Il terreno già farcito è il tuo letto,
quello in cui la verdezza è di livello
notevole e sale rigogliosa grazie
ad innesti e sudori altrui.
E quella sudicia fatica di annerirsi le unghie,
strappare via escrescenze dannose,
rassodare, trovare l'occhiello in attesa
della semenza boccuta, va
bene agli altri, ma non a te.
Un passaggio da evitare.
Evitato.
Poi, un giorno, ecco, sono arrivata:
mai disinnescata dal brado del ventre
che con me si conduceva felice da tempo,
mai rivoltata, certo mai stanate le radici
più pronte alla cura, mai e poi mai insignita
di turgori ripieni, di bolle
per fioritura a stagione precisa.
Potevi essere ago, fiala, giuntura,
soluzione, corroborante, energizzante,
ricostituente. Tutte queste belle dosi opportunamente
infilate nel mio teso distendersi senza sorprese.
Nuova era per te la prova con l'inarato ed
il selvatico, nuova per me era la prova con
l'esperto di frutti già sollevati dalla prima
esplosione ed irrobustiti; le ossa rimpolpate
dal contributo di facce estranee.
Ma adesso dimmi, ti prego: si dorme poi
così bene impigriti accanto ad un corso
rimpinzato da altri affluenti?
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