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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Il gioco dell’angelo

Romanzo

Carlos Ruiz Zafón
Mondadori

Recensione di Giuliano Brenna
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Pubblicato il 06/03/2009 18:40:00

Chi si ricorda quei libri da bambini che contenevano le illustrazioni tridimensionali piegate, e quando il libro veniva aperto dalle sue pagine sorgevano castelli fatati, funghi abitati da gnomi, allegre fattorie e così via? Ebbene, aprendo “Il gioco dell’angelo”, nel corso della lettura, vedremo sorgere sotto i nostri occhi, case turrite, cimiteri spettrali con statue tristi, ville nel verde sonnacchioso di un parco, ma non per questo meno temibili; strade lastricate punteggiate di pozzanghere e velate di foschia si apriranno sotto i passi dei nostri occhi febbrili che corrono di riga in riga, sentiremo scampanellare e sferragliare un vecchio tram, tale è la potenza evocatrice e la sapiente minuzia descrittiva dell’autore. Zafón ricrea la Barcellona degli anni venti, al tramonto della sua fase modernista, e di quella democratica, ove guglie svettano tra parchi, capanne sorgono sulle rive del mare e una spettacolare funivia attraversa il porto dando il via alle esplorazioni dal cielo. Quel cielo onnipresente nella vita, lo è anche nelle pagine del libro, sempre denso, pesante, oserei dire grasso, come una cortina di spesso velluto, che si tinge via via dei colori soavi del mattino o assume i toni foschi della paura quando la narrazione tocca le corde di animi oscuri. In questo libro, che oscilla fra il gotico della sua trama e il barocco delle sue descrizioni, tutto è costruito e raccontato in modo perfetto, al lettore potrà capitare di sentirsi un giovane scrittore animato da sogni luciferini, o avvertire da lontano lo scampanellio dell’ingresso della libreria Sempere, secondo le proprie inclinazioni, ma ciò di cui sono certo è che qualunque lettore desidererebbe visitare il Cimitero dei Libri Dimenticati. La trama è costruita in modo affascinante, sino alla fine non si è mai esattamente certi di ciò che sta succedendo e chi si trova da quale parte di un ipotetico specchio, che l’autore lascia presagire: qualcuno vi si riflette, ma sembra qualcun altro, altri personaggi si specchiano ma la lastra di vetro resta buia, altri sono prigionieri dall’altro lato. Il gioco continuo di accenni, di rimandi, di frammenti di immagini, abilmente, riesce a dare aspetti diversi ad alcuni personaggi senza farli cambiare, soprattutto ci si trova spesso a dubitare della vera identità del protagonista, che potrebbe essere almeno tre altri personaggi, ma non aggiungo altro per non guastare a nessuno il piacere della lettura. Il lettore, addentrandosi tra le pagine, si trova ben presto quasi disorientato, un po’ come capita entrando nel Cimitero dei Libri Dimenticati, si trova a procedere in una sorta di galleria degli specchi, in penombra, in cui agli specchi si alternano ritratti, o lastre nere, dando così una sorta di sorpresa continua, non si riesce a distinguere bene se chi abbiamo di fronte è un riflesso, una persona reale o la semplice mancanza di qualcuno. In pochi, ma significativi punti, una frase, breve, detta da qualcuno, o un piccolo particolare, ribalta tutto, chi era riflesso è reale, chi era reale scompare, mescolando tutte le proverbiali carte in tavola. La narrazione tesissima, perfetta, oserei dire, tiene il lettore avvinto sino alla fine, che vi giunge e resta ancora con un paio di interrogativi, e al povero lettore non resta che raspare sulla terza di copertina con le unghie, sperando che vi sia ancora – almeno – una pagina, per poi chiudere, con un certo rammarico il bel volumone di 676 spaziose pagine. Il romanzo è costruito su persone, ma ha come cuore pulsante il concetto stesso di romanzo, verso il finale sentiamo ripetere che nei libri vi è l’anima di chi li scrive, e la narrazione stessa è incernierata sullo scrivere un libro, osteggiato da alcuni, ma che – penso come ogni libro – può cambiare il destino dell’umanità, e soprattutto di chi lo scrive. Messaggio di speranza dell’autore ai colleghi è che nessun libro verrà mai dimenticato e resterà chiuso, magari per anni, nel Cimitero dei Libri Dimenticati, ma prima o poi qualcuno lo tirerà fuori, riportando alla vita libro ed autore. Concetto questo che lega il romanzo al precedente lavoro di Zafón, “L’ombra del vento” – bellissimo -, del quale “Il gioco dell’angelo” potrebbe apparire la continuazione, visti anche alcuni punti comuni fra i due libri. Però più che di continuazione, o sequel, penso che sia più corretto dire che Zafón ha costruito un mondo dove ha ambientato entrambi i romanzi. Pur nella sua bellezza e precisione “Il gioco dell’Angelo”, a mio avviso, non giunge al magico livello di bellezza del precedente lavoro dell’autore, i preziosismi, la trama complicatissima, che a tratti si affida al sovrannaturale è assolutamente geniale e ben scritta ma fa perdere quel candore magico che faceva pensare all’affascinato lettore de “L’ombra del vento” che forse una vicenda così poteva capitare anche a lui…. Punto massimo di lontananza fra i due libri è il finale del “Gioco dell’angelo” in cui avviene una quasi ecatombe di personaggi, dando una leggerissima spruzzata di guignol ad un libro che sino a quel momento riecheggiava della eterea poesia, già iniziata nell’“Ombra del vento”.
Come dicevo la trama e l’ambientazione sono molto ben costruite, ma anche i personaggi sono descritti a tutto tondo, ognuno ha una psicologia ben cesellata e l’autore ce ne fa conoscere i vezzi e le idee, lasciando però un ampio margine all’umanissima imprevedibilità. Nel procedere della vicenda, che all’inizio soprattutto ha un’essenza quasi cangiante, nel suo non lasciar capire esattamente dove Zafón ci vuole condurre, il tempo assume una struttura cedevole, quasi una porta girevole che in alcuni passi porta lo smarrito personaggio ad affacciarsi in un momento totalmente differente da ciò che sta vivendo, e la prima volta che questa porta gira è assolutamente mozzafiato, ed alludo alla vicenda del bordello, vivissimo e poi relitto annerito da un incendio di vecchia data nel volgere di ventiquattrore.
Un libro che non mancherà di far passare momenti di assoluto piacere, divertimento con un pizzico di ansia e sicuramente a qualche lettore capiterà di cercare con lo sguardo se qualcuno porta sul bavero della giacca una spilla a forma di angelo.

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