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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Le lacrime di Paolo

Narrativa

Mauro Marchese
EdiGiò

Recensione di Giuliano Brenna
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Pubblicato il 19/01/2010 12:02:00

Le lacrime, il dolore vero, ciò che sgorga da dentro ciascuno di noi è quel che serve per curare le ferite del mondo, le brutture ed il dolore che lo pervadono. Questo apprende il protagonista del romanzo, Paolo, dopo la sua morte; il romanzo è infatti – assai singolarmente – la cronaca di quel che accade a Paolo dopo il decesso, quando si ritrova in un luogo sconosciuto, una sorta di enorme sala d’attesa, un luogo di transito prima di giungere al luogo designato per l’eredità. Ma Paolo ha ancora troppi rimpianti, tanti ripensamenti sulla vita che ha appena lasciato, teme di aver vissuto senza aver combinato nulla di buono, pensa che nessuno senta la sua mancanza. Il ragazzo viene affidato ad una sorta di tutor, una persona, o forse un angelo o altra entità soprannaturale, per fargli trovare il suo cammino e sciogliere finalmente i legami con una esistenza ormai terminata. Ma Paolo è ben lungi dall’abbandonare i legami col mondo dei vivi e mettersi buono buono nel suo angoletto di Paradiso, vuole piuttosto vedere e capire tanti aspetti della sua vita, e soprattutto, cosa proibita ma a cui non riesce a sottrarsi, vuole intervenire sul mondo e cercare di togliere ai vivi un po’ di sofferenze. L’autore costruisce così un romanzo assai originale, ambientato in un aldilà che pare in tutto il mondo reale, diverso forse solo per il fatto che i contorni delle cose tendono a farsi meno stringenti e vi si può fare praticamente ogni cosa. La totale mancanza di verosimiglianza nel libro, appare come uno dei suoi punti di forza, cioè, quasi una sorta di gioiosa incoerenza, basti dire che ad un certo punto i morti tornano nel mondo dei vivi, inscenando quasi un romanzo giallo, e risolvendo poi tutto con il fatto di essere morti e di avere dei “poteri”. Ma tutto ciò, sebbene possa un poco stupire il lettore, appare come una trovata assai divertente, l’autore vuole far giungere il suo messaggio, e lo fa usando ogni mezzo che la sua fantasia gli mette a disposizione. L’autore avrebbe potuto costruire una storia in cui Paolo resta vivo e riesce a vedere la sua vita da una prospettiva diversa; è questo ciò che si trova tra le pagine del libro: non esistono vite sprecate, ogni vita è degna di essere vissuta al pieno delle proprie capacità, fidando in sé stessi e soprattutto non nascondendo ciò che siamo sotto la mole di ciò che ci sarebbe piaciuto o avremmo voluto essere, ciò che siamo è già abbastanza grande e bello e anche le nostre lacrime – le nostre debolezze – sono utili, se provengono dalla nostra intima essenza. Invece l’autore, Mauro Marchese, opta per questo bell’impianto narrativo, assolutamente originale e frutto della sua fervida fantasia; narra in modo divertente ed efficace una storia pregna di elementi fantastici, come dicevo, a volte sembra non curarsi di salvaguardare un minimo di coerenza o verosimiglianza, ma questa è la bellezza – la forza – del libro, l’aver mescolato in un tessuto completamente fantasioso, e quasi inafferrabile (non è forse vero che in fondo il paradiso ci è inimmaginabile?) una storia assolutamente concreta e carica di umanità. Marchese si dimostra bravo romanziere, capace sia di usare gli strumenti romanzeschi, sia di porre la propria fervida fantasia in un’ottica di disvelamento, attraverso meccanismi irreali, di ciò che c’è di più reale e profondo in ciascuno di noi.

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