Pubblicato il 17/10/2012 16:58:39
“L’uomo attraversa il presente con gli occhi bendati. Può al massimo immaginare e tentare di indovinare ciò che sta vivendo. Solo più tardi gli viene tolto il fazzoletto dagli occhi e lui, gettato uno sguardo al passato, si accorge di “che cosa” ha realmente vissuto e ne capisce il senso” Milan Kundera da “Amori ridicoli”. Praga. 1968. Questa citazione tratta da un romanzo, si riferisce all’approccio individualista esistenziale, e fa riferimento al rapporto che ciascuno di noi ha con l’assoluto nel tentativo di trovare un Senso Ultimo alla vita.*( 1) .*( 1) -Fonte sergiodicorimodiglianji.blogspot.com/ La Storia, che si occupa, invece, dei grandi disegni collettivi e non soltanto di quelli individuali, funziona però nello stesso identico modo. Quando viviamo un evento della nostra vita non riusciamo ad essere sufficientemente distaccati e non possiamo ben analizzare in maniera obiettiva la situazione tanto da riuscire a darne una chiave di lettura. Si è, insomma, immersi in quello che Joyce chiamava “il teatro quotidiano dell’incubo assurdo” ed è piuttosto arduo comprendere con esattezza i meccanismi che determinano la realtà e ciò che stiamo vivendo. Proprio per tale ragione, ed essendo parte in causa, non abbiamo quella necessaria “sospensione”(che ha ogni storico di professione che si rispetti) per comprendere la realtà. Sono fortemente convinto che un approccio tecnico economico tout court , oggi non è più sufficiente per comprendere la complessità del reale. La realtà è così articolata che per comprendere le ragioni di una crisi, è necessario avere un approccio non solo economico ma anche storico-filosofico. Ho provato, per questo, a raccogliere le fonti e le informazioni facendo un’azione di taglio e cucito semantico interpretando il caos secondo un senso, secondo una razionalità non solo economica . Sono dell’avviso che una qualsiasi teoria economica che non pone al centro l’uomo ma solo i numeri e dei vincoli è una una astrazione dalla realtà svincolata da principi etici . Tutto questo provoca i drammi umani che oggi sono sotto i nostri occhi. Ogni processo, ogni disciplina, ogni teoria economica deve sempre guardare al benessere dell’uomo e al bene comune. Quando questo non avviene, quando cioè l’economia diventa espressione di un’elite, di una oligarchia essa diventa ideologia e porta ai disastri e agli esempi dell’Argentina e della Grecia”. Conoscere è un dovere per risvegliare le coscienze e diffondere la verità dei fatti. E’ possibile pensare ad un altro concetto di economia? Ma cosa vuol dire davvero “economia”? E cosa abbiamo perso, cosa abbiamo dimenticato, nell’allontanarci progressivamente dal suo significato originario? Diciamo subito che abbiamo perso molto. Non solo in termini culturali, ma anche e soprattutto in termini pratici. Perché abbiamo perso – quanto meno nella percezione comune – il senso di ciò che l’economia potrebbe essere, vale a dire esattamente il contrario di ciò che vuole il luogo comune (perseguimento dell’interesse personale, arricchimento selvaggio, assenza di scrupoli. Sono tre delle tante suggestioni che oggi ci fa venire in mente la parola “economia”). Un termine che ha ormai perso la sua valenza originaria, per connotarsi sulla base dell’esperienza comune e della prassi quotidiana, trasformandosi nell’immaginario comune in una specie di “scienza di come fare i soldi”.: un valido correttivo di quell’“homo homini lupus” (l’uomo è lupo per l’uomo) che secondo Thomas Hobbes, grande filosofo inglese del XVII secolo, rappresenta lo stato di natura umano. Secondo Premio Nobel 1998 per l’Economia, Amartya Sen *(2) è possibile pensare ad un altro concetto di sviluppo umano. Questo nuovo modo di vedere lo sviluppo prende in considerazione la condizione umana in totis, allontanandosi in maniera più evidente dalle teorie che consideravano le persone come mezzi (teorie sulla crescita o approccio dello sviluppo delle risorse umane) o come beneficiarie del processo di sviluppo (teorie del benessere e dei bisogni fondamentali). La crescita economica viene considerata un mezzo per lo sviluppo umano, tenendo sempre ben presente l’obiettivo finale che è quello di espandere le capacità delle persone rendendole artefici del proprio destino. L’esser arrivati a considerare il processo di sviluppo non più in maniera etno-centrica come una sorta di sentiero già tracciato dai Paesi sviluppati, ma considerandolo dal punto di vista multidimensionale ponendo le persone come unico obiettivo di sviluppo non è un punto di arrivo ma d’inizio. Sen ci spiega ciò che dovrebbe essere un dato acquisito: che l’economia (dal greco “oikos” e “nomos”, cioè “regole della casa”) nasce in un legame strettissimo con l’etica e la politica, in una tradizione che risale (almeno) ad Aristotele. Che nell’“Etica Nicomachea” riconosce sì che il fine immediato dell’economia è il perseguimento della ricchezza, ma in strettissimo legame con la politica (la più importante delle arti) e l’etica, visto che il fine ultimo deve essere “il bene umano”. “La vita dedita al commercio”, scrive Aristotele, “è qualcosa contronatura, ed è evidente che la ricchezza non è il bene che ricerchiamo; infatti essa è solo in vista del guadagno ed è un mezzo per qualcosa d’altro”. Non solo: “Certo, il bene umano è desiderabile anche quando riguarda una sola persona, ma è più bello e divino se riguarda un popolo e le città”. Bene umano? Non è incredibile sentir parlare di economia in questi termini? Non è straordinario che un Premio Nobel costringa a riflettere sull’economia moderna, che – scrive ancora Sen – “ha subito un sostanziale impoverimento, a causa della distanza venutasi a creare tra l’economia e l’etica”? Incredibile e straordinario perché tutto questo si è ormai perso di vista, si è rimosso, cancellato in nome del business, del “bene privato”, dei soldi che non hanno odore. Potremmo dire, parafrasando Nietzsche che non solo Dio è morto ma anche “l’uomo è morto” ed è stato sostituito dallo Spread. Enzo Garofalo
http://eticfree.wordpress.com/2012/10/13/il-divorzio-tra-economia-e-filosofia/
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