Almanacco dello Specchio 2010-2011 a cura di Maurizio Cucchi e Antonio Riccardi, Mondadori, Milano, 2011 pp. 260 € 16.00
In un famoso articolo sulla poesia di Dante Alighieri degli anni Venti del Novecento il poeta russo Osip Mandel’stam parlava, a proposito della poesia del suo tempo (ed è la prima volta, a mio avviso, che viene impiegata questa terminologia), di «discorso poetico». A lui la parola:
«Il discorso poetico è un processo incrociato e si genera da due risonanze la prima delle quali, da noi udibile e percepibile, è la metamorfosi dei mezzi propri del discorso poetico che emergono via via nel suo erompere; la seconda è il discorso vero proprio, cioè il lavoro tonale e fonetico che risulta grazie a quei mezzi.
In tal senso la poesia non è parte della natura, sia pure di una natura affinata e selezionata né tanto meno un suo rispecchiamento, il che porterebbe alla derisione sulla norma dell'identità ma, con sorprendente autonomia, si insedia in un campo d'azione nuovo, extraspaziale, non tanto per narrare la natura, quanto per recitarla con l'ausilio di quei mezzi detti comunemente immagini.
Il discorso poetico o il pensiero poetico può essere chiamato sonoro soltanto in via convenzionale, poiché noi vi udiamo unicamente l'interferenza di due linee, una delle quali, presa da sola, è assolutamente muta mentre l'altra, senza il sostegno della metamorfosi, è priva di ogni significato e interesse e si presta alla parafrasi, sintomo certissimo, a mio modo di vedere, dell'assenza di poesia: laddove si avverte la parafrasi, lì le lenzuola non sono sgualcite e la poesia, per così dire, non vi ha pernottato.
Dante è un maestro dei mezzi poetici, non un fabbricante d'immagini. È lo stratega della metamorfosi e degli incroci e, meno di tutto, un poeta nel senso paneuropeo, ossia nel senso culturale, esteriore del termine».
Conviene ripartire da lì, dalla riflessione mandel’stamiana, per mettere sotto il vigile occhio dello sguardo critico la poesia che ci consegna questo Almanacco.
Il «discorso poetico», così come si è venuto a configurare nel tardo Novecento italiano e in questa prima decade del nuovo secolo mi sembra sia una cosa più simile alla identità sessuale dell’ircocervo che non a quella dei mammiferi più evoluti, mi sembra che attenga più al genere «neutro» che non al maschile e al femminile, insomma, quello che appare a prima vista è lo strapotere, l’esondazione della prosa poetica e/o della prosa prosastica (mi si passi il bisticcio) ben al di là delle esigue e fragili barriere che delimitavano (o avrebbero dovuto delimitare il fiume in esondanza della lirica) la poesia un tempo lirica. È avvenuto così che quella che un tempo lontano quanto il giurassico si indicava come genere lirico è oggi divenuto, direi, un «genere neutro», neutrale e neutralizzato, neutrofilico un gergo sì cosmopolitico ma anche (e soprattutto) transpolitico e transpoetico. Viene subito in mente una domanda: con cosa si è pensato di sostituire il genere lirico dopo il tramonto dell’epoca sperimentale e delle procedure epigoniche? Ecco, questa credo sia la domanda fondamentale che dobbiamo porci: la risposta è semplice: con nulla, con l’assunzione acritica e acrilica di una gigantesca massa prosastica grigia e informe. Che andava sbozzata e affilata da una rigorosa critica del poetico. Che non c’è stata. Anzi, che è stata accuratamente espunta dalle riflessioni sulla poesia contemporanea degli ultimi venti anni. Il risultato è che si è smesso di pensare la poesia contemporanea, di cui si è perduto perfino il concetto.
Degli autori italiani inseriti direi che sono leggibili le poesie di Renato Minore il quale si muove a piccoli passi tra l’ironia e la palinodia, pensieri e concetti piccoli ma ben lavorati; un autore invece che ha scambiato la poesia per la prosa senza ricevere in cambio i trenta denari è invece Alberto Bellocchio il quale, secondo me poteva fare a meno di andare a capo ogni tanto e il tenore dello scritto non ne avrebbe risentito affatto. Il migliore mi sembra Roberto Mussapi il quale almeno ha il pregio del senso del limite del verso e il concetto della tematica alla quale tenersi stretto. Non mi sembra gran che la riproposizione di Parise poeta, giacché i suoi sono tentativi di poesia più che poesie vere e proprie; devo dire, inoltre, che non trovo brillantissime neanche le poesie inedite di Lorenzo Calogero (poeta che, tra l’altro, amo) curate da Ottavio Rossani; si sa che nella sterminata produzione inedita di Calogero si può trovare di tutto e il contrario di tutto, anche se, a fronte delle restanti proposte dell’Almanacco, queste composizioni di Calogero sembrano dei capolavori. C’è poi la riproposizione di alcuni inediti di Pier Luigi Bacchini, il quale non sembra portare novità di rilievo né nell’evoluzione della sua poesia né nell’economia di questo Almanacco, ho la sensazione che l’oggettività di questa scrittura sia, come dire, zoppa, imperfetta, per via della cancellazione del punto di vista del «soggetto», che, a mio avviso toglie oggettività alla oggettità della scrittura poetica. Completano questa sezione le composizioni di Mariella Cerutti Marocco ed Elena Clementelli, rispetto alle quali, per il rispetto dovuto all’età, chiederei il viatico di un sommesso silenzio.
Segue la sezione dei poeti che siedono nell’Accademia di Svezia che ogni anno hanno il non semplice onere di fare le selezioni per eleggere il Nobel: Kiell Espmark, Katarina Frostenson, Kristina Lugn, Anders Olsson, Jesper Svenbro, Per Wasteberg e la compianta Birgitta Trotzig ben tradotti peraltro da Daniela Marcheschi. Non mi sembra, così a naso, che le poesie tradotte ci diano molti segnali per comprendere il livello dei testi e della ricerca portata avanti dagli autori; l’impressione generale è che non si tratti di testi molto significativi per poter esprimere una valutazione ponderata. Dei testi degli altri autori italiani inseriti, e cioè Alberto Toni, Eugenio Vitali, Vanni Pierini, Giovanni Fierro e Anna Maria Farabbi non posso aggiungere nulla di diverso da quanto appena detto a proposito del discredito in cui è caduto il «discorso poetico» nella esemplificazione che se ne fa in Italia. La mia personale impressione è che quello che manca sia una idea precisa di quale «discorso poetico» fare; temo che si vada un po’ alla rinfusa, per tentativi al buio, per privatissimi sperimentalismi, per originalismi e per privatissime ulcerazioni e ustioni come nel caso della Farabbi.
Molto positiva è invece la mia impressione di lettore verso i testi di Nachoem M. Wijnberg di Amsterdam, della berlinese Monika Rink e della polacca Marzanna Bogumila Kielar. Purtroppo, devo ammetterlo con mio disdoro, il confronto con gli autori italiani: Ottavio Rossani, Valentino Fossati, Teo Bragagna, Giovanni Parrini, Jacopo Ricciardi, Aldo Gerbino e Giorgio Mannacio non depone a favore degli ultimi, anche se una migliore figura la fa senza dubbio proprio il milanese Mannacio il quale mi sembra possieda, se non altro, il dono di un linguaggio sintetico e il senso dell’oggettività.
Dei giovanissimi a cura di Mario Benedetti, Giorgio Meledandri, Carla Saracino e Amos Mattio preferisco tacere per via della loro giovane età. Chiude il volume una bella intervista al filosofo Pier Aldo Rovatti il quale però si è ben premunito di dichiarare, a scanso di equivoci, che non legge mai poesia contemporanea.
Infine, che dire di questo Almanacco? Il giudizio è positivo per via della soppressione delle inutili interviste ai poeti italiani (sempre autoreferenziali e narcisistiche), dell’abolizione delle recensioni (anch’esse inutili, se non dannose, per via del loro linguaggio ierofanico da alti sacerdoti di Osiride); insomma, almeno questa volta si è deciso di sfrondare i testi di tutto ciò che è allotrio. Insomma, quello che rimane mi sembra molto ben visibile: cioè che il re è nudo. Voglio dire che i testi poetici, così lasciati a se stessi, purtroppo, affondano, non sembrano avere una caratura tale da farli galleggiare. E questo è un altro problema, credo, collegato con la fine delle poetiche epigoniche e con il marasma incombente del mare magnum dei discorsi transpolitici dell’epoca della stagnazione.
[Articolo tratto da http://moltinpoesia.blogspot.com]
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