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Ottantaquattro e lode!

di Angelo Cremonesi
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Pubblicato il 09/12/2014 17:44:19

Ermenegildo Rusconi apparteneva alla buona borghesia contadina di un paesotto della Brianza. Era Gildo per tutti, finché la famiglia non decise di mandarlo al liceo e lui, per   darsi un tono, si fece chiamare Ermes.
Rimase Ermes fino alla morte.
Non era particolarmente dotato, ma possedeva una memoria di ferro e, a dispetto della sua quasi assoluta incapacità di sviluppare un qualsiasi ragionamento, ciò gli consentì di proseguire gli studi all'Università.
Inanellò una serie impressionante di “ventuno” e di “ventitré”, con perfino qualche raro balzo sulla vetta del “ventiquattro”.
Accadde un giorno che si presentasse per un esame complementare, di quelli ai quali si attribuisce poca importanza, e per i quali molti studenti sono disposti ad accettare voti mediocri. Gildo Rusconi aveva mandato a memoria le sottolineature degli appunti di un compagno di corso che, dopo molta insistenza, mosso a pietà, aveva fatto il bel gesto, guadagnandosi l'eterna gratitudine del novello Ermes.
I docenti universitari, si sa, sono esseri umani, a dispetto del mestiere che fanno.
E può accadere, talvolta, che presenzino agli esami senza prestare la minima attenzione all'esaminando, volgendo invece le loro attenzioni ai colleghi di commissione, mentre lo studente conversa con una sedia vuota.
Gildo era infervorato durante l'esposizione, come se cercasse l'argomento giusto per convincere il proprio interlocutore ad un giudizio mite. La sedia, a quanto pare, lo ascoltò.
Infatti, dall'altro lato della scrivania si stava svolgendo una conversazione incomprensibile ma piuttosto animata tra i membri di commissione: il presidente, parlando di un altro studente sentenziò: – Trenta e lode, mi sembra strameritato!–, mentre i bastiancontrari cercavano di riportarlo a più cauti giudizi.
Il parlottio si fece più agitato, preoccupando oltremodo Gildo che continuava a parlare alla sedia con un tono da confessionale. Inoltre, non aveva compreso il senso di quella conversazione tra “dèi”.
Improvvisamente, nell'aula tuonò un “...Trenta e lode, perdio! E senza altre ciarle!”.
Ermenegildo Rusconi, che non aveva ancora finito di dire il rosario, guardò incredulo il chiarissimo professor Ammazzasperanza (alla nascita battezzato Caino) e, in un impeto di improvviso amore filiale, lo abbracciò tra le lacrime, mentre l'aula, fino ad allora apatica, ebbe un sussulto e iniziò ad applaudire fragorosamente.
L'illustre professore non osò deludere la platea plaudente e, benché avesse già deciso per un caritatevole “ventuno”, ricambiò l'abbraccio e firmò il “trenta e lode” sul libretto. Dandogli una pacca sulla spalla, disse: – Finché ci saranno giovani come Lei, la nostra Università e la nostra stessa Nazione brilleranno di una luce radiosa dinanzi alla altre nazioni! – .
Non gli erano uscite parole migliori di queste, ma pochi secondi dopo Ermenegildo Rusconi era già uscito dall'aula e dalla sua vita.
Pochi mesi più tardi, finalmente, la laurea.
Tenuto conto della media dei voti d'esame compreso il “trenta e lode” e della tesi, il risultato finale fu: ottantaquattro!
Si fece festa per tre giorni a casa Rusconi. Tutto il parentado venne a vedere il fenomeno e a leggere almeno qualche riga di quel testo immortale.
Il quarto giorno un manipolo di ormai ex-studenti lo prelevò di forza da casa (con l'assenso di bisnonni, nonni e genitori) per festeggiare il primo giorno da borghese.
Andarono alla trattoria della Posta, giù in paese.
Si ubriacarono tutti, cani e gatti compresi.
A cena finita, Gildo fu sollevato e portato a spalla al bordello, dove già tutto era pronto per il “battesimo”, che fu velocissimo.
Nel cuore della notte, quando anche l'ultimo lume si spense, Gildo fu portato nella stalla e, come buon augurio,  mentre dormiva stordito dall'alcool, ricoperto di strame ancora caldo.
Quando si svegliò all'alba, solo e infreddolito, sotto tre dita di escrementi, non riuscì neppure a piangere o ad arrabbiarsi o a bestemmiare: voleva solo andare a dormire.
Si trascinò in casa, attento a non fare rumore; ma puzzava così tanto che il padre lanciò alcuni improperi seguiti da bestemmie, a loro volta seguite dagli avemaria della signora madre.
Si lavò come poté, così, alla bellemeglio, ché tutto gli girava sottosopra. Poi crollò sul letto. Girò lo sguardo e vide nel bel mezzo della parete il quadretto con incorniciato il diploma della laurea, e quella parola: 'ottantaquattro'.
La osservò a lungo. Poi, ebbe un sussulto. Prese lentamente la stilografica dalla giacca sul pavimento, staccò il quadretto dalla parete, tolse la pergamena, seguì con l'indice sinistro le righe del diploma fino alla parola 'ottantaquattro' e con grafia incerta scrisse “cum laude”. –Adesso, sì! Adesso sì! –, biascicò crollando nuovamente sul letto, definitivamente sconfitto dal sonno, sognando di prolungare il brevissimo incontro di quella notte con Gina la bella, il suo primo, nebuloso, indimenticabile amore.


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