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La fumatrice

di Giuliano Brenna
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Pubblicato il 10/05/2017 10:47:55

La piccola stazione di Saint-Pierre-des-Ifs se ne sta acquattata nel caldo ronzante dell’estate, il vago profumo delle magnolie ne increspa appena l’aria placida, un incessante ronzio nei dintorni delle fioriere che la circondano sottolinea l’unica attività visibile del pomeriggio. Dalla strada che congiunge la stazione con la piazza del vecchio campanile giunge una ragazza abbigliata in modo semplice ma accurato, con una lunga gonna di seta leggerissima e fluttuante stretta appena in vita da una fusciacca; ed una camicetta tutta pieghe, morbida sul corsetto rigido. Un ampio cappello protegge la pelle diafana del viso e da esso un vaporoso nastro si stende mollemente lungo la schiena della ragazza il cui movimento incita i lembi di tessuto a piccoli movimenti sincopati. La fanciulla ha con sé anche una piccola borsa rigida, quasi come un bauletto di forma trapezoidale, e stringe in pugno un grazioso ombrellino dal manico finemente cesellato. Il passo è non troppo svelto, scevro di disattenzione, il treno sta per arrivare e la fanciulla non ha nessuna intenzione di perderlo, eccola infatti già sul marciapiede pochi minuti prima del piccolo convoglio. Le porte si aprono con un sospiro ed ella sale, non trova uno scompartimento in cui stare sola, decide di aggiungersi a una buffa combriccola in gran pompa, i componenti del gruppetto sono tutti abbigliati da sera sebbene sia ancora pomeriggio. Appena la ragazza entra nello scompartimento ammutoliscono e le sorridono in modo galante, solo appena affettato per annosa abitudine salottiera. “Posso sedere qui?” “Ma certo signorina, si accomodi”, rispondono due di loro quasi in sincrono, poi si guardano e scoppiano a ridere, l’aria tra loro è piuttosto festosa, malgrado i paludamenti. Di nuovo la ragazza interrompe il chiacchiericcio degli imprevisti compagni di viaggio, rivolgendosi al più giovane tra essi, e anche l’unico senza soprabito, accenna al finestrino con una mano dal guanto di pizzo e chiede: “Non vi disturba l’aria, signore?” Il giovane resta leggermente abbagliato dallo sguardo limpido della ragazza, sembra cercare le parole per risponderle, tentenna, masticando qualche vocale sconnessa poi si fa più deciso, pone gli occhi scuri in quelli della ragazza “No, l’aria non mi disturba signorina.” Poi fa un cenno alla ragazza che gli siede accanto e dice in un sussurro “Vero Albertine che l’aria non ci darà noia?” Quella con uno sbuffo e le labbra arricciate risponde “no, certamente mio caro Marcel”. La ragazza apre appena il finestrino e si gode il refolo di aria che le giunge, mentre gli altri chiacchierano osserva la ragazza che ha appena parlato “uhm” pensa “quella è la giovane Simonet, così tutta elegante e tranquilla quasi non la riconoscevo, certo però che ne ha combinate delle belle… soprattutto con quelle sue quattro amichette parigine, si sono date ben da fare per scandalizzare mezza Balbec… E quel suo amico, sì certo quel tonto di Octave, chissà che fine avrà fatto, sarà di sicuro a sospirarle dietro mentre lei fa la civetta con questo bel giovane, come ha detto che si chiama, ah si certo, Marcel. Bel nome” pensa mentre lo osserva discreta, ne nota la perfetta eleganza ma lo trova appena malinconico con quel suo colorito pallido, i baffi ben curati gli danno un'aria vagamente solenne, ma ciò che colpisce la fanciulla è lo sguardo estremamente mobile ed attentissimo, ora si posa su di lei, poi vola lontano fuori dal treno, si perde nella campagna che digrada fino al mare, poi le pupille tornano rapide sul suo interlocutore. In quel momento l’attenzione del giovane Marcel è catturata da un buffo ometto non più giovane, dall’aria tronfia che sta raccontando qualche facezia riguardante una certa Madame de Cambremer che avrebbero visto di li a poco. “Poco male” pensa la fanciulla, “io non so nemmeno chi è, però questo dottor Cottard, - così sembra gli altri si rivolgano a lui - a lui basta il titolo, deve avere la sua baronessa, come in Marivaux, la baronessa di cui non si dice mai il nome e che nemmeno si sa se ne abbia mai avuto uno. Ma egli riflette la ragazza, è tanto più convinto di trovarvi compendiata l’aristocrazia (la quale ignora questa dama) in quanto più i titoli sono incerti e più spazio occupano le corone sui bicchieri, l’argenteria, la carta da lettera, i bauli. A proposito ma chi sarà questa vecchia carampana dall’aria un po’ tocca che tutti chiamano principessa. Non sarà una di quelle principesse da bordello che assumono nomi da nobildonne per esercitare la loro professione e poi questi nomi gli restano appiccicati addosso anche molti anni dopo che l’ultimo uomo ha cessato di desiderarle?”. “Diamine!” Riprende il buffo ometto, “la principessa Šerbatov”, ammiccando alla anziana silenziosa di fronte a lui, “il marchese e la marchesa di Cambremer “ ruotando gli occhi al cielo “Come vedete le cose si mettono bene”, ora rivolto al giovane Marcel, “tanto meglio: al vostro debutto, avete fatto centro. Sarà una serata brillante”, poi rivolto ad un altro membro del piccolo gruppo che sino a quel momento era rimasto assorto nella lettura del giornale “la padrona sarà furiosa Brichot, È proprio ora che arriviamo a darle man forte. La ragazza scuote impercettibilmente il capo, “chissà perché questa padrona sarà furiosa”, pensa, “forse non vuole vedere questa banda di pazzi scatenati, giusto quel Marcel che continua a guardarmi di sottecchi mi sembra a modo, certo questo Brichot mi pare uno di quei professoroni da operetta che non hanno mai opinioni proprie ma si limitano a sottolineare quel che leggono o che sentono dagli altri”. L’uomo in questione stava infatti vistosamente annuendo alle parole di Cottard. Ad un tratto tutti si mettono in allarme e subbuglio, di nuovo quel Cottard, la ragazza pensa che deve essere una bella seccatura averlo come ospite, sa sempre cosa dire e con frasi fatte e banali che vorrebbe far passare come perle di saggezza. Ora sta tuonando come Zeus dall’Olimpo, le guance rubizze per l’agitazione “Ancora nessuna notizia del violinista l’hanno sicuramente sbattuto in guardina, non c’è altra spiegazione della sua scomparsa. Diamine! da militari, sapete, con quei tipi, basta trovare un maresciallo scorbutico.” Ad un tratto anche Brichot si desta, scuote un poco il capo come per riordinare le idee, o i pochi capelli “Se non verrà neanche stasera” sussurra “sarà ancor più mortificante per madame Verdurin, dal momento che la nostra gentile ospite riceve per la prima volta a pranzo i vicini che le hanno affittato La Raspelière, il marchese e la marchesa di Cambremer.” La ragazza capisce ora tutto, “questa Verdurin affitta una villa per le vacanze dai Cambremer e per ingraziarseli, quasi certamente al fine di ottenere uno sconto, li invita a cena con questi quattro bellimbusti e offre anche un accompagnamento musicale. Hai capito la Padrona” sogghigna fra sé la fanciulla. Nota che Albertine la sta fissando, ne sostiene lo sguardo brevemente finché l’altra socchiude appena le palpebre con un aria sorniona tipica dei gatti quando vogliono creare un legame segreto con chi li guarda, “stai tranquilla giovane Simonet, i tuoi segreti sono al sicuro con me” pensa la ragazza, poi volge gli occhi al paesaggio, “certo che quella lavandaia ne sa di cose sul tuo conto e sulla tua biancheria sempre da lavare”, sorride appena, poi osserva Marcel che però è impegnato in una conversazione sull’affaire Dreyfuss, sempre in relazione ai Cambremer, “Perdipiù devono essere quanto c’è di più anti, e militaristi, aveva detto il signor Verdurin”. – Ah! quanto a questo, francamente, me ne importa ben poco, aveva aggiunto la moglie, è anche troppo che si parla di questa storia” Cottard interviene “Madame Verdurin essendo sinceramente Dreyfusista, avrebbe voluto tuttavia trovare nel predominio del suo salotto dreyfusista una qualche ricompensa mondana”. Poi si volta verso Brichot e gli lancia una sorta di ammonimento: “Vero?!?” Poi, a titolo di spiegazione verso la principessa, vera o presunta, “il signore” dice indicandolo col pollice e sottolineando con forza il titolo, poi, dopo una brevissima pausa, riattacca “l’universitario, infatti, è il solo tra i fedeli ad aver preso posizione per lo Stato Maggiore, cosa che l’ha fatto parecchio scadere nella stima di madame Verdurin”. Brichot arrossisce visibilmente e tossisce confuso. La ragazza nota il fitto velo di imbarazzo che cala sulla compagnia e con aria indecisa comincia giocherellare con la sua borsa, fa scattare più volte la chiusura in argento finché si risolve ad aprirla, subito appare la fodera in elegante raso di seta rosso che calamita l’attenzione del gruppetto. La ragazza si blocca per un momento, recupera qualcosa dal fondo della borsa poi con voce allegra, rivolta ai compagni di viaggio, ma guardando Marcel “Il fumo non darà noia ai vostri amici?” Senza attendere la risposta si accende una sigaretta ed espira la prima boccata di fumo con una chiara espressione di piacere sul volto, tutti la rassicurano che il fumo non dà assolutamente noia e riprendono a chiacchierare. Marcel riprende il filo della conversazione con quel Brichot che agli occhi della ragazza è un autentico cafone, “ma come fa a supporre” pensa “che Marcel non sia stato mai presentato ai Cambremer e a questa fantomatica Verdurin se è stato invitato a pranzo, e si porta quella smorfiosa della Simonet appresso. Tanto più che sicuramente non saranno neanche fidanzati ufficialmente”. Infatti Marcel risponde con eleganza “Mi hanno già presentato a Madame de Cambremer, sarò ancora più felice di vederla” – “che classe”, pensa la ragazza espirando una nuvoletta di fumo azzurrino che subito si disperde nella corrente d’aria – “perché mi aveva promesso di mostrarmi un libro dell’ex curato di Combray sui nomi di luogo di questa regione, e potrò ricordarle la sua promessa. Mi interessa quel prete e anche le sue etimologie” Brichot non sembra altrettanto entusiasta del libro in questione “Non fidatevi troppo di quelle che suggerisce; il libro, che alla Raspelière c’è e che mi sono divertito a sfogliare, non mi sembra un granché; è zeppo di errori”. “Ma cosa ne saprà mai questo vecchio spaventapasseri”, pensa la fanciulla, ma Brichot parte con gli esempi. “La parola briq entra nella formazione di una quantità di nomi di luogo dei dintorni. Il bravo ecclesiastico ha avuto l’idea discretamente strampalata che derivi da briga, altura, luogo fortificato. Lo vede già nelle popolazioni celtiche, Latobrigi…” la ragazza sbuffa, spegne compita la sigaretta nel posacenere e pensa “chi saranno mai questi Latobrigi, conosco i Simonet, ora ha sentito altri nomi di persone che mi sembrano strampalate, i Cambremer, i Verdurin, ma che sarà, un mercato?” Si domanda, poi con un sorriso pensa al camembert, ritorna con l’attenzione alla voce querula di Brichot che sta ancora elencando “Briqueville la casa sull’altura, Briquebec- dove ci fermeremo tra un istante prima di arrivare a Maineville…” “Briquebec è dove devo scendere!” Trasale la ragazza, si alza di scatto, sistema le ampie sottogonne dal tenue color ecrù, raddrizza la fusciacca verde, si pone sul capo il cappello di seta leggero ed impalpabile come una nuvola estiva, lo fissa con il nastro sotto il mento e sventolando la mano dal guanto color latte saluta e con un balzo scende dal treno. Marcel la segue con lo sguardo allontanarsi fra le siepi della stazione, poi scomparire in una strada laterale, pensa alle domande che avrebbe potuto farle, chiederle il nome, addirittura invitarla ad unirsi alla comitiva per il pranzo alla Raspelière. Il giorno dopo con Albertine, ripensandoci, Marcel riporta il discorso sulla bella fumatrice e la ragazza con una certa sicurezza gli dice “Non preoccupatevi, ci si ritrova sempre”.

 

Molti anni dopo, Marcel nella sua stanza di boulevard Hausmann, riandando indietro coi ricordi a quel fatidico pomeriggio improvvisamente rivede la bella fumatrice, e ricorda le parole profetiche di Albertine, con un sospiro fissa gli occhi in quelli del suo interlocutore, le lunghe ciglia indugiano verso il basso, poi si rialzano. “Vedete Robert nella fattispecie, si sbagliava; non ho mai trovato né identificato la bella fumatrice. Per molto tempo dovetti smettere di cercarla. ma non l’ho dimenticata. Spesso, pensando a lei, mi succede d’essere invaso da una voglia folle. ma questi ritorni del desiderio ci costringono a riflettere che, volendo ritrovare quella determinata fanciulla con lo stesso piacere, bisognerebbe anche ritornare a quell’anno, cui ne sono seguiti altri dieci durante i quali la fanciulla è sfiorita.”

Poco distante in Rue des Mathurins una signora sta prendendo un te con una amica, “e vedi”, sta dicendo “quell’anno fu la mia prima vera vacanza da adulta, era tutto quasi perfetto. Un pomeriggio durante un breve tragitto in treno conobbi l’uomo che avrei voluto ancor oggi al mio fianco, ma la situazione era troppo fuggevole, non ebbi il coraggio, o chissà, la sfrontatezza di proseguire con lui il viaggio in treno e finii col partecipare a quella noiosa merenda con le mie cugine. Ma il rimpianto mi segue ancor oggi”. Con un sospiro si accende una sigaretta ed esala lenta una nuvoletta azzurrina, l’amica posa la tazza ormai vuota, le accarezza leggera una mano e dice “Si può, a volte, ritrovare una persona, ma non abolire il tempo. E tutto questo sino al giorno imprevisto, e malinconico come una notte d’inverno, in cui non si cerca più né quella persona, né nessun’altra, in cui trovare ci farebbe persino paura”. Le due amiche annuiscono serie poi una spegnendo la sigaretta ormai consumata si volta a guardare l’acquaforte sopra il camino, ammira la cittadina che vi è raffigurata, e le labbra si increspano appena leggendone il nome: Briquebec.

 

 

Le parti in corsivo sono tratte da La Recherche, Sodoma e Gomorra, pagg 115/120


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