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È qui la Pasqua? , una festa della tradizione

Argomento: Letteratura

di Giorgio Mancinelli
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Pubblicato il 01/04/2018 07:53:47

È QUI LA PASQUA? – chi più ne ha più ne metta da parte, di ‘uova’ s’intende.
(una festa di simboli, colori e forme sulle tracce delle tradizioni popolari).
Terza parte.

Pasqua deriva da una parola ebraica che significa ‘passaggio’: passaggio verso la primavera, verso una nuova vita e verso una nuova stagione di semina e raccolti. Scrive Laura Tuan (*) – Negli antichi rituali agresti, infatti, l’arrivo della novella stagione assumeva valore di ‘rito di passaggio’, allorché il Capodanno coincideva con l’equinozio d’Ariete le uova, al naturale o colorate, trionfavano in qualità di talismano e di offerta. Si regalavano come oggetto beneaugurante e si consumavano come pasto rituale; si seminavano fra le zolle dove, in virtù del principio di similitudine, avrebbero trasmesso il loro potere fecondativo al terreno. Greci e Romani le offrivanoa Dioniso e ai dioscuri, i gemelli divini nati secondo il mito da un uovo di cigno.
Anche Russi e Germani se ne cibavano prima di dare avvio ai lavori agricoli. Gli Egizi, certi del suo carattere difensivo, lo impiegavano come amuleto contro le forze del male e come antidono risolutore di ogni malanno. Per la stessa ragione veniva inumato nelle sepolture, a salvaguardia del defunto o come promessa di fecondità e di rinascita. è questo il caso delle uova d’oro estratte dal sepolcro di Ur o di quelle decorate e incise rinvenute a Cartagine, in Etruria, in Ucraina. Anche i protocristiani, che le consumavano ritualmente, le seppellivano nelle tombe dei martiri come simbolo della speranza nella resurrezione.
C’era chi si accontentava delle uova di gallina o di piccione, e chi preferiva di struzzo come i Greci e i Copti, che le appendevano perfino nelle chiese come talismano di felicità. Russi, Scandinavi e Giapponesi, invece, andavano pazzi per quelle di cicogna che consideravano indispensabili accumulatori di fortuna, tanto da attrarne volontariamente alcune con offerte di cibo perché nidificassero sui tetti delle loro case. La consuetudine di offrire uova colorate, in una commistione di retaggi pagani e di spunti cristiani, si consolida dopo l’anno Mille.
Era la chiesa stessa a gestirne lo scambio, al termine della mesaa pasquale dopo averle benedette e dipinte di rosso. Ma perché l’uovo beneaugurali si trasformi nell’attuale Uovo di Pasqua arricchito dalla sorpresa, bisogna attendere il 1500, quando l’imperatore Francesco I di Francia ricevette in dono un uovo d’oro contenente una scultura lignea della ‘passione’. IN poco più di cent’anni offrire uova pasquali a nobili e sovrani divenne una vera mania, quasi una gara a scovare l’esemplare più pregiato e originale.
Le follie naturalmente non si contavano più: circolavano uova d’oro massiccio, tempestate di gemme e gusci delicatamente impreziositi dai pittori più in vista dell’epoca come, ad esempio, Jean-Antoine Watteau e Jea-Honoré Fragonard vissuti entrambi nel ‘700. Ma il primato nella decorazione delle uova spetta comunque agli Slavi e ai Russi, accurati esecutori di autentiche opere d’arte. Essi credevano che ogni uovo dipinto entro Pasqua aggiungesse un anello alla lunghissima catena che imprigionava lo spirito del male e che per questo infine dovevano essere rotte.
Diverse leggende però si contendono l’origine della tintura delle uova pasquali, abitudine che risale al primo Medioevo. In una di esse, si racconta che quando Maria Maddalena annunciò a Péietro la resurrezione di Cristo, questi, incredulo, le rispose: ‘quando queste uova diventeranno rosse, Cristo resusciterà’. E in quello stesso istante le uova che Maddalena recava nel paniere divennero rosse. Un altro racconto leggendario rumeno, sempre a sfondo religioso, riporta che la Madonna, in fuga insieme a Gesù e incalzata dai Giudei, fece rotolare delle uova che subito si tinsero di rosso. In questo modo, mentre gli inseguitori stupiti si fermavano a raccoglierle, i due fuggitivi riuscirono a distanziarli e a mettersi così in salvo.
Questi capolavori di simbolismo, anche chiamati ‘pysanky’, scatuirivano dall’ispirazione poetico-religiosa che si traduceva in figure allegoriche ricche di messaggi finemente tracciati a colori vivaci. Dopo essere state recate in chiesa per la benedizione di rito, le uova venivano distribuite ad amici e parenti, assegnando a ciascuna di esse un messaggio augurale preciso. Ma ancor più, e ancora oggi è questa la formula rituale, recavano una missiva simbolica d’affetto, d’amicizia, di stima e di speranza o, anche, come pegno d’amore che il ragazzo offriva alla ragazza, destinato a mantenersi vivo nel tempo, capace di risorgere e di rinnovarsi continuamente.
Le uova, accumulate a causa delle restrizioni ecclesiastiche che ne proibivano il consumo durante la quaresima, prodotte senza avarizia durante il tepore primaverile, venivano così ad arricchire una riserva alimentare sempre più abbondante, tale da consentire anche nella società contadina spesso affamata, l’abbuffata pasquale che metteva fine al tempo quaresimale.
La decorazione delle uova fra i contadini, era affidata solitamente alla madre e alla figlia maggiore e avveniva secondo precise regole rituali e nel più rigoroso silenzio interrotto solo dai canti religiosi e dalle preghiere.
Il colore, considerato da un punto di vista magico-simbolico, svolge un ruolo determinante nella scelta del messaggio da affidare all’uovo pasquale. Ciò che definiamo comunemente rosso, giallo, verde, non erano altro che i diversi livelli vibratori di un’unica energia, la stessa che collegava tutti gli elementi del cosmo. Le grandi culture del passato accordavano la massima importanza al colore al colore, con cui si esprimevano, curavano e si sintonizzavano sulla divinità, che spesso veniva rappresentata con immagini a tinte vivaci.
L’uovo dipinto di bianco, ad esempio, espone il colore lunare, si sintonizza sulla vibrazione emotiva: fecondatrice dall’infanzia alla maternità, dall’immaginazione alla medianità. È il colore dell’innocenza, della purezza e, come massima concentrazione della luce, del bene che sconfigge le tenebre.
Il colore rosso, riconduce simbolicamente al sangue, ne assimila, soprattutto in Oriente, il significato concreto di vita e di forza. È il colore augurale per eccellenza, da indossare a Capodanno per propiziare la fortuna e, in Cina, anche nel giorno delle nozze. In India, Brahma, il dio che crea, e Rudra, la divinità che guarisce, sono entrambi rappresentati con il corpo dipinto di rosso. Rossi sono anche gli dei benefici egizi, che ricordano, nel colore, la fanghiglia fecondatrice del Nilo. Ardore e sensualità, coraggio e vigore si ricollegano al rosso negli attributi di Ares (Marte) e di Pan, divinità primaverile greca della potenza sessuale maschile e della fertilità vegetativa. Il rosso, inoltre, riassume la forza purificatrice del fuoco. Come titnta-base delle uova pasquali, che la tradizione vorrebbe rigorosamente rosse, questo colore augura gioia, fecondità, vitalità e naturalmente, passione amorosa.
Il blu, colore gioviano, emblema della saggezza e della spiritualità, conduce, in assonanza con il cielo, all’idea dell’ascesi, dell’accesso allo spirito. È il colore del lapislazzolo, pietra a cui i tibetani attribuiscono il massimo potere rigeneratore. Il mitico trono del Buddha della medicina è interamente costruito con questo minerale. Blu è anche il corpo del dio indiano Visnù, della dea greca Hera sposa di Zeus, e degli abiti di quest’ultimo, padre di tutti gli déi. Nel cristianesimo, in analogia col cielo e dunque con la spiritualità, contrassegna il manto della Madonna, in qualità di messaggio pasquale, come augurio di serenità, guarigione e saggezza.
Il giallo, vibrazione della luce e del sole, emana un messaggio di chiarezza e di verità. Simboleggia la massima luminosità dell’oro, ottenuto attraverso purificazione alchemica degli Elementi, in senso di augurio di intellettualità e conoscenza.
Il verde, nel suo rapporto simbolico con il trionfo della vegetazione, riveste un significato di speranza, di fertilità e rigenerazione. Non a caso convoglia su di sé la vibrazione di Venere, il pianeta dell’armonia e dell’amore, della fioritura e della primavera. L’uovo dipinto di verde annuncia la speranza, la salute e l’arrivo di un nuovo e tenerissimo amore.
Il marrone, è il colore della terra, della solidità e della continuità ben rappresentata dall’influenza stabilizzante del pianeta Saturno. Il signore dei segni zodiacali invernali quali il Capricorno e l’Acquario, considerati presso i Romani, divinità della semina e della fecondità sotterranea, ancora non evidente ma assicurata. Questo colore in particolare, promette una realizzazione lenta ma ben costruita, ancorata a solide basi che ne protrarranno gli effetti inalterati nel tempo. simboleggia inoltre la Grande Madre terra e tutte le creature che vivono in essa. Infatti, è il caso dell’uomo stesso, in ebraico ‘adam’, creato secondo il racconto biblico dalla terra ‘adama’, da cui trae non solo il nutrimento ma anche il nome.
Le uova, si sa, sono elemento e simbolo associato alla Pasqua. Sulle uova tradizionalmente decorate per la fesività pasquale, oltre alle solite raffigurazioni di fiori, animali, personaggi storici o biblici, fanno la loro comparsa svariati simbolo astratti. Si tratta di segni antichissimi, conosciuti e impiegati in quasi tutte le culture: etrusca e fenicia, egizia e greca e romana, cristiana e celtica, indiana ecc. molti dei quali, ma solo più tardi, il cristianesimo li ha inglobati nel proprio patrimonio simbolico, sovrapponendo al loro significato originario un valore evangelico ed ecclesiastico.
Alla sensibilità delle decoratrici tuttavia non sembra tuttavia essere sfuggito il senso primordiale di questi segni, sempre intrinsecamente connesso con le tematiche primaverili del rinnovamento cosmico: la luce, la vita, il ciclo della natura che muore e che risorge, ecc. Si hanno così tutta una serie di simboli principali riferiti al cosmo, quali: il Sole, la Luna, le Stelle, l’Arcobaleno; ed altri di carattere magico-esoterico: il Triangolo, il Quadrato, la Croce, la Spirale, il Rombo, il Cerchio, la Linea del destino, la Mano, l’Albero spesso capovolto, il Fuoco ecc. esaminiamoli uno per uno.

Il Sole, è l’attributo di sovrani e déi, le cui corone dorate nel primo caso e le aureole raggiate nel secondo, tentano di uguagliarne lo splendore.
La Luna, è significatrice delle acque e del rinnovasmento e della maternità per eccellenza, legato all’antico culto delle maree e della fecondità femminile. Nel Medioevo cristiano compare spesso affiancata al Sole ai lati della Croce.
La Stella o il cielo stellato, esprime la speranza in un futuro più sereno, la direzione ritrovata dopo la burrasca. Non a caso infatti il cristianesimo sceglie proprio la Stella per annunciare la venuta del Messia. In medio oriente essa assume altri significati secondo il numero delle sue punte, emblema del l’alba e dell’amore.
L’Arcobaleno, è il ponte di luce che unisce la terra a l cielo e gli uomini agli déi, ricorda il patto stretto da Jahvè con il genere umano alla fine del diluvio.
Il Triangolo è l’emblema della nascita della vita e della morte e rappresenta la perfezione del ‘tre’, il nuimero della sapienza divina e della completezza. Se l’area è annerita acquisisce la connotazione iniziatica della caverna o della montagna sacra, la prova estrema che il neofita deve superare, a conclusione di un lungo e impegnativo processo di apprendimento.
Il Quadrato, riconduce all’idea di stabilità, della razionalità e dell’intelligenza umana, solida ma limitata. Quando vi sono inseriti altri quadrati concentrici si ricollega alle tre età della vita, la giovinezza, la maturità, la vecchiaia.
La Croce è il simbolo precristiano dal significato universale, fa riferimento all’albero cosmico, l’asse centrale del mondo che ne sorregge il peso e le sorti. Come attributo cristiano della passione e della resurrezione di Cristo, si è affermata piuttosta tardi, alla fine del IV secolo, ed è sempre affiancata dai simboli del Sole e della Luna. Se ha quattro braccia uguali si dice ‘a croce greca’ che simboleggia la potenza del numero quattro, come le stagioni, gli evangeli e i segni fissi che li rappresentano: Leone, Acquario, Aquila e Toro. Quattro come gli Elementi e le Virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza.
La Spirale: la curva priva di inizio e fine evoca l’idea di continuità e dell’evoluzione, ben rappresentata nel simnolismo esoterico dell’ouroborus, il mitico serpente del Tempio che si morde la coda.
Il Rombo , allude alla matrice della Grande Madre cosmica e alle sue potenzialità generative.
Il Cerchio è l’emblema indiscusso della perfezione, suggerisce nella continuità della sua forma, che non ha inizio né fine, l’idea della’eternità.
Una Linea orizzontale che gira tutt’attorno all’uovo allude alla linea del destino; ondulata ripropone il potere fecondativo delle acque, mentre se è verticale presuppone le concezioni primaverili della vita e della rinascita.
La simbologia esoterica, come abbiamo visto, gira più o meno, attorno ai pochi temi di riferimento, presenti in tutte le realtà culturali e le confessioni del mondo; ma ce nè un simbolo in particolare che si eleva su tutti gli altri, ed è l’Albero universale, con tutti gli annessi vegetativi, come i rami e le radici, le foglie e le bacche, ma anche il prato, i fiori, i frutti, che lo contornano:

«Poi il Signore Iddio piantò un giardino in Eden e quivi pose l’uomo … e fece germogliare dal suolo ogni specie di alberi piacevoli d’aspetto e buoni da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male .»

Così la Bibbia. Ma la religione ebraico-cristiana non è l’unico contesto in cui il simbolo potente dell’albero vive e si moltiplica in un’infinita varietà di forme. Sì perché l’albero, con le sue radici che affondano nell’oscurità della terra e da questa trae la linfa vitale per la sua rigenerazione; altresì la sua chioma che si espande nella luce, riflette simbolicamente l’intenso desiderio umano di collegarsi alla realtà essenziale del mondo.È questa un’immagine ancestrale che ha preso forma nello spazio e nel tempo in cui si è formata, nella mitologia e nella religione, nel folklore popolare e nei saperi esoterici che si rinnova continuamente e prende alimento da una sorgente sacra al centro del mondo, sulla quale l’umanità ha modellato e dato corpo a un’aspirazione profonda: il perenne rinnovamanto della vita, la propria centralità nel cosmo, in un mondo armoniosamente ordinato.
All’ “Albero della vita”, Roger Cook (1) (Red edizioni 1987) ha dedicato un libro illustrato che ho rintracciato in una biblioteca di periferia, sotto l’etichetta ‘ Arte e Immaginazione’. Il prezioso volume di normali dimensioni è illustrato in modo splendido per cui offre al lettore che coltiva di questi interessi, la possibilità di un doppio escursus, testuale e fotografico, ricco e stimolante, col fare ricorso a materiali originali di studio e di verifica che motivano l’universalità del simbolo iconico preso a soggetto. In esso sono rappresentate tutte le culture, fin dalla visualizzazione della pittura firmata dai grandi artisti di ieri e di oggi, alla scultura come anche alla miniatura e alle anonime trame dei tappeti persiani e delle stoffe pregiate dell’Estremo Oriente.
Interessanti i temi trattati in indice: l’albero dell’immaginazione, della storia, della fertilità, dell’ascesa, del sacrificio, della conoscenza, della necessità interiore, e di quell’albero ‘cosmico’ capovolto, immutabilmente fisso nel mondo empireo, all’origine di innumerevoli tradizioni diverse. La si trova, per esempio, nei rituali sciamanici degli aborigeni australiani e presso i Lapponi, che, quando sacrificavano al dio della vegetazione, disponevano presso l’altare un albero capovolto, le cui radici crescono in alto e i cui rami si estendono verso il basso. Nei Veda e nelle Upanishad è l’albero cui ‘tutti i mondi riposano’ nella non-morte. È così che, mediante l’immagine dell’albero capovolto, la metafisica indiana riconcilia con molta sottigliezza il politeismo indù con il punto di vista monoteistico: perché tutti gli déi del suo pantheon interagiscono in funzione di un’unica radice nascosta.

«Un ritorno alle origini come per un rito di passaggio all’inverso, dunque?»

Umberto Eco (2), nel suo libro illustrato “Storia delle terre e dei luoghi leggendari” (Bompiani 2013), ci introduce, passo dopo passo, nell’immaginario umano così come si è espresso nel corso dei millenni. Scrive:

“La nostra immaginazione è popolata da terre e luoghi mai esistiti, dalla capanna dei sette nani alle isole visitate da Gulliver, dal tempio dei Thugs di Salgari all’appartamento di Sherlock Holmes. Ma in genere si sa che questi luoghi sono nati solo dalla fantasia di un narratore o di un poeta. Al contrario, e sin dai tempi più antichi, l’umanità ha fantasticato su luoghi ritenuti reali […] che hanno soltanto animato affascinanti leggende e ispirato alcune delle splendide rappresentazioni visive che in gran parte conosciamo (riportate in questo volume), altri hanno ossessionato la fantasia alterata di cacciatori di misteri, altri ancora hanno stimolato viaggi ed esplorazioni così che, inseguendo una illusione, viaggiatori di ogni paese hanno scoperto altre terre.”
Terre come Atlantide, Mu, Lemuria, le terre della regina di Saba, il regno del Prete Gianni, le Isole Fortunate, l’Eldorado, l’Ultima Thule, Iperborea e il paese delle Esperidi, il luogo dove si conserva il Santo Graal, la rocca degli Assassini, del Veglio della Montagna, il paese di Cuccagna, le isole di Utopia, l’isola di Salomone e la Terra Australe, l’interno di una terra cava e il misterioso regno sotterraneo di Agarttha, lo stesso Eden biblico, l’Inferno e il Paradiso danteschi, l’Eldorado, l’Albero della Vita, l’Uovo cosmico, che se esistono o, almeno, sono esistite nella fantasia o nei sogni di qualcuno, equivale a dire in certo qual modo che da qualche parte esistono, non vi pare?
Altri temi si annunciano non privi di interesse e ci riconducono, almeno spero, a quello spirito ancestrale da cui noi tutti, indissolubilmente, veniamo …

«Ma per favore, vogliamo tornare all’Uovo?»

«D’altronde quand’è che un uovo non racconta per diritto o per storto le pieghe segrete dell’esistenza umana e per riflesso di quella divina? Un uovo è al contempo il creato e la creazione: e la creazione, come è noto, si esprime nelle più svariate forme e differenti elaborazioni. In sintesi, più o meno tutto quello che abbiamo da dire a riguardo è che dentro un uovo c’è già tutto, il poco e l’assai, sia l’uno che l’altra, l’universo e il vuoto contenuti da un buco chiuso in se stesso: ma da quello che dice di sé, di solito, non lo si capisce» (3).

«Sì certo, ma non è che possiamo ricominciare!»
«Scusi, ricominciare da dove, dall’Uovo o dalla PasQua?»

Emblema antico di fecondità ed eternità, l’uovo era presente nella cosmologia egizia, in quella Fenicia e nell’ebraismo contrassegna la continuità della vita. Per i Cristiani è rappresentazione della Resurrezione dalle tenebre e dalla morte

«Ma l’avevamo già detto!»

Se il pulcino che sbuca dall’uovo è metafora di questa rinascita (e del Cristo risorto), le uova decorate e colorate sono segno di buona sorte e di roseo futuro anche per gli antichi Persiani, che se le scambiavano in alcune cerimonie religiose. Sono diventate persino prezioso regalo della Pasqua del 1885 in Russia, quando l’orafo e gioielliere di corte Peter Carl Fabergé accontentò lo zar di tutte le Russie Alessandro III che volle un originale pegno d’amore per la moglie Maria Fyodorovna, dando il via alla realizzazione delle costosissime e bellissime uova Fabergè.

«Alle uova della ‘Leda’ di Leonardo, di cui rimangono soltanto alcuni bozzetti, o a quelle di Maria F. ?»

Restiamo con Barbara Martusciello (4), la quale ci illumina sull’ Uovo attraverso l’arte:
“L’Alchimia lo assume a catalizzatore di significati oscuri e l’arte non si esime dalle raffigurazioni delle uova in opere di tutti i tipi, gli stili e i materiali. La più celebre è forse la grande tempera e olio su tavola di Piero della Francesca, oggi conservata nella Pinacoteca di Brera a Milano, databile al 1472 circa e nota come ‘Pala di Brera, o Montefeltro’. È una ‘Sacra Conversazione’ con la Madonna col Bambino, sei santi, quattro angeli e il donatore (Federico da Montefeltro). Al centro, in un’esedra semicircolare che racchiude una copertura a forma di conchiglia, campeggia un piccolo, perfetto uovo di struzzo che pende appeso a un filo e illuminato dalla luce. Il significato più accreditato ed evidente di questa figura emblematica – oltre all’articolato richiamo al dogma della verginità di Maria –, inteso comunemente come simbolo di vita e della Creazione, corrisponde all’Assoluto divino, centro e fulcro dell’Universo.
La raccontiamo iniziando dal grottesco dipinto di Hieronymus Bosch ‘Le concert dans l’œuf’ (Il concerto nell’uovo) riprodotto nella copia nel XVI secolo (oggi al Musée de Beaux-Arts Lille) dal ‘Maestro di Lille’, perché l’originale fu perduto; non dimenticando il Barocco di nature morte con gusto (Georg Flegel, ‘Spuntino con uova’, 1600 circa, Staatsgalerie, Castello di Johannisburg, Aschaffenburg) e dello spagnolo Diego Velasquez che vede anch’egli nell’uovo doti da leccarsi i baffi: nella ‘Vecchia friggitrice di uova’, 1618 (National Gallery of Scotland, Edimburgo) non c’è simbolo che tenga poiché v’è un tale realismo che pare di sentire il profumo delle uova fresche appena cotte… Una sinestesia che scaturisce anche di fronte alla solida, corposa ‘Natura Morta con pane e uova’ di Paul Cezanne (1865, al Museo di Cincinnati) e poi a quella di Georges Braque (1941) dove l’uovo è a scaldare sulla stufa…
Dalle uova imbiondite e croccanti passiamo ora a quelle di cioccolata, a ricordare la Pasqua, l’allora fiorente industria (dolciaria) italiana e una tradizione nell’eccellenza dell’illustrazione pubblicitaria: ecco Fortunato Depero che nel 1927 crea la locandina per ‘Uova Sorpresa’ dell’azienda Unica di Torino. Dal Futurismo ci affacciamo sulla magica sospensione spazio-temporale di Felice Casorati (con il piccolo olio su tela ‘Uova su libro’, 1949; i più grandi ‘Uova e limoni’; ‘Uova sul tappeto o sulla scacchiera’; ‘Maternità con uova’, 1958; ‘Notturno: uova’, 1959) e analizziamo l’archetipo dell’ovale nel Surrealismo, dove prende forma ed è riposto in nidi indecifrabili o nelle gabbie di Renè Magritte.
Tra gli artisti dell’inconscio e dell’onirico, Man Ray inserì l’uovo in alcune sue sperimentali composizioni fotografiche chiamate, per la tecnica a contatto pionieristica, con il suo nome – ‘Rayogrammi’ – e lo acclamò, per linda perfezione e carico simbolico, nel più netto e categorico ‘Uovo di struzzo’, 1944. Se la bizzarra, surrealisteggiante Leonor Fini, ne ‘La Guardiana dell’Huevo negro’ (1955) aggiunge un interessante versione occulta del tema, fu Salvador Dalì a primeggiare in questo, tra l’altro abbellendo in modo incredibile l’architettura del suo teatro-casa-museo a Figueres, città in cui egli nacque (1904) e abitazione dove morì nel 1989. Egli dipinse ironiche ‘Uova al tegame con tegame’ (o nel piatto col piatto), 1932, e passò a più concentrate riflessioni con ‘La metamorfosi di Narciso’, 1937 (alla Tate Gallery, Londra), in cui il giovane della mitologia greca, famoso per la sua bellezza, si specchia mentre accanto a lui una mano si materializza porgendo un uovo che è schiuso dal germogliare di un fiore. C’è tutto, qui: la leggenda greca, la punizione, la metamorfosi e, infine, la vita eterna.
Nuova di zecca, come è nuovo l’uomo-bambino ‘Geopoliticus’, eseguito nel 1943 nel ritiro americano di Dalì e della moglie e musa Gala: lì l’uovo indica più la nascita del novello Mondo – gli Stati Uniti – che un riferimento spirituale e universale… Che, invece, ritroviamo nel Dalì-uovo immortalato in una delle originali foto del sodale Philippe Halsman: per l’effetto-bozzolo che raffigura, sembra ideale spunto per il dipinto ‘L’aurora’, 1948, in cui l’uomo (ri)sorge dall’enorme guscio alle cui spalle s’irradiala la luce-tuorlo. Nel 1973 serpenti, donne-Eva ammiccanti e un grande uovo sono il suo contributo per il numero speciale di Playboy Magazine. Insomma: sacro e profano si rincorrono, si sovrappongono e si ammantano di ambiguità misterica: di quest’ultima sono piene le piazze d’Italia e le ‘wunderkammern’ di Giorgio De Chirico (l’uovo è inserito in molti suoi quadri).
A svelare qualche arcano e mostrare l’evidenza dietro gli emblemi della società – di massa – ci penserà poi Andy Warhol: con la sua massiva produzione di immagini seriali tra le quali quelle di piatte uova multicolor; il suo talentuoso figlioccio disperato, l’unruly child del gesto graffitistico Jean Michel Basquiat torna, con ‘Eyes and Eggs’ (olio su tela, 1983), alla dimensione quotidiana, alla fame di cibo, di amore, di 15 minuti di successo per tutti, il (degno?) nipotino di Warhol, Jeff Koons tridimensionalizzerà e monumentalizzerà le uova (di Pasqua) virando verso il lato kitsch dell’immaginario iconico, a differenza dell’originale Claes Oldenburg, che si ferma appena prima (in varie declinazioni museali di ‘Sculpture in the Form of a Fried Egg’.”
L’Uovo rientra nella scultura di Vittoria Marziari (5) “..affascinata dal mistero degli spazi cosmici e interiori che costituiscono la sua inesauribile fonte d’ispirazione, che si vuole definire scultura filosofica”, nell’emozionante bronzo intitolato ‘Amanti segreti’ dove i due ‘amanti’ si sovrappongono all’interno della ‘forma dell’uovo’ che si dischiude nell’emozione dell’idillio manifesto che s’apre all’amore. Momento che altresì trasforma “..l’immensa energia universale nella forma dell’arte, e che avvicina l’artista a quel misterioso soffio che fa muovere tutte le cose” (W. Fabbri). Un’eccellenza tutta italiana nel campo dell’arte e la prima scultrice donna ad aver ricevuto l’onoreficienza di Cavaliere della Repubblica Italiana nel 2016 per le sue riconosciute qualità artistiche.Dell’artista è apparso su questo stesso sito larecherche.it l’articolo con nota critica di Giorgio Mancinelli, intitolato “La danza immobile, la ‘poesia delle forme’ nei ‘lunghi silenzi’ dell’arte contemporanea”:

“Dagli albori dei tempi, nascondi la verità, con ingannevoli lusinghe e sfaccettature”
“Non udisti, non vedesti, ma inaspettata giunse la tempesta”.
“Non è la tenebra, ma la luce, quella sottile attrazione che ti spinge a gaurdare oltre il sipario”.
“Svuotiamoci dal torpore che inibisce il nostro risveglio”.
“Oltre le vesti il cuore, donando, amando”.

Sono queste solo alcune delle frasi altamente ‘poetiche’ afferente ad altrettanti ‘titoli esperienziali’ di avita bellezza trascendentale che accompagnano le opere scultoree di Vittoria Marziari, che oggi ci consentono di assaporare in pieno il gusto e il senso della profonda quietudine che ci viene incontro nelle forme che con maestria ha ricavato dalla materia, nel racconto dominato dal ‘silenzio’ … quel silenzio che nulla toglie alla bellezza che noi tutti, nel confronto visuale di rimando con le sue opere, ci portiamo dentro.

L’Uovo è il principio: Buona Pasqua.


Note:
(*) L’intero articolo è tratto in gran parte dallo studio e ricerca sull’argomento afferente all’Uovo di Pasqua, di Laura Tuan, apparso in ‘Astra’ - Editoriale Astra (1975?)

1) Roger Cook, “L’Albero della Vita” – Le radici del cosmo, (Red edizioni 1987)
2) Umberto Eco, “Storia delle terre e dei luoghi leggendari” (Bompiani 2013)
3) Giovanni Nucci, “E due uova molto sode” – Gaffi Edit. 2017
4) Barbara Martusciello - per la parte afferente all’arte contemporanea, articolo apparso in ‘My Where’ del 23 Marzo 2016
5) Vittoria Marziari – “Amanti segreti” (nell’immagine) - bronzo 2015, è parte integrante del suo vasto curriculum ricco di riconoscimenti e premi. L’artista ha esposto in musei, ambasciate, consolati, Istituti Italiani di Cultura, Palazzi Comunali ed Expo d’Arte Internazionali. Svolge la sua attività a Siena nell’atelier di via Stalloreggi 23 e nel laboratorio di via dei Tufi, adiacente al parco “Sculture di luce” ideato e inaugurato dall’artista nel giugno 2013.



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