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Pioggia

Racconti

William Somerset Maugham
Adelphi

Recensione di Giuliano Brenna
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Pubblicato il 21/09/2010 12:00:00

Questo grazioso ed azzurrino libro di Adelphi, contiene due brevi racconti del celebre scrittore, il primo, che da il titolo al libro ed il secondo che si chiama “Il reprobo”. I due racconti hanno molti punti in comune, sono entrambi ambientati nei mari del Sud, le leggendarie “colonie” europee, e mettono a nudo l’ipocrisia dei cosiddetti missionari convinti di portare la “civilizzazione” agli indigeni mischiandola al loro puritanesimo e alla loro cinica quanto ipocrita volontà di sopraffazione nel nome della religione. In “Pioggia”, è proprio un interminabile rovescio ad essere lo sfondo sul quale si muovono i personaggi, tra cui spicca il reverendo Davidson, moralista ferreo ed intransigente, che riesce a risultare antipatico al lettore sin dalle prime righe. La vicenda, grazie ai buoni uffici del reverendo, avrà un tragico epilogo che lascia al lettore un fumo azzurrino di sollievo, è il finale che in fondo tutti desiderano, senza riuscirlo a confessare, e quando se lo vedono davanti nero su bianco, hanno certo un moto di simpatia nei confronti dello scrittore. Ne “Il reprobo” l’aria è senz’altro più frivola e Maugham lascia filtrare di tra le righe uno dei pensieri che talvolta ricorrono nelle sue opere, ovvero, le buone maniere e la rispettabilità innanzitutto, ma poi è il malandrino quello più affascinante.

I due racconti sono, quasi superfluo dirli, magistralmente concepiti e raccontati (e aggiungerei tradotti) l’ambientazione tropicale si confà all’autore britannico che aveva trascorso lunghi anni presso le colonie inglesi , ed è appunto in questi luoghi che vide la luce il più noto “La luna e i sei soldi” ispirato alla vita di Gauguin. In questo libro affiorano alcuni dei tratti tipici della scrittura di WSM, soprattutto la figura del vicario, egli infatti visse l’adolescenza presso uno zio vicario, dove, si suppone, ha imparato a smascherare l’ipocrisia spesso malamente celata dietro una facciata di buone maniere. L’aspra cattiveria del signor Davidson nel racconto che apre il libro, è camuffata da un rigore morale ineccepibile, magistralmente reso dall’autore, con tutte le sue crepe e le meschinità, e l’aria vagamente sarcastica che aleggia fra le righe svela al lettore la condanna che l’autore fa di un certo modo di pensare tipico dell’epoca. Nel secondo racconto lo scrittore ci dona tutta la sua graffiante ironia mettendo in scena personaggi tipicamente ipocriti e falsamente moralisti, quali un reverendo e la sorella zitella, la quale si deve creare una disavventura immaginaria per riuscire a dare un nome ed una fisionomia alle pulsioni malamente represse e fatte passare – probabilmente come l’uva per la nota volpe – per malvagità poiché ancora mai conosciute. Le storie occupano poche pagine, ma proprio per l’esiguità dello spazio a disposizione che l’autore ci stupisce con la sua grande abilità e bravura nel costruire un intero mondo, collocarvi i suoi personaggi donando a tutti loro ed a tutto tondo gli attributi che ce li rendono reali e vicini, quasi come quelle persone con cui si conversa qualche ora in treno e, giunti alla stazione, nell’atto di salutarli, ci pare che quelle poche ore trascorse insieme ce li faccia conoscere da una vita: ci si separa da vecchi amici ma non ci si rivedrà mai più. Maugham con l’aria tranquilla ed innocente di chi ci racconta una storia di vita spicciola riesce in modo spietato a mettere alla berlina certi tratti della società in cui viveva e smaschera in modo del tutto naturale l’ipocrisia che regna in certi ambienti e a quei tempi riusciva ad ammorbare l’aria sino a latitudini assai lontane.
Una lettura assai gradevole, che con aria spigliata e un po’ canzonatoria, induce il lettore alla riflessione, soprattutto riguardo quei fatti che ci appaiono come “la morale corrente” solo perché in tale contesto siamo avvezzi a collocarvi, ma che probabilmente se analizzati meglio di morale hanno assai poco.

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