Il viaggio continua. Credevo fosse un’enorme fatica scrivere in endecasillabi, assuefatto come sono all’uso del verso libero. Invece la misura impostami ha funzionato da argine. Prodigiosamente, il senso stesso dell’opera ne è stato influenzato. Alla fine fu un divertimento contare le sillabe e disporre le parole in modo che gli accenti fossero giusti (non sempre giusti, qualche zoppicamento è rimasto. Chiedo venia e invoco la musica Jazz come modello in certi passi) . Comunque il viaggio continua. Ogni viaggio è la metafora della vita e la vita ci conduce sempre, inevitabilmente, ai piedi della dimora della Morte, del re dei terrori, come la definisce la Bibbia. Giotto non può conoscere la morte perché è un essere meccanico e di qui la predizione del lungo viaggio perduto nello spazio per un tempo indefinito. A esorcizzare la Morte sorgono immagini di una fiera carnevalesca che si conclude con la sprezzante dissacrazione della riproduzione, della fonte della vita. Alcune scene qui rappresentate le ho vedute in un locale per soldati delle retrovie in Vietnam.
Alla deriva in anossici sogni 700
melliflui cieli grondanti miele
dolcissimi grassi densi di nero
dove si cela l’olio petrolioso.
Vagavo strappando gli untuosi veli
i sipari d’un teatro senza scena
per tortuosi sentieri di montagna
inseguendo un cappello di buffone
scampanellante lebbrosa ossessione.
Giungemmo dopo lungo inseguimento
alla vetta del monte ,sopra un piano 710
due colonne s’ergevano possenti
a sostenere un argenteo disco
sempre velato da bigi vapori.
Il cappello s’afflosciò al suo cospetto
come medusa evanescente al secco.
Un freddo raggio s’accese danzante
emettendo sul piatto informi suoni
come di vivo straziante tormento.
Da una profonda lunga nota emersa
una voce si sparse opaca insegna 720
indifferente vuota emanazione
“Straniero che giungesti a questa corte
infrangendo i silenzi della selva
chinato il capo non fissare il raggio
non scrutare la gola irriverente
dove disfatti giacciono i cadaveri.
Qui i terrori hanno alta dimora
e tu ne conoscesti e pur del figlio
avesti prova del nostro signore.
Nella vetta più alta dei pensieri 730
come rapace sui monti nevosi
ha il suo nido tremendo nascosto.
Tutti i viventi ne conosceranno
il corpo gelido d’ermafrodito,
ma tu misero rudere vagante
nei deserti infiniti non vedrai
le sue orbite vuote pur così simili
alla tue vecchie lamine disfatte
dove spira col vento siderale
l’implacabile sibilo del tempo. 740
Viaggerai per mondi e mondi attraverso
nuvole di stelle, bianche galassie
roteanti maestose, volerai sopra
abissi immani al cui fondo la tempesta
scatena irosa la sua rabbia vana,
vedrai le stelle nascere e morire
per un tempo lunghissimo viandante
nel turbine del mondo senza pace”.
Sfilavano cineree ombre mute
trascinando nei madidi sudari 750
ciascuna il suo corpo putrefatto.
Nauseanti sporchi miasmi erano sparsi
nell'ammorbata luce della piana.
Uno stupore muto mi vinceva
vedendo quelle larve trasparenti
come fumi autunnali dai camini.
Il cappello risvegliò i sonagli
che stonati vibravano invasori
sarabanda sonora irriverente
di maledetto stupido buffone. 760
Da quelle note dissonanti sorta
una folla festante di bifolchi
d’ogni parte giungeva rumorosa.
"Se volete tentare la fortuna
nei bicchieri cercate la pallina”
giocatori verdi occhi di vetro
barbe untuose su labbra carnose
su banchi sporchi con esperte mani.
Dentro un cerchio imperfetto i lottatori
minacciosi gonfiavano avvinghiati 770
i bicipiti molli e i pettorali.
Ad una lunga tavola seduti
imbrattate le facce bestialmente
i mangiatori di spaghetti a gara.
“Concentrato di salute in pastiglie!”
Urlava un dottorale bianco aspetto
“Di lunga vita lo sciroppo vendo!”
gridava ancora lo sgualcito camice
“Comprate il braccialetto del destino
senza fatica ricchi diverrete” 780
Le lunghe braccia affusolate e brune
mostrava una fanciulla ricoperte
di rameici bracciali “Comperate
il braccialetto del ricco destino!”
“Del passato e futuro l’indovino
state a sentire per pochi denari,
vi leggerà le carte e non sarete
delusi amanti sofferenti amici
mariti abbandonati cuori infranti”
“Non ridete del mago,t u buffone 790
sai cosa passa tra un asino e te?”
“Fatte largo, fatte passare, largo!
Non toccate le belle coccodè!”
“Arriva il nobile re dei goliardi”
“Via! non importunate con le vostre
miserabili questue non è tempo
questo di tristezza, cacciate quello
i suoi orribili neri moncherini
turbano della festa l’allegria!”
“L’amore dolce della carne canto 800
la siringa del piacere, la candida
polvere del male, il suo letale
bacio, canto l’amore avvelenato!”
“Sulla testa rompetegli la viola”
“ Che festa paesana che trionfo
della stupidità! Marchese andiamo
presto in carrozza presto andiamo via!”
“Fermatelo, ci scappa, voi là in fondo
prendete il menestrello” “Qui nessuno
è poeta” "Lasciatemi non sono io 810
un poeta, una volta soltanto ho scritto
trasportato dal sogno una poesia
per incantare il cuore d’una zingara
dal portamento fiero di regina.”
Oscillava la folla come piana
del mare al primo vento di tempesta
infrangendosi ai piedi d’un soppalco
di nero panno polveroso e lercio.
La gente attorno i lazzi più volgari
e urla e fischi lanciava al suonatore 820
che struggeva nel flauto incompetente
una vecchia lasciva melodia.
Come si tacque il musico un silenzio
improvviso si fece all’apparire
d’una fanciulla dai capelli d’oro
in un manto di porpora celate
le bianche membra e il busto fino ai piedi.
Disciolto il laccio che teneva avvinto
il morbido velluto sotto il mento
nel clamore stupito della folla 830
si mostrò ignudo il corpo adolescente.
Al ritmo lento di tamburi e cembali
una danza aggraziata offriva i seni
floride nivee cime di cerbiatta
quindi seduta sul purpureo manto
come sangue versato di uno stupro
divaricate le anche, la vagina
di bionda filigrana trapuntata
aspirava ad un sigaro brunito
rinfocolando rossa brace accesa 840
ed emetteva nuvole di fumo.
Quindi introdotta una lunga trombetta
trasse flebili note come flauto
soffiato da una bocca agonizzante.
Come da lungo sonno risvegliato
infranto l’incantesimo del canto
sorse un gigante incontro alla fanciulla.
Sulle potenti braccia sollevato
l’esile corpo candido di cera
quasi a sottrarla da vogliosi sguardi 850
tra i grugniti bavosi della folla
teneramente al petto la stringeva
cingendo i fianchi con le vaste mani
la penetrò tenendola sospesa
quindi adagiatala al suolo supina
con ansimante foga la distese
finché contratti spasmodicamente
i forti glutei indietro si ritrasse
la bianca linfa seminando al suolo.
Come piastra rovente il nero assito 860
sfrigolando levava un denso fumo
che ogni cosa celava nel suo abbraccio
vasto di notte fonda e resisteva
a lungo ancora il bestiale ruggito.
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