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Giotto 9

di Salvatore Solinas
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Pubblicato il 21/07/2015 14:33:36

Miliardi pullulavan punti neri

ricoprendomi il corpo d’escrementi

acidi corrosivi che crateri

scavavano profondi e pustolosi.

Esseri  truci, luridi, feroci                                 

i loro giochi eran violente lotte                           870

i loro amplessi erano stupri atroci.

Cari venite, cari dentro il cuore

nella stanza dai grigi pavimenti                         

lucidi e lindi scivolosi piani,

entrate al chiaro gelido splendore

luminescenti esseri di specchio.

Tu minuta leziosissima effigie

di scarlatti rubini incastonata

zaffiri neri misteriosi agli occhi                  

oro e smeraldo la tua carne dura                          880

d’avorio preziosissimo l'intarsio

della tua bocca benevola sempre,                     

siedi nel trono più vicino al sangue.

D’antichissimi culti sacri pali

accostatevi all’alba arborescente

novelle alture preparate al cuore

offerti in voto manti arabescati.

Oh reale corona, possente scettro

d'Alessandro il macedone conquista                         

deponete le insegne del successo                           890

nel favoloso scrigno d'alabastro.

L'ala vergine sfiora bianca aurora                     

di tesori ripiena la mia stanza.

Tra i peli del barbone mille insetti

fanno il nido, s'accoppiano felici

o infelici ribelli o brandelli

d'esistenze scoppiate, sminuzzate

trafitte dal dolore come spillo

schizzando sangue e verdastre budella.             

Vindici corvi scagliano aspre grida                          900

contro le nubi d'inchiostro alla prim'ora.

Dilagante armonia di luce piana                        

a fondersi con specchi d'acqua viva

di erutili vulcani; nella frana

gemente oscilla scintillante sciame

di vinosi lapilli dissepolti

dallo squarciato ventre dell'abisso.

Alba del mondo ricca di fermenti

così livida e scialba, così impura.               

Tu che prima in un antro concepisti                         910

con terribili grida nella notte

lasciando ai lupi la placenta in pasto,                 

sanguinolento misterioso cibo,

tu generosa fertile regina

accostati all'altare è pronto il rito.

Albeggiano sinistre luci in cielo

è l'ora stabilita al sacrificio.

Vaiolosa germinativa placca

agar cultura odiosa di tremendi                  

microbi virulenti orribilmente                                   920

di croste abominevoli coperta.

Si leva intorno come di preghiera               

un mesto lungo canto salmodiato

come di folla immensa radunata

nel nero vuoto spazio risonante

di terribili oscure litanie.

Dov'è l'infula candida, gli arredi?

Dove di sangue sete mai saziata

i sacri vasi il ferro ben temprato?                      

Sale nei gradi dell'alto silenzio                                    930

la corale preghiera attende forse

della vittima impura la venuta,                          

tace: tutto è presente, è pronto                  

già fiammeggia l'ara di pietra antica.                  

Com'è accogliente questo nero lito

materno grembo tiepido di sonno!

Bruno capretto o candido vitello

di fiori coronato procedente

dietro al corteo di vergini non vedo.                  

Tremanti piedi incerti di vegliardo                              940

logorato dal male e dal dolore

un volere mi spinge più potente                        

della paura sui ripidi gradini.

Vento risuona cavernosi anfratti

liuto leggero increspa nelle note

superfici impalpabili confini

perduti in fondo al suono all'infinito

traboccano crateri d'allegria

e pena ansiosa d'impaziente attesa                           

s'aprono porte cristalline vane                                    950

vertiginosi ponti erti nel vuoto

percorrono ogni dove inesistenti                       

abissi e piani e cieli e silenzi.

Prati di gialle morte margherite

Piegati girasoli oscure cifre

di cancellata memoria turbinano.

Candido astro di trasparenti veli

Altissimo pensiero trascorrente

Rapito in cielo misterioso e terso                      

La tua luce rischiari la mia notte                               960

Ardendo  per un attimo soltanto.

Andavo per antiche strade e piazze                          

lastricate di pietra dura e liscia

dal piede di molti secoli lisa

m'osservavano bianche cattedrali

dall'occhio nero spento dei rosoni.

Il ponte dei gioielli era deserto

sulla verde corrente, voluttuoso

implacabile un vento mi spingeva              

sull'erta buia tra alte mura muschiose.                       970

In fondo era la porta, il suo splendore.

Come di luna gelido candore                            

sparso per piani, d'aridi fotoni

mi sferza il corpo pioggia iridescente

sempre più fitta, sempre più violenta

sabbia abrasiva sopra la mia carne

bianca fiumana al sasso levigato.

Come neonato dalle dolci carni

tenere e lisce mi portava in mano              

un misterioso turbine materno                                  980

fresca luce effondendo come acqua

da polla inesauribile sorgiva.                             

Atomi attorno danzavano ovunque

con moti circolari definendo

fini corrispondenze melodie

dolcissime e segrete vorticando

nel vuoto luminoso etereo spazio.

Alla festa m'univo con vibranti

applausi e gioiose risa e canti e suoni,               

una folle allegria mi possedeva                                 990

trascinandomi ebbro prigioniero

al suo carro dorato incatenato.                         

Sfrecciavo in linea retta sempre più

dopo curvando e rallentando il moto.

Sentivo con piacevole dolore

la mia fisicità piano formarsi

diamantina indurirsi definirsi

nello spazio ricurvo risucchiato.

Innumeri nel lattescente albore                         

fiorivano corpi celesti stelle                                     1000

come ferite luminose fonti

genitrici di spasmi di dolore.                             

Cadevo in lente spire, finalmente

posso dire "cadevo verso il basso"

e mi s'avviluppava il nero cielo

sbiadendo a lato in un terso chiarore.

Un purissimo globo rilucente

emerso dalle tenebre più grande

ognora si faceva in sé ruotando                        

ed attraendomi nel suo lento moto.                         1010

Attorno a quel purissimo diamante

felice mi curvavo richiamato                            

da un oblioso sereno dolce canto.

All'acqua del ruscello si bagnava

le lunghissime braccia ed i capelli

sugl'omeri cadenti mollemente.

Il cicaleccio delle ancelle attorno

le faceva corona, si specchiava

l'azzurro dei suoi occhi nella fonte                             

dolcemente pensosi. La vertigine                              1020

d'insondabile abisso la rapiva

in un cielo di sogni adolescenti.

Dietro la sottile trina dell'erba

l'osservavo bellissima di luce

e neve soffice tutta intessuta

mentre un dolce sonno mi cadeva

sulle membra sfinite e la tempesta

del mio atroce destino si placava               

in un tacito pianto senza lacrime.               

Del mondo vacillò la sfera cava                                1030

una foschia diffusa dilatava

lo spazio luminoso all'infinito.


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