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Ungaretti - II

di cristina bizzarri
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Pubblicato il 23/08/2014 00:43:18

Questo libro è sigillato da Preghiera, un testo che, con la sua apertura sulla palingenesi finale, col suo rivolgersi a Dio come «Signore» già prelude all'evento che sta per accadere: la conversione. Lentamente maturata nell'impatto con l'arte di Michelangelo, con l'architettura della città di Roma, con la lettura di Pascal, si compie però attraverso un preciso incontro: Francesco Vignanelli «anche lui prima incredulo poi convertitosi» come attesta Leone Piccioni, è ora monaco benedettino. Su suo invito Ungaretti passa la Settimana Santa nel monastero di Subiaco e partecipa agli esercizi spirituali. Tale evento rifluisce negli Inni del Sentimento del tempo. In particolare - confessa il poeta - La pietà. «Signore, sogno fermo» La Pietà «è la prima manifestazione risoluta di un mio ritorno alla fede cristiana». L'«uomo ferito», «solo con sé», «esiliato in mezzo agli uomini» è posto di fronte al Dio-misericordia. Sgorgano dal cuore frammenti di invocazione, domande e splendidi giudizi: «Il peccato che importa,/ se alla purezza non conduce più», «Dio, guarda la nostra debolezza./ Vorremmo una certezza», «non ne posso più di stare murato/ nel desiderio senza amore», «Liberami dall'inquietudine/ sono stanco di urlare senza voce», «in noi sta e langue, piaga misteriosa». Sono domande accorate che rimandano all'altro grande Inno del '28: La preghiera. Stigmatizzati gli idoli che l'uomo s'è costruito («la sua lussuria disse cielo/ la sua illusione decretò creatrice/ suppose immortale il momento») e a causa dei quali «La vita gli è di peso enorme», il poeta si rivolge al «Signore, sogno fermo». Nella preghiera chiede che l'alleanza tra Dio e l'uomo, tra eterno ed effimero, torni ad essere un'evidenza; che l'uomo riconosca l'Incarnazione e la Croce come via della Redenzione; che il peccato giudicato sia inizio di elevazione; che accada la serenità vera, la comunione dei Santi. Ma forse culturalmente decisiva è questa invocazione al Signore: «Sii la misura, sii il mistero»: contro i vari umanesimi atei che hanno idolatrato e «ridotto» la ragione, decretato la morte di Dio e posto l'uomo come misura di tutte le cose (e gli esiti nefasti sono sotto i nostri occhi), Ungaretti ripropone l'umanesimo cristiano: la dignità umana solo se misurata sul paradigma del mistero di Dio incarnato è adeguatamente fondata. Il tema viene svolto nel terzo grande libro, Il dolore.«Cristo astro incarnato»Mio fiume anche tu 1. Mio fiume anche tu, Tevere fatale, ora che notte già turbata scorre ora che persistente e come a stento erotto dalla pietra un gemito d'agnelli si propaga smarrito per le strade esterrefatte; che di male l'attesa senza requie, il peggiore dei mali, che l'attesa di male imprevedibile intralcia animo e passi; che singhiozzi infiniti, a lungo rantoli. Agghiacciano le case tane incerte; ora che scorre notte già straziata, che ogni attimo spariscono di schianto o temono l'offesa tanti segni giunti, quasi divine forme, a splendere per ascensione di millenni umani ora che già sconvolta scorre notte, e quanto un uomo può patire imparo; ora, ora, mentre schiavo il mondo d'abissale pena soffoca; ora che insopportabile il tormento si sfrena tra i fratelli in ira a morte; ora che osano dire le mie blasfeme labbra: Cristo, pensoso palpito, perché la tua bontà si è tanto allontanata?. 2. Ora che pecorelle cogli agnelli si sbandano stupite e, per le strade che già furono urbane, si desolano; ora che prova un popolo dopo gli strappi dell'emigrazione, la stolta iniquità delle deportazioni; ora che nelle fosse con fantasia ritorta e mani spudorate dalle fattezze umane l'uomo lacera I'immagine divina e pietà in grido si contrae di pietra; ora che l'innocenza reclama almeno un'eco, e geme anche nel cuore più indurito; ora che sono vani gli altri gridi vedo ora chiaro nella notte triste. Vedo ora nella notte triste, imparo, so che l'inferno s'apre sulla terra su misura di quanto l'uomo si sottrae, folle, alla purezza della tua passione. 3. La piaga nel Tuo cuore la somma del dolore che va spargendo sulla terra l'uomo; il tuo cuore è la sede appassionata dell'amore non vano. Cristo, pensoso palpito, astro incarnato nell'umane tenebre, fratello che t'immoli perennemente per riedificare umanamente l'uomo, Santo Santo che soffri, maestro e fratello e Dio che ci sai deboli, Santo, Santo che soffri per liberare dalla morte i morti e sorreggere noi infelici vivi; d'un pianto solo mio non piango più. Ecco, Ti chiamo, Santo, Santo, Santo che soffri. Dopo la perdita del fratello, poi del figlio Antonietto, è la tragedia della Seconda guerra mondiale a ispirare versi memorabili, nel '43-44, a Roma, tra deportazioni e bombardamenti. Mio fiume anche tu è un inno alla fede che, mentre giudica la radice del male storico, dà senso alla sofferenza. Il Tevere, quinto fiume, si innesta ne I fiumi del '16, così come la fede «compie» il senso religioso. La storia appare come «notte», una lunga notte «turbata», «straziata», «sconvolta» eppure non disperata perché ha ospitato una luminosa Presenza. «Cristo, pensoso palpito/ Astro incarnato nell'umane tenebre». Egli continua ad immolarsi «perennemente per riedificare/ umanamente l'uomo», per ridargli una dimora, una possibilità di costruzione. Evidente si fa la radice culturale della violenza, «ora che nelle fosse/ con fantasia ritorta/ e mani spudorate/ dalle fattezze umane l'uomo lacera/ l'immagine divina»: entro un orizzonte materialistico, ridotta a brandelli la creaturalità dell'uomo, fatto a immagine e somiglianza del Creatore, la dignità personale non è più adeguatamente fondabile. Lucidamente la Redenzione viene assunta come principio ermeneutico della storia: «Vedo ora nella notte triste/ Imparo,/ so che l'inferno s'apre sulla terra/ Su misura di quanto/ l'uomo si sottrae, folle/ alla purezza della sua passione»: la carità di Cristo è misura di una socialità buona. Sottrarvisi è follia, principio di una convivenza infernale. Negli anni successivi tornerà sull'argomento, stigmatizzando De Sade per il quale «nulla è vero e tutto lecito», e denunciando come «da Nieztsche a Sartre non pare imprudente di discorrere addirittura di morte di Dio. Sarebbe negare l'uomo». A Mio fiume anche tu fa seguitoAccadrà?: un inno alla Chiesa, «patria» dell'autocoscienza comunionale. Evacuarla, protestantizzare il cattolicesimo, privatizzare la fede è l'inizio della fine. Il profetico ammonimento ungarettiano - datato 1933 - si pone come attualissima sfida: «Quando il Cristianesimo si tarla e la sua funzione religiosa tende a diventare un affare privato come con la Riforma e particolarmente col Giansenismo, il senso del male va assumendo un carattere esclusivamente psicologico e allora va perdendosi nell'individuo il valore della libertà dei propri atti, il valore della volontà, il valore della giustizia fondata sulle opere».

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