"Nella misura in cui vi aprite,
coglierete i frutti."
(Da un messaggio di Medjugorje.)
Una volta c'era un fico d'India.
Era una giovane cactacea composta da tre tenere pale. Si trovava nel giardino d'una casa di provincia con prospettiva sul mare e sul vulcano.
Nell'abitazione ci viveva un solingo scrittore. Scrittore almeno nella sua intenzione. Perché scriveva un po' di tutto, ma non riusciva a pubblicare un bel niente. Il suo scrivere non produceva frutti utili. Ciò lo portava a isolarsi sempre più, facendolo divenire ispido.
Come diversivo gli piaceva accudire al suo giardino. Prediligeva le piante grasse, in particolare il piccolo fico d'India. Il virgulto l'aveva raccolto presso la spiaggia e trapiantato in un angolo soleggiato del giardino. Era necessario soltanto annaffiarlo ogni tanto.
Col tempo esso crebbe e divenne una pianta alta e articolata, dalle pale piene di lunghe spine. Ma di fichidindia non si scorgeva manco l'ombra.
"Non devi abbatterti se sei infruttuoso." gli disse l'uomo toccandolo con accortezza.
La pianta senziente ne fu sollevata.
"Non è da tutti dare buoni frutti."
L'irto e grande vegetale provò un moto d'empatia per l'esile essere umano.
"È meglio accettare il proprio destino."
Lo scrittore decise di rinunciare alla scrittura. Avrebbe cercato altrove la realizzazione della propria natura. Il suo sguardo andò verso la vetta innevata innalzata nel cielo blu. Sentì nascere un desiderio d'ascesi.
Dispose con precisione l'ultima pietra lavica e quindi osservò con soddisfazione la propria opera appena terminata. Di fianco al fico d'India, nella nicchia di nera sciara, troneggiava la statuetta bianca e azzurra della Madonna coronata di stelle. Colse alcune rose, le mise in un vasetto pieno d'acqua e gliele depose dinanzi.
"Ora il nostro giardino ha la sua Regina!" disse entusiasta al fico d'India.
La pianta ne era contenta.
"È una sovrana che bisogna amare."
Il fico d'India ammirò la figura minuta e regale, riposta dentro la piccola grotta sotto le sue ispide pale. Gli ispirava tanta tenerezza.
"E che occorre omaggiare, non solo coi fiori, ma ancor più con la preghiera."
Si sedette sopra la panchina, si tolse dal collo la corona e cominciò a recitare il rosario. Contemplava Maria, il mare, il vulcano. Meditava i fondamentali interrogativi esistenziali. Sentiva emanare energia tutt'attorno dalla statuetta di Maria. Era come un fluire di linfa nutriente. Era come uno scorrere d'ispirazione trascendente. Ebbe l'impulso di trascrivere tutto. Concluso il rosario corse in casa, prese il computer portatile, lo pose sul tavolino vicino alla Madonnina, l'accese e con gran lena iniziò a scrivere.
"Complimenti, hai fatto tanti bei frutti!" disse lo scrittore al fico d'India.
La pianta n'era fiera. Le sue pale prive di spine erano piene di grossi frutti rossi. Usando un guanto l'uomo ne spiccò un poco e li sbucciò.
"Sono molto dolci." disse assaggiandone uno.
Si sedette sulla panchina e con compiacimento aprì il proprio libro appena pubblicato.
"E adesso ti faccio gustare la mia prima opera. Spero davvero che ti piaccia."
Lo scrittore si distese comodo e prese a leggere al vegetale il suo romanzo mangiando fichidindia, occhieggiando sovente con letizia Maria.
La quale sorrideva con soavità.
(Una riduzione di questo racconto è stata pubblicata in Amore, alberi e pace, Edizioni Il Cavedio.)
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