Selva, la piana è selva.
La congiura delle parole al capezzale di suo padre incontinente.
Tu le difendi? Chi le difende?
Quando resta assente sul viale del tramonto questo misero
agnostico irrazionalista, crepa d'invidia
l'atmosfera che tradisce il suo fine.
A lezioni di vita sedeva all'ultimo banco per districare meglio, non visto
aeroplanini di carta a vento.
Ma che ne vuoi sapere tu del vento, che guardi con occhi di ghiaccio
che batti il ferro quando è caldo.
Il suo pensiero flottante l'ha tradito ancora, in riva al fiume
sponde come ali di gabbiano, come le tua ciglia folte
nell'arcata di svelti addii.
Cade, implode, a fatica tiene le idee appese al filo:
non fare del male, non essere cattivo.
Ma nel bosco si va col coltello e a qualsiasi Dio
preferisce la preghiera dell'albero, d'appenderci il collo.
"Il depresso che non sapeva morire" e già partono le scommesse
se arriva al natale successivo.
Ma poi cambia frequenza, si strappa via le palpebre per non avere ombre
o sogni che si arrendano ai chiaroscuri di giornata, di fabbrica.
Non si guarisce! Non si guarisce, hai capito madama!
Anzi degenera in siparietti, spasmi fuori controllo e memorie di plastica.
Ma lui no, lui non cede le sue ghirlande
piuttosto si mozza una mano con zanne da lupo in trappola.
Perchè la ferocia, signore e signori, è attitudine bastarda
genealogia di sopravvivenze.
E vede tanti scudi in circolazione, tanti scudi splendenti di parole
che non lo riguardano.
Con la parsimania dell'arma bianca si scuce via la pelle.
Si concede di concedersi.
Questo pezzo di merda, convinto che dalla merda rinascerà fiore
qualche altra volta che peste lo colga.
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