Pubblicato il 09/07/2010 22:30:00
[ Recensione di Valerio Magrelli ]
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Vorrei festeggiare il compleanno di Marcel Proust con le sue Poesie, che la Feltrinelli propose nella traduzione della compianta Luciana Frezza. Si tratta, sia ben chiaro, di un’esperienza lirica quasi completamente iscritta nel segno dell’occasione. Tra acrostici, dediche, pastiches, testi burleschi, Indirizzi (come suona il titolo di una composizione giocata sui recapiti degli amici), questi versi non fanno che elaborare gli infiniti riflessi della scena privata: “Postino con ritmico piede bisogna che tu vada / al centonove in capo al viale Henri Martin / a portare questo biglietto alla Contessa di Noailles / dal melitoto, dalla carota dal timo molto amata”. In questi materiali prevale il piacere per la maschera e il depistaggio, l’allusione e la cifra scherzosa. Il tutto sanzionato da un gusto fantaisiste dietro cui agisce l’evidente influsso di Baudelaire (nelle poesie sui pittori più amati), Verlaine (per certe sonorità attutite) o Mallarmé (quello almeno dei “ventagli” o dei Piaceri della posta). Ginnastica da camera, saltelli per sgranchirsi e tonificare i muscoli accrescendo l’agilità sociale: così Luciana Frezza ha giustamente definito l’insieme. Viene da pensare alla poesia su Jacques Cocteau, in cui viene ripreso un celebre aneddoto presente anche nella Ricerca del tempo perduto. Mentre cenava nel ristorante parigino Larue, un Proust infreddolito si vide consegnare la pelliccia dal suo giovane amico, il quale, per eseguire un gesto tanto cortese, non aveva esitato a saltare leggiadramente sul tavolo imbandito. In verità, l’acrobata ripeteva un numero già eseguito da Bertrand de Fénelon tanti anni prima nello stesso locale. Ma qui, come non mai, repetita juvant, e questa performance finisce per assurgere a simbolo d’una perfetta fusione tra linguaggio del corpo e linguaggio della mondanità, pura figura al contempo retorica e coreografica. Per chi proviene dal romanzo, comunque, i versi qui raccolti daranno l’impressione di una piccola nota a piè di pagina, un infimo, trascurabile satellite perso all’interno di quell’immenso sistema solare che è l’opera narrativa proustiana. Come se lo scrittore avesse perso tempo giocando con le cianfrusaglie del Tempo che si perderà. Questo sostiene la Frezza, ed ha ragione. Tuttavia, ciò che più importa è il modo in cui la sua notazione critica si trasforma in ipotesi di lavoro per la resa in italiano. Perché, in queste poesie, la vera cianfrusaglia è data dalla rima. In testi dove il ballerino “Nijinskij” rima con “sci”, e “Fénelon” con houblon (“luppolo”), il traduttore viene chiamato a superarsi. La Frezza ci riesce: crea nuove rime, o le sostituisce con assonanze. Un esempio tra tanti. Come ottenere l’eco fonica tra il sostantivo femminile averses (“acquazzoni”) e l’aggettivo femminile diverses (“diverse”)? La soluzione risulta magistrale: “Forse meno di me tu ami questi temporali / è possibile! le mentalità non sono tutte uguali”. Per un inatteso paradosso, il corrispettivo più soddisfacente in italiano coincide con l’opposto dell’originale francese. Traducendo diverses con uguali, la Frezza mostra dunque come talvolta, nel campo dello scambio interlinguistico, l’unica vera logica sia quella di un ascolto rivolto alle esigenze più profonde del testo.
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