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The Asocial Network - Il paramecio del ventunesimo secolo

di Alessandro Amoresano
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Pubblicato il 24/09/2015 17:51:08

Immagina di svegliarti. Proprio ora, in questo preciso istante.

Ti alzi, prendi i tuoi vestiti e vai in bagno per rinfrescarti ed affrontare questa nuova lunga giornata.

Mentre apri la porta di scatto, trovi tua sorella di quindici anni seminuda che, poggiato il piede sulla vasca da bagno, si mette in posa per fotografarsi da sola con il suo cellulare lasciando intravedere le pudende senza minimamente inquadrarsi il volto, quel bellissimo volto mediterraneo.

«Cazzo! Esci! Non si bussa?!» ti urla contro.

Pensi che avrebbe potuto chiudere la porta a chiave come tutti noi tristi umani che andiamo al gabinetto.

Lasci correre, chiudi la porta ed aspetti che esca.

 

 

Ti lavi, ti vesti dopo aver scelto accuratamente i vestiti e scendi per andare a scuola, con la speranza di non essere interrogato e pronto a convertirti a millemila religioni nel caso ci fosse questa possibilità.

File disarmonicamente ordinate di studenti, ragazzi e ragazze, amici, col capo chino, le mani unite ed un barlume di luce che illumina loro il volto si dirigono verso quell’edificio comune denominato “Scuola”. Non sono dei santi che i loro volti sono illuminati, il loro capo chino non è quello di una sofferente modestia o tristezza da martire, le mani unite con dita frementi non stanno ad indicare un atto di fede o di preghiera: sono tutti sommersi nei loro cellulari.

E tu stai lì, a guardarli, come l’unico spettatore dell’ultima fila dell’ultimo spettacolo che ha comprato l’ultimo ed unico biglietto, ignaramente consapevole del mero e mesto evento.

Senti vociferare. Ridere. Un gruppo di ragazzine . Avranno avuto su per giù tredici o quattordici anni. Ti osservano e ti deridono puntando i loro smartphone su di te e scattando una decina di fotografie e autoscatti. guardandoti come se fossi vestito da clown, o da alieno. O da uomo di un’ altra epoca.

«… e comunque ieri quel tipo mi ha “stappata”» rideva una di loro, forse la più piccola. Dodici, massimo tredici anni. “Stappata”. Gergo per dire “perdere la verginità”.

È l’ultima ora di greco, ma in questo momento i versi di Callimaco non riesci proprio a farteli scendere e dato che sei nella fila di centro non ci sarebbe niente di meglio da fare che mettersi a chiacchierare col tuo amico e gli altri per organizzare qualche partitella o uscita.

«Non rompere ora, dai! Stiamo giocando a Temple Run, ci sentiamo più tardi su Whatsapp!»

Escluso dal gruppo primordiale ammiri la vasta fauna della tua classe: le femmine sono intente nel scattarsi autoscatti osé ed ammiccanti.

«Questa la metto su Instagram! Poi su Twitter e te la condivido su Facebook!»

Esci, recandoti al bar in piazza dove sei solito incontrare gente, sfaccendati, artisti, notando intorno a te persone che camminano solitarie, con capo chino, volti illuminati e mani unite, frenetiche. Nemmeno loro sono dei santi, su questo non ci piove. Si ripete la stessa scena di stamattina, solo che ora le dodicenni che ti fotografano sono venticinquenni che ridono e sono sedute al bar.

Vedi ragazzi con le cuffiette che passano davanti ad un povero musicista di strada.

Vedi genitori al ristorante che fanno fotografie ai loro piatti mentre il loro bambino non mangia.

Vedi due fidanzati che litigano per l’orario dell’ultimo accesso su Whatsapp.

Vedi due fidanzati che chattano mentre si baciano e abbracciano.

Vedi ragazzine che in mezzo alla strada perseguono nel loro intento di farsi foto provocanti innanzi a ragazzi maturi con intenzioni poco nobili. Ed inviandogliele, giustamente.

“Seguimi su Instagram –Twitter – Facebook”

Partecipi a feste dove i partecipanti scrivono sui cellulari e mostrano loro foto.

Alla fine ti fai coraggio, e provi a porre una domanda ad una tua amica:

“ Scusami, perché non lo spegni?”

“Ma sei impazzito?! Sto parlando col ragazzo al piano di sotto e gli sto chiedendo scusa per il baccano che stiamo facendo! Poi mi devono arrivare delle info da una mia amica che interessano anche a Giulia, e poi…Senti ma tu che problemi hai? Cioè, perché non mi lasci stare?»

Ed allora ti arrivi a porre la domanda fatidica: ma fossi tu lo stronzo?

Forse sei tu l’ἰδιώτης, nell’accezione greca, il privato cittadino che non si occupa di cariche pubbliche, cioè chiuso nella sua identità, isolato dal mondo. Loro sono il frutto ben riuscito del ventunesimo secolo e tu la mela marcia da estirpare.

Inizi a renderti conto anche tu che non è possibile che di tante persone che conosci sono tutte loro mele marce e tu l’unica buona. Dev’essere per forza il contrario, sei tu ad essere il marcio della società.

Ancora non sei del tutto convinto di questo fatto, ma provi ad adeguarti.

Apri Facebook. Apri Instagram. Apri Twitter. Apri Whatsapp.

Decidi con un’ultima frase di dire addio a quello che eri tu, il “Fu Te Stesso”, e di dare il benvenuto al tuo nuovo Ego… pardon, Profilo! Qui si dice “Profilo”!

Oggi dico addio alla mia vecchia vita! Benvenuto Iphone! Strumento incommensurabile che mi avvicinerà alle persone lontane  e mi allontanerà a coloro che mi sono accanto!

Due, tre, quattro minuti: milioni di “like”, “condivisioni”, “followers”.

Contento, ti giri intorno per scrutare i tuoi amici che hanno apprezzato la tua frase, speranzoso del fatto di non essere l’unico, il solo.

Invece no, tutti immersi nei loro cellulari. Nessuno che abbia fatto un minimo gesto, un cenno, un qualcosa.

O tutti ipocriti o tu stronzo.

Che domande! Sei tu lo stronzo! Oppure sei vittima di un grande esperimento sociale tipo “Truman Show” o “Grande Fratello”. Il libro s’intende…

“Se non puoi combatterli, unisciti a loro” diceva un famoso proverbio. Chi l’ha detto non aveva visto gli effetti del 3g e del Wifi sulle persone.

 

Sette anni e già hanno uno smartphone. Dodici anni, già voglia di sverginarsi.

A sette anni tu volevi i pastelli a cera. A dodici la chitarra.

Ormai stai diventando come loro, senti dentro la connessione nascere, senti che sulle dita ti stanno crescendo i calli da tastierina e i tuoi occhi iniziano a incavarsi nelle orbite facendo fuoriuscire occhiaie di un nero pece. E dentro di te, dentro di te ti assale l’irrefrenabile schizofrenia e paura della batteria, quella batteria che ogni due secondi passati su Facebook o Whatsapp passa dal cento per cento di carica al dieci per cento.

Una trasmutazione, come Mr, Hyde, come Hulk, come il cerebroleso medio che ragiona solo con aforismi e frasi fatte senza avere un pensiero proprio. Ormai sei uno di loro, un mediocre, un paramecio.

Sei pronto a sparare e condividere aforismi, video di gattini e foto di te al cesso con la nonna quando…

Quando ti appare quell’aforisma di Albert Einstein che gira, gira e gira, ma nessuno mai comprende a pieno:

“Temo il giorno in cui la tecnologia andrà oltre la nostra umanità: il mondo sarà popolato allora da una generazione di idioti”

Gira, gira,gira per gli altri. Per te invece, resta. E spegni, ti disconnetti, chiudi l’account.

Silenzio.

 

Ti rendi conto che è al passo coi tempi non chi possiede uno smartphone, ma chi nonostante tutto è capace di spegnerlo.


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