Mamma foca è anni '70,
la lampada un portadischi
e l'edera bimba scavalca
già il cancello dondolo;
metterà gambe robuste
la bici operata alle
rotelle, capolinea di grandi conquiste.
Mamma foca a viso tondo
mi tiene raccolta fra lo sterno
ed il bottone di tutti i mondi:
io a testa in giù succhio e nitrisco,
viro e vario le posizioni. Pum, pum:
scalcio, poi dribblo.
Ravello è atossica e spalmabile
sulle tartine di ceramica, vergine
cruda: i limoni sono pulsanti
e le pecore nere racchie formiche.
Gigi ha la mia età e tanti quaderni,
una casa in curva, bianco Holter pressorio,
fasciatura da gomito in panne.
Mamma foca mi aspetta e sorride
panciuta: sembra l'otre del grande
terrazzo, boxeur in pausa consiglio
dall'allenatore, sembra il vasino
in cui pioveva possente il tiglio
decapitato dal vento dei primi Ottanta.
Mamma foca ancora non sa che il
nodo in liquefazione avrà più mare
del mare, lava blu nelle orbite
tristi. E facendo due conti ripensa
e non ricorda quando l'intinse
nel sale. Ma quella riccia semenza
si porterà dietro per sempre uno
zaino di onde: necessaire di pinne
e boccaglio, niente corde o morsetti
per la scalata del cianotico pescetto puntale.
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