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La Sognalibri

di Alessandro Amoresano
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Pubblicato il 08/07/2015 23:19:55

Seduta. Stava seduta.

Chissà da quanto tempo, chissà perché, chissà per come, per cosa.

Ma lei stava seduta, con i suoi capelli mori ed i suoi occhi fissi sulle pagine, come una visione o un miraggio.

Tutti la conoscevano ma nessuno la conosceva.

Ogni giorno sedeva in qualche zona della città, a caso, anche a chilometri dalla sua seduta precedente, quasi come uno spettro.

Tutti sapevano chi era ma nessuno la conosceva.

Chi le si avvicinava per posteggiarla, chi per chiederle indicazioni, chi per parlare, chi per insultarla, riceveva sempre ed in egual modo lo stesso trattamento di congedo: uno sguardo. Uno sguardo di quei due puri occhi blu. Uno sguardo di tristezza e rimprovero allo stesso tempo. Uno sguardo che diceva “Vattene!” e “Non sei tu chi aspettavo…” allo stesso tempo.

Silenzio, silenzio, sempre silenzio.

E si allontanavano. Tutti.

In molti passavano ma nessuno rimaneva. Nessuno lei voleva che rimanesse.

La conoscevano tutti come la “Sognalibri”, perché era capace di rimanere ore e ore a leggere in quelle sue sedute, ed ogni giorno il libro cambiava. Ed anche il segnalibro.

Una volta era “Il piccolo principe”, ed il segnalibro era un ramo di betulla.

Una volta era “Il visconte dimezzato”, ed il segnalibro un foglio di carta igienica.

Una volta era “Le età di Lulù”, ed era un pezzetto di stoffa.

“L’ombra del vento”, uno stuzzicadenti.

“L’Odissea”, una ciocca di capelli.

 

Un giorno la vidi anch’io, in piazza, e spinto dalla curiosità mi avvicinai cercando di rivolgerle la parola.

Non ero diverso dagli altri ai suoi occhi ed istintivamente mi guardò con quegli occhi blu, congedandomi come aveva sempre fatto con tutti.

A quello sguardo feci per andarmene, percorsi un paio di metri, e mi fermai.

Mi ricordai di avere un libro che stavo leggendo nello zaino. “Zorro” di Isabelle Allende.

Mi sedetti accanto a lei, senza proferir parola, con il libro sulle ginocchia.

Lei si voltò, lentamente, sempre con la testa china, attratta da quell’involucro di carta e parole.

Lo aprii e prima che si distraesse cerchiai con la matita delle parole per comporre un frase.

(Come) (ti) (chiami)(?)

Non rispose, né tentò di comunicare con me alla stessa maniera.

Ma c’era una cosa, una cosa incredibile e spaventosa.

Nel suo libro non c’erano parole. Pagine giallognole, usate, completamente vuote. Anche se avesse voluto comunicare alla mia bizzarra maniera, non avrebbe potuto.

Fece una cosa però. Tolse il segnalibro e me lo diede.

Era lei.

Era lei bambina.

Cercai subito un aggettivo nelle pagine del mio libro che potesse esprimere al meglio la mia gratitudine ed apprezzamento.

(Armoniosa)

Lei sorrise, appoggiò la sua testa sulla mia spalla e se ne andò.

 

Passai la notte a guardare quella foto, non riuscivo a smettere di pensare a lei, chi era, quelle pagine bianche,  quella foto.

Come potevo rintracciarla? Sapere chi era?

Misi un annuncio su un giornale, il caporedattore mi doveva un favore.

Cercavo questa bambina. Qualcuno che la riconoscesse per quello che era stata.

Nessuno rispose.

Passarono due settimane e stranamente da quel giorno nessuno più vide in giro la “Sognalibri”.

Mi misi l’anima in pace ed andai avanti con la mia vita finché un giorno, mentre facevo la mia consueta pennichella pomeridiana, non sentii bussare al mio citofono.

«Si?»

Vi era una donna con una bambina. E, fossi matto, la bambina era lei! Quella della foto! La Sognalibri!

«È lei che ha messo l’annuncio sul giornale? Quello della foto?»

«Si, sono io. Prego, si accomodi…»

«Assolutamente no! Sappia solo che è in corso una diffida penale… Per lei ed il direttore di questo giornalaccio! Pubblicare la foto di mia nipote, senza consenso, una minorenne per giunta!»

Ero stato avventato. Troppo avventato. Io cercavo una donna, una fu bambina, non avrei mai immaginato che…

«Come posso spiegarle? Quella foto l’ho trovata!»

«Ci vedremo in tribunale!»

Un impeto incontrollato. Uscì dalla mia bocca.

«La Sognalibri! È… è lei che me l’ha data»

La bambina sorrise. La donna si bloccò al primo scalino.

«Mamma! Mamma!» disse alla zia. Avrà avuto sei, sette anni.

Non capivo.

«Aveva un libro di pagine bianche, anzi giallognole. Mi ha dato questa foto»

La zia cercò di nascondere le lacrime, si voltò e con gli occhi lucidi…

«Era “Oceano Mare” questo libro?»

Ricordavo. Si, era quello. Tacqui.

«Possiamo accomodarci?»

«Prego»

 

«Elettra, vai a contare le macchine gialle che passano, una caramella per ogni macchina gialla»

«Siiiiii zia, che bello!»

«Mi scusi, non le ho chiesto se poteva…»

«Non si preoccupi, non c’è bisogno di chiedere. La c’è il balcone, Elettra! Aspetta, tieni un biscotto! Posso?»

«Si, ma solo uno, Elettra!»

La bambina corse felice verso il balcone con il biscotto in bocca.

Versai due tazze di latte di mandorla.

«Lei è la figlia di mia sorella Dafne. Mia sorella… mia sorella è la persona che tutta la città chiama la “Sognalibri”»

«Aha»

Ci fu un lungo silenzio. E non fu l’unico. Ci mise molto tempo, molto, molto tempo, ma nessuno andava di fretta, ed Elettra più tempo aveva, più macchine gialle vedeva, più gioiva per le caramelle che avrebbe ricevuto.

La Sognalibri, anzi, Dafne era sparita a quanto pare poco dopo il nostro incontro, mi disse. Aveva ventidue anni, la mia età.

La figlia era nata quando era appena sedicenne.

Frutto di un amore sconsiderato.

Un abbandono da parte dell’amato, “amato” poi… lei lo amava, lui non fino a tal punto di prendersi le sue responsabilità. E lui aveva ventiquattro anni.

Dafne volle comunque tenere la bambina, che mantenne con l’aiuto della sorella che allora aveva trent’anni.

Amava leggere. Amava andare in giro per la città a farlo. Amava essere libera, e non amava il destino che le era stato assegnato.

Non avrebbe più dato il suo cuore a nessuno, non si sarebbe più concessa a nessuno, solo ai libri ed alla sua bambina.

Con quelli, oh, con quelli avrebbe continuato a vivere milioni di vite. Tutte tranne che la sua.

«Quando avrò letto il mio primo libro, il mio primo acquisto sbagliato, il mio primo sbaglio, il libro dalle pagine vuote, quello per cui tutti mi prendeste in giro perché avevo scelto l’unico errore di edizione e non me n’ero nemmeno accorta, allora me ne sarò andata»

Era questo che ripeteva sempre, per quattro anni lo aveva ripetuto, ma nessuno in famiglia le aveva mai dato credito.

Sfoghi adolescenziali.

Erano troppo occupati a rimediare agli errori che aveva fatto.

Poi… poi aveva incontrato me, il ragazzo curioso. Aspettava questo momento da anni per poter sentirsi libera, per attuare il suo piano. Ci sperava. Ed aspettava.

Sapeva che nessuno si sarebbe accorto della scomparsa di “Oceano Mare” se non li avesse indirizzati. Aveva lasciato indizi.

L’indizio era la foto. L’indizio ero io.

Io e la mia curiosità.

Il corpo non era stato ancora trovato, mi disse, sospettavano si fosse buttata in mare.

“Oceano Mare”.

Le premier chagrin du jour
C'est la porte qui se ferme
La voiture qui s'en va
Le silence qui s'installe

La bambina che fino a quel momento aveva cantato ad alta voce non si sentiva più.

«Elettra, a quante macchine gialle sei arrivata?»

Nessuna risposta.

«Elettra!»

Silenzio.

Entrambi corremmo verso il balcone.

Elettra non era più lì, sparita, né sulla strada, né sul cornicione, né per casa.

Andai a vedere se la porta era stata aperta.

Era aperta.

Non poteva esser stata lei: la maniglia era molto alta e la serratura difettosa.

In silenzio, singhiozzando, la donna mi fece vedere una lettera legata alla ringhiera del balcone.

«C’era… c’era questa dentro la lettera» mi disse.

Mi mostrò la foto.

La foto di Elettra.

La stessa foto che io avevo ricevuto da Dafne.

Che avevo nella mia tasca.

Che non era più nella mia tasca.

 

“Forse il mondo è una ferita e qualcuno la sta ricucendo in quei due corpi che si uniscono” da Oceano Mare

Dafne, con amore

 

Udimmo il canto della bambina, accompagnato da un’altra voce: la voce di Dafne.

La voce di Sognalibri.

Ma non veniva da fuori.

Né dal cortile.

Né dalla casa.

Veniva dalle nostre teste.

 

Mais bien vite tu reviens
Et ma vie reprend son cours
Le dernier bonheur du jour
C'est la lampe qui s'éteint.


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