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Metrica e Stilistica

Argomento: Letteratura

di Adolfo Sergio Omodeo
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Pubblicato il 15/09/2016 16:45:36

 

 

QUALCHE   NOTA  DI   METRICA  E  STILISTICA

NELLA  POESIA  CONTEMPORANEA       di Adolfo Sergio Omodeo

 

Parlando di poesia con amici e lettori, spesso emergono considerazioni di metrica e di stilistica, che rischiano però generalmente di essere travolti da concetti di estetica dati per ovvi, che credo meriti approfondire. Si può considerare la poesia rispetto alla prosa, per l’uso dei versi e della metrica. Ritengo la poesia più adatta ad esprimere sentimento ed emozioni e credo si possa osservare una correlazione tra uso dei versi e della metrica, con il respiro e il ritmo del lettore- anch’esso correlato ad emozioni e sentimenti.

 

Altra funzione della metrica è quella di sostenere la memoria di chi recita la poesia, ma pure di segnalare eventuale omissione o censura sul testo. La poesia si difende quindi dal rischio di censura. Così la metrica a terzine intrecciate della Divina Commedia, e poi della poesia satirica, ha come si direbbe oggi una buona funzione di antivirus contro tagli e tentativi di modifica. Ogni forma metrica comporta ritmi che evocano emozioni diverse: all’esatto opposto delle terzine dantesche troviamo forse i versi tendenzialmente trisillabi de “La fontana malata” di Palazzeschi; versi ritmati e connessi non più dalle rime ma da un crescendo di enfasi di disperazione, una connessione data  della retorica  piuttosto che dalla metrica.

 

Ogni tipo di verso, con la sua lunghezza e i suoi accenti, evoca sentimenti ed emozioni diverse. Vittorio Campanella, mio professore al liceo faceva osservare come la metrica del Pascoli, generalmente data da versi multipli di tre, rimandava alla musica del valzer, allegro o triste che sia. Sulla base di queste considerazioni la metrica di una poesia potrebbe essere valutata in analogia alla musicoterapia, che in base al tipo di musica valuta le emozioni che possono essere attivate nell’ascoltatore. Rime e assonanze: La rima, soprattutto se lega versi regolari, da una sensazione di completezza; all’opposto l’assonanza, detta anche rima imperfetta, produce una sensazione di ricerca, per certi versi simile alle libere associazioni  in psicoterapia, dove infatti spesso emergono spontaneamente. E un’assonanza tira l’altra si direbbe pensando alle “stanze” di assonanze della antica poesia francese. Come esempi di assonanze: “mi bacia, e il suo bacio brucia come il fuoco”, dice D’Annunzio, proponendo questa serie di delicate assonanze quasi inavvertite; ma se avesse continuato dicendo  “brucia come brace” sarebbe forse risultato più esplicito e atroce. A volte una rima chiude una serie di assonanze  dando forse un senso di ricerca conclusa o un’affermazione definitiva. Per esempio Montale:E andando nel sole che abbaglia/ sentire con triste meraviglia/ com’è tutta la vita e il suo travaglio/ in questo seguitare una muraglia/ che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

 

 

Come dicevo, oggi che il rischio di tagli, censure e distorsioni sui testi poetici sembra superato dal dominio delle tecniche di stampa e dell’informatica, possiamo notare che fare poesia è un modo per cercare di superare soprattutto censure e tabù che dirò tra poco. A conferma ricorderei che Freud nota che la poesia riesce a dire prima, ciò che la psicologia capirà dopo; e cioè una via per dire il non detto dell’animo umano, un modo per giocare a superare censure e tabù, che gravano sui nostri pensieri e sul linguaggio. Censure che secondo Freud sono di vario tipo e più o meno accettabili: da quelle delle nostre inibizioni interiori a quelle imposte dalla convivenza e dalla buona educazione, fino a quelle che il saggio impone a se stesso per non essere escluso dall’ascolto (vedi a proposito David Bakan, “Freud e la tradizione mistica ebraica”, ed. di Comunità, 1977). In generale noterei allora che la psicoanalisi come è noto, lavora soprattutto sui simboli da quelli dei sogni a quelli dei nostri sentimenti quotidiani, cioè come noto lavora esplicitando metafore. Possiamo dire quindi che i sogni e la poesia sono fatti un po’ della stessa materia leggera che sono le metafore.

 

Si dice a ragione che versi brutti e sconnessi emergono nell’espressione di sentimenti difficili complessi e contrastati. Così ritengo che, facendo poesia, riconoscere e migliorare quei versi comporta un approfondimento interiore e direi una sublimazione o una  “catarsi”. Una nota sullo stile personale dei poeti; credo che si possa esprimere con aggettivi: stile vivace, prolisso, lugubre, ecc. Ogni poeta ha personali tabù stilistici che rispetta: chi scriverebbe oggi “l’alma”, il luogo di “anima” per facilitare la metrica! Io per esempio inoltre rifuggo dalle rime in -are. Così ogni poeta ha parole, frasi metafore che (a torto o  ragione) rifugge o che non osa sperimentare, finché a volte trova l’innovativa catarsi espressiva che dicevo.

 

La poesia recente mi pare connessa oltre che dalla metrica, dalla struttura sintattica, cioè la forma della frase e il coordinamento del discorso. Francesco Soave e Filippo Piccini nel 1840 spiegano la funzione di connettivo della sintassi: “Alle volte i termini di una proposizione composta sono tra loro legati in modo che non possono separarsi e ciò accade [ad esempio quando l’attributo è il risultato di un paragone].Come sappiamo dallo strutturalismo linguistico tale coordinamento della frase deriva dalle intenzioni del parlante ( pensiamo all’uso di un eufemismo piuttosto che una frase di biasimo ). Sempre dallo strutturalismo sappiamo che le frasi rischiano sempre di essere più o meno ambigue, e solo tale verifica può disambiguarle. Assumendo che la poesia esprima conflitti e ambiguità dell’animo umano, una certa ambiguità del testo poetico sembra apprezzabile.

 

 Il verso libero ha favorito l’abolizione della punteggiatura, favorendo così una lettura della poesia più variata e potenzialmente più ambigua nel senso di consentire interpretazioni  diverse e parallele. Ancora una nota su rime e altri marcatori di ritmo, i ritornelli di Lorca, le assonanze care alla poesia russa, francese, e alla canzone popolare; e le ripetizioni di Palazzeschi. Non ultimo il ricorrere di chiasmi che ritengo comportino un’accentuazione psicologica di parti del testo: “Immensa appare- immensa nudità”- dice D’Annunzio.

A proposito di una forse inevitabile ambiguità del linguaggio, citerei Shakespeare che a proposito del nero Otello dice: “Se la bellezza accompagnasse la virtù, vostro genero sarebbe più bello di quanto non appaia nero”,  frase che con finti eufemismi sembra anticipare il buonismo del politico “politicamente corretto”. Si vede anche Simone Consorti che dice: “È così lontana l’altra costa/ quando la salvezza/ è in direzione opposta/ Non conosceremo la sua faccia/ né le nostre braccia/ riusciranno mai a stringerlo/ noi che lo aspettavamo/ per respingerlo.” Qui un’alternanza di punti di vista, sorretta da una sintassi apparentemente sconnessa induce a coinvolgerci oltre i pregiudizi sui profughi.

 

Una nota sulla traduzione di poesie da una lingua ad un’altra: in ogni lingua sappiamo che ogni parola presenta delle componenti simboliche e affettive. “Mare” in francese è femminile, evocando meglio che in italiano simbologie sottese che rimandano alla madre e alla femminilità. Come esprimere  questo in Baudelaire che dice: “Uomo libero, tu sempre prediligerai il mare”. Si pensi pure che in tedesco Sole e Luna sono di genere inverso rispetto all’ italiano rendendo quasi intraducibili metafore cosmogoniche o erotiche diffuse nelle letterature. In inglese la Morte risulta legata (nella pittura e certo nell’immaginario collettivo) all’immagine di un vecchio uomo con falce. Come rendere allora in inglese Corazzini che dice: “… mio cuore, per te solo m’accora/ che venga quella Signora/ dagli uomini detta  La Morte”. 

 

Vediamo un classico esempio in cui citazioni e traduzioni si intrecciano: “Disperato dolor che il cuor mi preme”, fa dire Dante ad Ugolino, ricordando Virgilio che con versi ripresi poi da  Annibal Caro nel sedicesimo secolo traducendo  diceva “Infandum regina iubes renovare dolorem “. Ancora a proposito di traduzioni la mia poesia New York ’77, scritta conoscendo T. Eliot ed E. Pound, tradotta in inglese ha consentito di cercare e usare le parole dei poeti suddetti con apprezzato effetto letterario. Si dice a volte che la poesia non dovrebbe essere tradotta per salvarne la musicalità e la pienezza espressiva delle parole. Le traduzioni hanno però la funzione interculturale  di farci conoscere la poesia straniera e anche quando si conoscesse la lingua fanno riflettere su diverse interpretazioni e modi di esprimerle.

 

Una nota merita l’antologia di Spoon River di Lee Masters, tutta una serie di dolorosi casi umani, tradotta in italiano da Fernanda Pivano durante il Fascismo,  che fu imprigionata per questo. L’opera, famosa in America ha acquistato crescente fama e attenzione in Italia e a proposito di musicalità, ne ha trovata una specifica, cantata da De Andrè. Lacan, psicoanalista francese dice: “c’è chi parla in noi” riferendosi all’inconscio, ma dice pure che “l’inconscio è il discorso dell’ Altro”. Riferendosi a come diversi valori morali vivono nelle diverse lingue dice: “chi parla una lingua straniera non può non mentire”. Ma come dice Pessoa, “ il poeta è un mentitore”.

 

Borges nota che la storia della letteratura può essere intesa come una lunga rielaborazione di un ristretto numero di metafore. Così concetti dello strutturalismo “quali le varianti di una favola”, risultano utili per analizzare costanti e innovazioni nelle tematiche letterarie.

Palazzeschi ha lavorato molto su questi temi: si vedano le sue poesie sulle vecchie; “la casa di Mara”; “la vecchia del sonno”, “Corbetta” , oppure le poesie sulle principesse tristi e incomprese. A lui dobbiamo pure uno spregiudicato rimando forse polemico al “Manifesto Futurista”che diceva: “L’asta ideale del volante dell’automobile attraversa della terra…” cui lui risponde:“ Qualcuno cammina più profondo e pigia una sua stampella credendo di sfondare il mondo.”

Ma  a sua volta quando Marinetti dice che l’auto sportiva, forse un’ Alfa Romeo in corsa è più bella della Nike di Samotracia, viene a dire che le auto sportive sono migliori delle Rolls Royce di cui la Nike è il marchio, come fosse una moderna pubblicità comparativa subliminale.

 

                                                                           Adolfo Sergio Omodeo

 


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