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Basaglia e C.

Argomento: Psicologia

di Adolfo Sergio Omodeo
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Pubblicato il 02/05/2016 17:39:26

 

 

 

 

Basaglia & C.

 

 

Basaglia: un cane morto? Un marxista a sua insaputa? Da frasi come queste, lette in articoli presunti seri ebbi tempo fa l’idea di ripensare a Basaglia; ripensare alla complessità del suo operato, e a quella del contesto di allora. Vorrei ricordare oltre che lui alcuni sui collaboratori che hanno contribuito alla mia formazione e alla depsichiatrizzazione in Italia in particolare Terzian a Dalla Barba.

 

Avevo conosciuto Terzian ad un convegno sindacale sulla salute. Raccomandava  agli operai di non fare operare  di appendicite le ragazze  loro figlie ,come allora la moda medica suggeriva, guidando a pensare che quei dolorini interni di cui potevano soffrire potevano essere correlati alla loro nascente e conflittuale sessualità. L’intervento avrebbe rappresentato una punizione non cosciente. Una lezione di derivazione freudiana, pensai. Venne varie volte da Verona alle nostre iniziative  culturali a Padova. Spesso concludeva i suoi interventi  con una favoletta zen: in un paese di feroce dittatura si trovavano in carcere un uomo politico, un povero sciocco, e un uomo qualunque, il politico si ingegna per l’evasione, dice all’uomo normale: aiutami, cosa fai? Dice quello, sto cercando di capirmi con questo povero sciocco. Se riusciamo ad evadere  non vorrai mica lasciarlo qui. Quando nascevano i primi centri antidroga aveva organizzato un convegno di operatori e tossicodipendenti, insieme per raccogliere idee e proposte. L’ultima volta che vidi Terzian era diventato rettore a Verona, e stava promuovendo un incontro tra università, sindacati e imprenditori, cercando di avviare quello che si auspicava: la gestione sociale dell’università e della ricerca.

 

Il gruppo del PCI di psicologia, di cui ero segretario, aveva promosso una assemblea per chiedere la “gestione sociale” della facoltà e svolgere tirocini nella realtà sociale. Conobbi Dalla Barba, direttore del reparto di neurologia di Monselice  per proporgli di svolgere tirocini di psicologia nel suo reparto, cosa che fu accettata. Gianpietro Dalla Barba, prima che neurologo era stato psicologo militare, anche lui come Terzian si poneva il problema del rapporto tra  psichiatria e società. Per esempio diceva che occorreva distinguere almeno tre tipi di alcolismo  con le loro diverse dinamiche: l’alcolismo alimentare di chi, come i muratori che lavorano all’aperto, combatte fame e freddo, quello da bar, dei disoccupati che cosi socializzano e ultimo quello “per dimenticare” più borghese e soggetto a interpretazioni psicoanalitiche.

 

Lessi su sua indicazione Camon, “Un altare per la madre”, nuova   mitologica edipica, come mi fece notare. Lessi Zanzotto come poeta che accettava  di guardare l’inconscio, e che citai nel mio libro psicologia  per operatori sociali. Lessi “Fiori per Algernon” storia di un fantascientifico intervento neurologico su un debole mentale, e delle impreviste evenienze sociali e mediche.Disse: come Omodeo tutti da giovani siamo stati affascinati dalla psicoanalisi. Poi mi suggerì di studiare  il training autogeno di Shultz, allievo di Freud impegnato a favorire l’autogestione dei propri problemi psicologici; cosa che feci per vari anni, seguendo corsi e poi tenendoli presso l’ ARCI di Padova, con l’ipotesi che il metodo potesse essere adatto a terapie brevi, di gruppo e che il confronto reciproco favorisse una coscienza sociale del disagio e una sua soluzione.

 

Avevo intanto conosciuto Basaglia. Un giorno ero con Dalla Barba a neurologia di Monselice e mi trattenne in mensa. Arrivò Basaglia -discutevano  nervosamente e io cercando di capire chiesi un chiarimento per rapportarmi alle mie conoscenze di studio a psicologia. Si arrabbiavano entrambi; non volevo o non riuscivo a capire il loro punto di vista?!  Ripensai e ripensai a quel confronto. Capii che si rifacevano alla psicologia esistenzialista piuttosto  ignorata e tabuizata. Non si trattava di diagnosi e percorsi di reinserimento adeguato, come io proponevo, ma di accettare il cosiddetto”vissuto”esistenziale dei ricoverati, e cercare di capirli. Lessi l’io diviso di Ronald Laing su consiglio di Dalla Barba, capii ripensandoci la profondità del test delle macchie di Rorschach che nella loro assurdità fanno esprimere l’emozione   di essere gettati nel mondo, forse senza senso.

 

L’ultima volta che vidi Basaglia era a Siena per  un grande incontro con medici e infermieri dei servizi psichiatrici. Lui proponeva di valorizzare le competenze di ognuno, valorizzando con rapporti interdisciplinari. Rivolgendosi a medici infermieri ma pure a volontari e tirocinanti. Queste due ultime categorie, erano forse un po’ strumentalizzate, pensai varie volte parlando con qualcuno di loro.Dice la collega Sartena che a Belluno fu avviata una fase di de-psichiatrizzazione del manicomio di Trieste. Una sorta di casa-famiglia aperta. I volontari furono coinvolti a socializzare e far socializzare ex ricoverati: conversare, uscire insieme, affiancarli nella giornata, fino a invitarli a pranzo a casa. Dopo l’avvio assembleare con Basaglia, l’esperienza si sviluppava purtroppo tra vecchie conflittualità. Per esempio gli infermieri biasimavano come ricerca di sesso, l’impegno di una già corteggiatissima psicologa cieca dedita, impegnata  a seguire una persona diagnosticata come psicotica; riproponendo purtroppo così il gioco della psichiatrizzazione, con resistenze volte a screditare contributi esterni imprevisti.

 

In effetti era sembrato a quei tempi che la sinergia tra competenze diverse, il “tecnico polivalente”, fosse una soluzione sociale e produttiva inevitabile per il futuro. Però una notte tornando in auto da un incontro di Dalla Barba da Monselice, un sindacalista della Sanità della CISL disse: si è affermato nel nuovo contratto un tipo di mansionario differenziato e gerarchizzato che blocca ogni tipo di collaborazione, e aggiunse : non si sa chi deve intervenire se un paziente ha una caduta, e nessuno può intervenire.

 

Basaglia venne a Padova. Si era dimesso da Direttore del manicomio di Trieste per protesta contro le ostilità al suo progetto di depsichiatrizzazione, ma era stato sostituito burocraticamente dal Prof. Massignan direttore dell’O.P di Padova. Conoscevo Massignan come aperto, attento e stimolante interlocutore. Aveva insegnato ai suoi figli a giocare con i bambini zingari delle carovane di passaggio accampate davanti al manicomio, tanto è che loro furono le mie prime guide tra i rom. Da giovane era stato deportato ad Auschwitz, e moribondo era stato salvato in estremis da un americano nero. A differenza di Basaglia non voleva però essere rivoluzionario, tanto è che criticava il troppo facile delle mode della trasgressione ideologica. Devo a lui la visione della statistica sociale come un modo di vedere ciò che la società e i cattivi operatori sociali non vogliono sapere.  

 

Ma gli sgarbi padovani non erano finiti. Basaglia e Dalla Barba furono invitati a concorrere per insegnare nella nuova facoltà di psicologia; ma mi disse Dalla Barba che erano stati invitati a ritirarsi per evitare il giudizio negativo della commissione su di loro. Un docente rappresentante sindacale commentò che la nuova facoltà di Psicologia nasceva con l’intento di non dare ombra, non mettere mai in discussione la tradizione. Al di là della difesa della tradizione, mi sono interrogato sul grande impegno morale di questo gruppo veneto di “antipsichiatri”. Dalla Barba teneva nel portafoglio, e di tanto in tanto lo estraeva e lo leggeva, un ritaglio della poesia iniziale di “Se questo è un uomo” di Primo Levi; Terzian mi diceva che come armeno sentiva il peso delle persecuzioni etniche subite dal suo popolo; Basaglia, come leggo dalla figlia era stato imprigionato come partigiano dai nazifascisti e certo aveva analizzato su di se l ‘angoscia della reclusione senza chiare prospettive. Noterei anche l’uso sistematico dell’animazione artistica collettiva promossa da Basaglia e che portò a costruire il grande Cavallo di cartone che fu il cavallo di Troia per aprire il manicomio di Trieste.Trovo tra gli scritti di Basaglia  un saggio sulla funzione dei test di disegno nella terapia psichiatrica. La figlia riferisce che suo padre, quando lei studiava la materia, interloquiva con precisione che smentiva chi lo accusava di non scientificità. 

 

Basaglia era un tipo coinvolgente ma non faceva nulla per essere simpatico e poneva sempre nuovi problemi. Con la chiusura dei manicomi come si sarebbe sviluppata la politica del controllo sociale? Creando camicie di forza  farmacologiche o criminalizzando quella che ora lui chiamava la s/ragione. Una delle ultime volte che ci trovammo chiesi ancora  come si dovesse procedere metodologicamente. Mi gridò di rileggere l’istituzione “negata”. Riletta di nuovo recentemente, trovo un costante impegno di rigore. Metodologicamente insiste a dire che le assemblee di pazienti e operatori non sono terapie di gruppo che presuppongono ruolo di terapeuta e malato. Sembrava una stramberia politichese, ma oggi la ricerca psico-sociale offre metodi di analisi sociale e partecipazione elaborati nel campo del marketing; metodi ben diversi da i problemi di diagnosi e intervento, per esempio cosa fare con uno schizofrenico o con un depresso ascoltando invece problemi e proposte dagli interlocutori.

 

<><><>

 

Allego di seguito un breve ricordo di Basaglia con titolo: “Un sogno su Basaglia” pubblicato sul blog robota nervoso il 3/03/2013

 

I sogni che più fanno riflettere uno psicologo sono quelli che chiamano in causa la professione e il ruolo terapeutico, perché consentono considerazioni che integrano la logica corrente del dibattito politico . Così riferisco il sogno di un mio paziente che mi ha indotto a superare le censure del buon senso e di luoghi comuni sui temi proprio della picoterapia e del rapporto con i pazienti


Un paziente mi riferisce un sogno: Sotto una pergola conviviale incontra Basaglia, lo psichiatra da lui conosciuto a un dibattito decenni fa. Lo psichiatra appare affabile per quanto un po’ stanco e invecchiato e un po’ sfumato nei tratti. Il paziente in sogno giustifica il proprio imbarazzo per l’incontro dicendo che lo ha cercato inutilmente ma non credeva che lui fosse a Pisa, e poi si è rivolto ad altri operatori... Qualcuno al tavolo commenta: operatori più adatti ad affettare un fegato che a lavorare in campo sociale.

Il metodo delle associazioni spontanee del paziente esplicita il significato del sogno. La prima è Pisa dantescamente detta vituperio delle genti!... e sembra che pochi sono stati vituperati come Basaglia per una riforma che lui stesso vedeva nascere limitata, contro le sue aspettative; Il richiamo al fegato rimanda alle tecniche di preparazione dei vetrini per il microscopio, ai danni degli abusi di psicofarmaci, ma pure alla separazione delle competenze degli operatori negando il loro ruolo interdisciplinare auspicato da Basaglia .

Un giovane collega straniero, esperto in musicoterapia mi diceva il suo stupore quando venuto a Padova, gli psichiatri dei servizi territoriali si mostravano ben contenti che lui “intrattenesse” gli utenti, in modo che loro potessero più specificamente dedicarsi alle loro prescrizioni di psicofarmaci, ma reagivano quasi indispettiti quando lui citando Basaglia insisteva che per accedere all’animo umano e ai suoi travagli era indispensabile evocare la dimensione artistica

Come spesso accade in psicoterapia, il paziente si trova ad interloquire con lo psicologo e con la sua attività: o meglio lo psicologo è chiamato in causa dai problemi dei pazienti . Da tempo infatti propongo di programmare un momento di studio sulle speranze tradite della riforma Basaglia, e con i contributi umani e culturali che lui aveva suscitato, di psichiatri, psicologi, sociologi infermieri e parallelamente dei pazienti e dei loro familiari, per analizzare tra l’altro cosa resta da fare per il reinserimento dei pazienti e non per fronteggiarli; non a caso forse, nel sogno Basaglia appare infatti sfumato nei tratti.. .

Le ultime volte che ho incontrato Basaglia insisteva che bisognava imparare a capire la “sragione” degli altri. Come notava Laing ne “l’io diviso”, quando il pazientre dice di sentirsi andare in pezzi come uno specchio, dice qualcosa che fa appello alle angosce comuni ad ogni uomo ma che la medicina ufficiale classifica come psicosi e contrasta con uso e spesso abuso di farmaci, confermando che permane la paura umana di guardare dentro se stessi, come già a suo tempo denunciava anche Freud commentando le troppo facili e superficiali critiche contro la nascente psicoanalisi.

 

                                                                                  Adolfo Sergio Omodeo

 

Psicologo e psicoterapeuta a Padova.

 

 

 

 

 

 


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