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Giotto 6

di Salvatore Solinas
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Pubblicato il 21/04/2015 18:52:49

 

Dentro di me fuori di me una voce

l’abissale  silenzio ricolmando

“Giotto,tu sei,bisbigliava,orribile

e poi un coro di voci ripeteva                                            580

“Giotto ascolta orribile,sei orribile!”

Poi di nuovo silenzio poi la lama

mi rigirava nella piaga ancora

con quella voce e m’inseguiva il coro

ed io fuggivo a nascondermi e niente

m’era riparo  “Orribile orribile

tutto lo spazio è pieno del tuo orrore

Giotto,Giotto!” S’affacciava ai miei vetri

nel vano desolato del mio cuore

ed il terrore che non conosce meta                                       590

né fonte si tramutava in follia.

Ardevo ora come corpo stellare

ora mi percorreva come ghiaccio

di brividi una mandria galoppante

“Basta!” gridavo”Lasciatemi in pace!”

Ma rimbombava la mia voce appena

per un istante nel silenzio nero

dove sottile,irridente quella voce

orrida idra si gonfiava e immane

con terribili fauci digrignanti                                                600

mi sputava sul viso il suo veleno.

Ormai prostrato l’ultima energia

consumavo in singhiozzi disperati

ma la voce tacque,si dileguò...

il pianto nella culla inconsolabile

nel silenzio oceanico il lamento

si spensero in lunghissimi marosi,

la memoria fu breve a cancellare

i momenti angosciosi,come piana

distesa del mare dove s’estinguono                                         610

le ultime scaglie dorate del giorno

e l’azzurro si tinge di tristezza

e alla deserta spiaggia fa ritorno

silenziosa la barca d’ombra gravida

e si posa l’ansia di reti stese

di ripiegate vele e a tutti il sonno

è abile a sanare le ferite

nell'ospedale provido del sogno.

Ma purtroppo fu breve la bonaccia

come una penna a sfera misteriose                                        620

nel vuoto spazio sillabe tracciando

un’asta aguzza d’improvviso apparve

contro di me puntando il suo monocolo.

L’angoscia dentro si vetrificava

nel mio cervello di ramate spire,

una macabra danza scatenata

mi volteggiava attorno e poi di nuovo

il selvaggio puntava la sua freccia

al condannato al palo di tortura .

Un gelido sudore m’imperlava                                             630

la grigia scorza ruvida d’amianto.

Con accecanti bagliori roteando

quello stile sottile mi sfiorava

solleticando la rabbrividente

lamiera,l’occhio scaltro mi scrutava

con la sua nera pupilla impietosa

a cogliere il momento più indifeso

della mia tremebonda guardia insonne.

Fu ai piedi del bianco muro dove

più s’addensa l’ora dell’alba rorida                                          640

al pianto delle croci estenuate

caddi riverso sulla terra grassa

impallidita nello spasmo arresa

i neri corvi inquieti del terrore

fuggirono dallo squarcio del petto

con assordante suono di campane.

La Speranza  che fugge il marmo chiuso

penetrò con il piombo nella fronte

devastando la rima di canzoni                                                 650

mai espresse da chitarra andalusa.

Fu dolce piano cedere la vita

col sangue ad altra linfa più profonda.

Potei sentire il canto di cortei

snodarsi alto nella luce diffusa

che non aveva sorgente né ombra

e un volo d’ali  sul  corpo disteso

strappandomi alla terra mi rapiva

in alto  verso l’azzurro mantello.

La volta impenetrabile del cielo                                                 660

squillava come immenso campanello

ad una porta invisibile chiusa

lunghissima l’attesa che uno squarcio

mostrasse oltre la densa cortina

il volto vero profondo del creato.

Ritornavo alla luce della  mente

da un lunghissimo buio silenzio

nel cuore il magma fuso della terra

bruciava urlando nello spazio muto

eruttavo con sibili e frastuono                                                     670

lavica bava d’amara saliva

roteavo astro folle di dolore

portandomi nel ventre il dolce frutto

 concepito d’amore nei segreti

malcelati sospiri  vanamente.

Lentamente cresceva il globo lucido

cristallo della vita prorompente

In quale scuro anfratto andrò a celare

la vergogna della  mia debolezza!

l’ombra del bosco l'umida caverna                                                680

non celeranno a lungo il mio rossore

presto un vagito romperà il silenzio

del guscio fragile errando per l’aria

di fiore in fiore bianca cavolaia

gaia del mio pudore incurante.

Quel vago lepidottero volava

nella luce del sole lussurioso

ed io inseguito dalla cruda voce

correvo ansante nella verde piana

pungolato da vespe inferocite.                                                      690

Ora mi cresce dentro con affanno

un lento rantolo di moribondo

occupa tutto lo spazio dei miei cavi

polmoni,le fessure,i più bui anfratti

gommosa fetida spugna mi riempie

soffocando ogni gemito spietata.

Non sfugge alcun lamento che non sia

gorgoglio sommesso come stagno

dove affoga la quercia coi suoi nidi.

 


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