chiude il libro quasi con una dissolvenza, rendendo comprensibile le prime tre quattro pagine che all’inizio gettano un pochino di sconcerto nel lettore.
L’autore ricrea nel romanzo un ambiente che gli deve essere familiare in modo realistico ma senza farlo diventare l’asse portante della narrazione o usarlo come riempitivo, resta al suo posto come sfondo bello e concreto, ma ciò che l’autore riesce a portare alla luce molto bene, scrivendo pagine con notevole bravura, è la psicologia dei personaggi, tutti molto ben costruiti. Un libro che è stato davvero una bella scoperta, sebbene il titolo e la copertina avessero, sulle prime, gelato un po’ l’abituale entusiasmo con cui mi getto in un nuovo libro, invece con piacevolissima sorpresa ho trovato una bella lettura nelle circa trecentosessanta pagine che compongono il romanzo, sono scivolate via con quel piccolo dispiacere che giunge con la quarta di copertina di un bel libro.

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