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A proposito di Dio abbandona Antonio #poesiapoeti

Argomento: Letteratura

di Quin
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Pubblicato il 22/02/2019 22:17:43

A proposito di

Dio abbandona Antonio

 

di Konstantinos Petrou Kavafis

(o di Plutarco, Shakespeare, Borges, Cohen e di noi altri)

per la cena dell’oca di Lelo dic 14

 

Vorrei dirvi qualcosa, non più che qualcosa, sulla poesia. Non so come sarà. A voi che con sopportazione dettata più che dalla curiosità dall’amicizia, avete già prestato con bel garbo orecchio ai miei miseri tentativi poetici e a chi, novizio e foriero per me d’imbarazzo, questo cordoglio non ha mai incontrato ma che se è qui è disposto, mi auguro, ad assaggiare tentativi ed errori, a entrambe le specie dico: non so se sarà interessante o noioso, fatemelo capire. Io l’ho trovato bello, voi mi saprete dire.

Per citare una delle menti non so se più brillanti del secolo ma fra quelle che mi sono più care: “Cari compagni, condividere non è il senso della vita?”

 

 

IL MESTIERE DEL POETA

 

Cosa fa il lettore, l’esegeta

il traduttore, se non incontrare

quello che avrebbe anche lui potuto dire?

E qual è mai il mestiere del poeta

Se non dar voce al mondo, purchessia

Usando ciò che riesce a sentire?

Vorrei provare stasera a raccontare

Dove un verso, una canzone, una poesia

Nascono e dove vanno a finire

Io che poeta non sono affatto

Ma so nuotare nel vino e nel mare

Forse per questo un poco sono adatto

A mostrare, nient’altro che mostrare.

Con poca scienza, ma davvero poca:

Dieci minuti poi passiamo all’oca.

                          Qdic14 Per la cena dell’oca di Lelo, 20 dic 14

                                                    

POETI

 

Dei mediocri poeti il dio    

Giurando sennò di farmi zittire     

Un bel giorno mi ingiunse di dire

Quel che da tempo sapevo già io:

Non è cosa tua la poesia

Che in stupida e vuota aerofagia

Rigurgita parole a non finire.

Non siamo così tanto diversi

Non sei tu a dar vita ai tuoi versi

Ma gli altri che li stanno a sentire

                                          Qdic14

 

 

Notte fra il 31 luglio e il primo agosto del 30 a. C.. Alessandria, città della più grande biblioteca del mondo e di un faro che si vede a 25 miglia dalla costa.

Siamo nella reggia di Cleopatra, nella stanza di Antonio.

Giulio Cesare è stato assassinato da quattordici anni, la supremazia a Roma, su Roma e sul mondo, si decide nella guerra civile fra Cesare Ottaviano e Marco Antonio. Anzi, si è già decisa, con una battaglia che poteva essere vinta e invece è stata una disfatta.

Ma vediamo da cosa nasce proprio questa notte.

La Vita di Antonio è la più bella tra le Vite di Plutarco: c' è un fantastico equilibrio tra racconto biografico e storico, ottenuto mettendo insieme la storia con l’attenzione ai piccoli aneddoti rivelatori ma anche agli aspetti mitici della natura di Antonio.

Mitici, perché secondo la tradizione, Antonio discende da un dio e da un semidio: Dioniso ed Eracle, come Alessandro Magno. Tutta l'esistenza di Antonio vive sotto il segno di Dioniso. L'ubriachezza a tutte le ore, le spese eccessive, il suo avvoltolarsi tra le donne; l'amicizia coi mimi, i buffoni, i giocolieri, gli attori.

Contemporaneamente, Antonio è un generale brillante, un condottiero che sa farsi amare dai suoi uomini e vincere le battaglie difficili.

Viene il giorno della morte di Cesare, con Antonio che accusa Bruto fingendo di non volerlo accusare, istrione in realtà meno dionisiaco che calcolatore, come ce lo mostreranno Plutarco e poi Shakespeare.

Poi l’incontro con Cleopatra, a Tarso nel 41 a.C.

Nella vita di Antonio, Cleopatra è la rivelazione. L’amore della vita.

Plutarco ricorda che, malgrado la leggenda, Cleopatra non era bellissima ma la sua conversazione aveva un fascino indescrivibile, possedeva la seduzione della parola. Si adattava al carattere di Antonio e alla sua volgarità soldatesca e alla sua passione dionisiaca, che condivideva come una devota.

Secondo Plutarco, Antonio amava profondamente Cleopatra, e ne era dominato e soggiogato.

Al Dioniso che viene da occidente si era aperto l’oriente.

Un anno dura la loro vita insieme poi i loro destini si dividono. Antonio sposa la ragion di stato, Ottavia, la sorella di Ottaviano. Anche i rapporti con Ottaviano si stringono.

Antonio scrive ad Augusto in modo confidenziale:

« Che cosa ti ha cambiato? Il fatto che faccio l’amore con una regina? È mia moglie. Non sono forse nove anni che iniziò [la nostra storia d'amore]? E tu fai l’amore solo con Drusilla? E così starai bene se quando leggerai questa lettera, non ti sarai goduto Tertullia, o Terentilla, o Rufilla, o Salvia Titisenia o tutte. Importa forse dove e con chi fai l’amore? »(Svetonio, Augustus.)

Giocano insieme a sorte, a dadi, o fanno combattere i galli e le quaglie. Antonio perde sempre, sempre. «Il tuo Genio - dice ad Antonio un indovino egizio - teme il suo Genio e, orgoglioso e fiero quando è solo, diventa più umile e ignobile quando Ottaviano gli è vicino».

Malgrado la mediazione di Ottavia, tra Antonio e Ottaviano scoppia la guerra, fra occidente e oriente, fra il romano fedele e il traditore, fra Apollo e Dioniso.

Dopo anni di scontri, alla fine, ad Azio (vi ricordate il mare interno di Preveza, sotto Igoumenitza? Con alcuni di voi ci abbiamo navigato.) dove le veloci e leggere navi di Augusto sopraffanno le pesanti navi di Antonio, Cleopatra fugge improvvisamente con la sua flotta, Antonio la segue. Sette giorni lo aspetterà il suo esercito di terra, di gran lunga superiore per numero a quello di Ottaviano, prima di capire di essere stato abbandonato e arrendersi.

Perché è stata persa questa battaglia ve lo racconterò un’altra volta.

Cleopatra e Antonio si rifugiano per un anno nella reggia di Alessandria.

Di nuovo, sotto il segno di Dioniso, conviti e baldorie. Cleopatra gioca a dadi con Antonio, beve con lui, si traveste da servetta e con lui va in giro per strada a molestare gli Alessandrini. Poi arriva la notte

E ora Plutarco, testuale:

 

Si racconta che in quella notte, verso la metà della notte, mentre la città era immersa nel silenzio e nella tristezza per la paurosa attesa del futuro, improvvisamente si udirono suoni armoniosi di strumenti di ogni sorta e il clamore di una folla con grida e danze di satiri, quasi fosse un corteo dionisiaco che si snodava tumultuante. E sembrava che procedesse attraverso il centro della città verso la porta esterna, rivolta dalla parte dei nemici e che là il tumulto, dopo aver raggiunto il massimo grado, cessasse. Agli alessandrini, che ascoltavano in silenzio, parve un segnale: Dioniso, il dio più imitato da Antonio per tutta la vita, lo stava abbandonando.

 

Il giorno successivo, il 1º agosto del 30 a.C. Ottaviano invade l'Egitto ed entra ad Alessandria. Non avendo vie di scampo, Antonio si suicida. Pochi giorni più tardi, Cleopatra ne segue l'esempio.

 

1600 anni dopo, un uomo - o una terna d’uomini, due a scrivere e uno a portare in teatro, che importa? - fanno cenno alla stessa scena:

 

SCENA III - Alessandria. Davanti alla reggia

Entrano due SOLDATI per montare la guardia

1° SOLDATO - Buona notte, fratello… Gran giornata, Domani è il giorno.

2° SOLDATO - Sì, in un verso o l’altro, tutto sarà risolto. Buona notte. Nulla di strano, in giro per le strade?

1° SOLDATO - Nulla. Perché?

2° SOLDATO - Mah! Saran solo voci… Buona notte, compagno.

1° SOLDATO - Buona notte.

Entrano altri due SOLDATI

2° SOLDATO - Salute, camerati, e buona guardia.

3° SOLDATO - Anche a te. Buona notte. 2° SOLDATO - Buona notte. (Si piazzano ai quattro angoli della scena)

4° SOLDATO - Noi qui. E se domani la giornata sarà propizia per la nostra flotta, son sicuro che sulla terraferma il nostro esercito ce la farà.

3° SOLDATO - È un esercito forte e ben deciso. (Musica di oboi, da dentro, come se provenisse da sottoterra)

4° SOLDATO - Silenzio! Che cos’è questo rumore?

1° SOLDATO - Udite!

2° SOLDATO - Attenti!

1° SOLDATO - Musica dall’aria…

3° SOLDATO - No, da sotterra.

4° SOLDATO - Sarà segno buono?

3° SOLDATO - No.

1° SOLDATO - Ma che vorrà dire?… Zitti, dico!

2° SOLDATO - Sarà forse la voce del dio Ercole, che Antonio amava, e che adesso lo lascia.

1° SOLDATO - Vediamo un po’ se gli altri della guardia odono anch’essi ciò che udiamo noi.

2° SOLDATO - Ehi, voi, compagni! TUTTI - Ehi, là, sentite niente?

1° SOLDATO - Certo ch’è strano.

3° SOLDATO - Lo sentite o no?

1° SOLDATO - Seguiamo il suono fino dove arriva la nostra guardia. Vediamo se cessa.

TUTTI - D’accordo, andiamo. Ma che cosa strana! (Escono)  

 

Di passaggio, non dimentichiamo che di quell’uomo, che per certo ha scritto queste parole – in versi, si badi – un altro uomo di sterminata cultura e di non poca poesia scriverà 300 anni dopo:

 

 

Everything and nothing

 

Nadie hubo en él; detrás de su rostro (que aun a través de las malas pinturas de la época no se parece a ningún otro) y de sus palabras, que eran copiosas, fantásticas y agitadas, no había más que un poco de frío, un sueño no soñado por alguien. Al principio creyó que todas las personas eran como él, pero la extrañeza de un compañero, con el que había empezado a comentar esa vacuidad, le reveló su error y le dejó sentir para siempre, que un individuo no debe diferir de su especie. Alguna vez pensó que en los libros hallaría remedio para su mal y así aprendió el poco latín y menos griego de que hablaría un contemporáneo; después consideró que en el ejercicio de un rito elemental de la humanidad, bien podía estar lo que buscaba y se dejó iniciar por Anne Hathaway, durante una larga siesta de junio. A los veintitantos años fue a Londres. Instintivamente, ya se había adiestrado en el hábito de simular que era alguien, para que no se descubriera su condición de nadie; en Londres encontró la profesión a la que estaba predestinado, la del actor, que en un escenario, juega a ser otro, ante un concurso de personas que juegan a tomarlo por aquel otro. Las tareas histriónicas le enseñaron una felicidad singular, acaso la primera que conoció; pero aclamado el último verso y retirado de la escena el último muerto, el odiado sabor de la irrealidad recaía sobre él. Dejaba de ser Ferrex o Tamerlán y volvía a ser nadie. Acosado, dio en imaginar otros héroes y otras fábulas trágicas. Así, mientras el cuerpo cumplía su destino de cuerpo, en lupanares y tabernas de Londres, el alma que lo habitaba era César, que desoye la admonición del augur, y Julieta, que aborrece a la alondra, y Macbeth, que conversa en el páramo con las brujas que también son las parcas. Nadie fue tantos hombres como aquel hombre, que a semejanza del egipcio Proteo pudo agotar todas las apariencias del ser. A veces, dejó en algún recodo de la obra una confesión, seguro de que no la descifrarían; Ricardo afirma que en su sola persona, hace el papel de muchos, y Yago dice con curiosas palabras no soy lo que soy. La identidad fundamental del existir, soñar y representar le inspiró pasajes famosos.

Veinte años persistió en esa alucinación dirigida, pero una mañana le sobrecogieron el hastío y el horror de ser tantos reyes que mueren por la espada y tantos desdichados amantes que convergen, divergen y melodiosamente agonizan. Aquel mismo día resolvió la venta de su teatro. Antes de una semana había regresado al pueblo natal, donde recuperó los árboles y el río de la niñez y no los vinculó a aquellos otros que había celebrado su musa, ilustres de alusión mitológica y de voces latinas. Tenia que ser alguien; fue un empresario retirado que ha hecho fortuna y a quién le interesan los préstamos, los litigios y la pequeña usura. En ese carácter dictó el árido testamento que conocemos, del que deliberadamente excluyó todo rasgo patético o literario. Solían visitar su retiro amigos de Londres, y él retomaba para ellos el papel de poeta.

La historia agrega que, antes o después de morir, se supo frente a Dios y le dijo: Yo, que tantos hombres he sido en vano, quiero ser uno y yo. La voz de Dios le contestó desde un torbellino: Yo tampoco soy; yo soñé el mundo como tú soñaste tu obra, mi Shakespeare, y entre las formas de mi sueño estabas tú, que como yo eres muchos y nadie.

 

Non vi fu alcuno in lui: dietro il suo volto (che anche attraverso i cattivi ritratti dell’epoca non somiglia a nessun altro) e alle sue parole, ch’erano copiose, fantastiche e agitate, non c’era che un po’ di freddo, un sogno sognato da nessuno. All’inizio pensò che tutte le persone fossero come lui, ma lo stupore di un amico a cui aveva iniziato a commentare questo vuoto, gli rivelò il suo errore e gli lasciò sentire per sempre che un individuo non deve differire della sua specie. A volte pensò che nei libri avrebbe trovato una cura per la sua malattia, e quindi imparò il poco latino e meno greco che avrebbe potuto parlare un contemporaneo; poi considerò che nell'esercizio di un rito elementare dell'umanità, poteva ben esserci quello che cercava e si lasciò iniziare da Anne Hathaway, durante un lungo sonnellino di giugno. Ai venti e rotti anni fu  a Londra. Istintivamente già si era addestrato nell’abitudine di fingere di essere qualcuno, perché non si scoprisse la sua condizione di nessuno; a Londra, trovò la professione a cui era predestinato, quella dell’attore, che su un palco gioca ad essere un altro davanti ad un concorso di persone che giocano a prenderlo per quell’altro. I compiti istrionici gli mostrarono una singolare felicità, forse la prima felicità che avesse mai conosciuto; ma applaudito l’ultimo verso e ritirato dalla scena l’ultimo morto, l’odiato sapore della irrealtà ricadeva su di lui. Cessava di essere Ferrex o Tamerlano e tornava ad essere nessuno. Braccato, si diede a immaginare altri eroi e altre favole tragiche. Così, mentre nelle taverne e nei bordelli di Londra il suo corpo compiva il suo destino di corpo, l’anima che lo abitava era Cesare, che ignora il monito dell’augure, e Giulietta che aborrisce l’allodola, e Macbeth, che dialoga nella landa con le streghe che sono anche le parche. Nessuno fu mai tanti uomini come quell’uomo che, come l’egizio Proteo, poté esaurire tutte le apparenze della realtà. Talvolta lasciò  in qualche piega della sua opera una confessione, certo che non l’avrebbero decifrata; Riccardo afferma che nella sua sola persona interpreta la parte di molti, e Iago dice con curiose parole ‘non sono quello che sono”. L’identità fondamentale dell’esistere, sognare e rappresentare gli ispirò passaggi famosi.

Per venti anni persisté in quella allucinazione guidata, ma una mattina lo sopraffecero il disgusto e l’orrore di essere così tanti re che muoiono di spada e di tanti sfortunati amanti che convergono, divergono e melodiosamente agonizzano. Quello stesso giorno risolse la vendita del suo teatro. Prima di una settimana era tornato al suo villaggio natale dove recuperò gli alberi ed il fiume dell'infanzia e non li vincolò a quegli altri che aveva celebrato la sua musa, illustri di allusione mitologica e di voci latine. Doveva essere ‘qualcuno: fu un impresario in pensione che ha fatto fortuna e a cui interessano i prestiti, le liti e la piccola usura. In questo carattere dettò l’arido  testamento che conosciamo, da cui deliberatamente escluse ogni traccia di pathos o di letteratura. I suoi amici da Londra erano soliti visitare il suo ritiro e per loro egli riprendeva il suo ruolo di poeta. La storia aggiunge che prima o dopo la morte si seppe alla presenza di Dio e gli disse: “Io, che tanti uomini sono stato invano, voglio essere uno e io”. La voce di Dio gli rispose da un turbine: Nemmeno io sono; io ho sognato il mondo come tu sognasti la tua opera, mio Shakespeare, e tra le forme del mio sogno eri tu, che come me, sei tanti e nessuno.

 

Jorge Luis Borges (El hacedor ,1960)

 

 

 

Ma torniamo a noi, anzi, a Antonio, a quella notte.

300 anni dopo un uomo di 50 anni che da sempre vive ad Alessandria, che ricorda bene il suo Plutarco ma anche la propria vita, divisa fra il suo proprio Dioniso e la monotonia delle sue giornate da impiegato altezzoso, la propria solitudine, (uno che peraltro scriverà una poesia dal titolo: “Aspettando i barbari”, dando da pensare da una parte al Buzzati de “Il deserto dei tartari”, dall’altra al Le invasioni barbariche (Les Invasions barbares)  film canadese del 2003, scritto e diretto da Denys Arcand, scrive:

 

 

 

Dio abbandona Antonio

 

Σαν άξαφνα ώρα μεσάνυχτα ακουστεί

αόρατος θίασος να περνά

με μουσικές εξαίσιες

με φωνές την τύχη σου που ενδίδει πια

τα έργα σου που απέτυχαν

τα σχέδιατης ζωής σου

που βγήκαν όλα πλάνες

μη ανωφέλετα θρηνήσεις

προπάντων να μην γελαστείς

μην πεις πως ήταν ένα όνειρο

μάταιες ελπίδες τέτοιες μη καταδεχτείς

σαν έτοιμος από καιρό σαν θαρραλέος

σαν που ταιριάζει σε

που αξιώθηκες μια τέτοια πόλη

πλησίασε σταθερά προς το παράθυρο

κι άκουσε με συγκίνηση

αλλ’ όχι με των δειλών τα παρακάλια

και παράπονα

ως τελευταία απόλαυση τους ήσους

τα εξαίσια όργανα του μυστικού θιάσου

κι αποχαιρέτα την την Αλεξάνδρεια που χάνεις

 

Quando d'un tratto a mezzanotte si udirà

invisibile passare un tiaso

con voci e musiche incantevoli

non piangere invano la tua fortuna che ripiega,

i progetti della tua vita che furono solo errori.

Come pronto da sempre, come sono i coraggiosi,

da' un addio all'Alessandria che ti sfugge.

Ma più di tutto, non ti illudere,

non dire che fu solamente un sogno,

che il tuo udito si è ingannato:

non degnarti di simili speranze vane.

Come pronto da tempo, come sono i coraggiosi,

come si confà a chi fu degno di una città sì grande,

saldo t'accosta alla finestra,

e ascolta con commozione sì,

ma non con le preghiere e lo sconforto degli abietti,

i suoni come ultimo piacere,

i sontuosi strumenti della brigata misteriosa,

e da' l'addio all'Alessandria che stai perdendo.

                                                          Constantinos Kavafis

 

Si parla di un Dio che abbandona un uomo o di una vita che se ne va, di una Città o di un amore perduti? Non lo so bene. So però che settanta anni dopo (e duemila dopo quella notte) nel 2001, un altro uomo, di 68 anni, bravo con le parole e con una splendida voce, un canadese di Montreal complesso e affascinante, che ha amato, (credo con miglior fortuna ma in amore si soffre sempre se non lo si sfugge), le donne come Kavafis i ragazzi, uno che ricorda bene il suo Plutarco, il suo Shakespeare e soprattutto il suo Kavafis, che come Kavafis usa un linguaggio banale e a tratti ricercato, scrive, e canta:

 

  

 

Alexandra Leaving

 

Suddenly the night has grown colder.

The god of love preparing to depart.

Alexandra hoisted on his shoulder,

They slip between the sentries of the heart.

 

Upheld by the simplicities of pleasure,

They gain the light, they formlessly entwine

And radiant beyond your widest measure

They fall among the voices and the wine.

 

It's not a trick, your senses all deceiving,

A fitful dream, the morning will exhaust

Say goodbye to Alexandra leaving.

Then say goodbye to Alexandra lost.

 

Even though she sleeps upon your satin

Even though she wakes you with a kiss.

Do not say the moment was imagined

Do not stoop to strategies like this.

 

As someone long prepared for this to happen,

Go firmly to the window. Drink it in.

Exquisite music. Alexandra laughing.

Your firm commitments tangible again.

 

And you who had the honor of her evening

And by the honor had your own restored

Say goodbye to Alexandra leaving

Alexandra leaving with her lord.

 

Even though she sleeps upon your satin

Even though she wakes you with a kiss.

Do not say the moment was imagined

Do not stoop to strategies like this.

 

As someone long prepared for the occasion

In full command of every plan you wrecked

Do not choose a coward's explanation

that hides behind the cause and the effect.

 

And you who were bewildered by a meaning

Whose code was broken, crucifix uncrossed

Say goodbye to Alexandra leaving.

Then say goodbye to Alexandra lost.

 

Say goodbye to Alexandra leaving.

Then say goodbye to Alexandra lost.

 

Alessandra che se ne va

 

Improvvisamente la notte è diventata più fredda.

Il dio dell'amore si prepara a partire.

Alessandra issata sulle sue spalle,

Scivolano tra le sentinelle del cuore.

 

Sorretti dalla semplicità del piacere,

Guadagnano la luce, si allacciano senza forma;

E radiosi al di là di ogni tua misura

Cadono tra le voci ed il vino.

 

Non è un trucco, i tuoi sensi tutto ingannano,

Un sogno incostante, la mattina si svuoterà -

Di’ arrivederci ad Alessandra che se ne va.

Poi di’ arrivederci ad Alessandra perduta.

 

Sebbene lei dorma sopra il tuo raso;

Sebbene ti svegli con un bacio.

Non dire che il momento fu immaginato;

Non piegarti a strategie come queste.

 

Come qualcuno a lungo preparato a che cio accadesse,

Vai con fermezza alla finestra. Bevila.

Musica squisita. Alessandra che ride.

I tuoi solidi impegni sono ancora tangibili.

 

E tu che hai avuto l'onore della sua sera,

E con l'onore hai avuto il tuo ricostruito

Di’ arrivederci ad Alessandra che parte;

Alessandra che parte con il suo signore.

 

Sebbene lei dorma sopra il tuo raso;

Sebbene ti svegli con un bacio.

Non dire che il momento fu immaginato;

Non piegarti a strategie come queste.

 

Come qualcuno a lungo preparato per l'occasione;

In pieno comando di ogni piano che hai fatto naufragare

Non cercare una spiegazione di un codardo

Che si nasconde dietro la causa e l'effetto.

 

E tu che eri confuso da un significato;

Il cui codice era rotto, crocifisso disincrociato

Dì arrivederci ad Alessandra che parte.

Poi di’ arrivederci ad Alessandra perduta.

 

Di’ arrivederci ad Alessandra che parte.

Poi di’ arrivederci ad Alessandra perduta.

                          Leonard Norman Cohen (Montréal,21 settembre1934)

 

 

 

 

Alessandria per Leonard Cohen è diventata Alexandra, il dio è ora certamente Eros.

E’ cambiato qualcosa? Tutto naturalmente, ma è molto di più ciò che è rimasto uguale, ciò che c’è sotto e sopra, sotto e sopra Cohen, sotto e sopra Kavafis, sotto e sopra Shakespeare, perfino sotto e sopra  Plutarco.

Poeti: sotto il vino, l’acqua, il mare. Il mare, questo mare su cui noi nuotiamo, nella schiuma delle nostre parole.

 


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