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Vendonsi tappeti

di Luigi Pistis
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Pubblicato il 23/05/2017 17:06:09

                                                                         

Garantisco che la vicenda di cui parlo è vera, ed è accaduta proprio nei termini che sto per raccontare. Alcuni giorni fa ne ha parlato a lungo persino la Televisione Balkaziana, che è sotto rigido controllo governativo e non può quindi mentire.

Il signor M.K.S.  era un ometto non più alto di un metro e cinquantaquattro, ma non per questo mancava della stima dei suoi concittadini per i quali,  come è noto,  le dimensioni fisiche sono un elemento imprescindibile di considerazione sociale.  Per molti anni aveva insegnato nel liceo della sua città;  ora che era in pensione, aveva molto tempo libero  e lo occupava facendo lunghe passeggiate nelle viuzze del centro, seguendo i percorsi scelti dal suo bassotto.  Fu in una di queste occasioni che la sua attenzione venne attirata dall’insegna di un negozio di cui non si era mai accorto prima. Diceva:  VENDONSI  TAPPETI  VOLANTI.  Quello  che lo colpì,  beninteso, non fu l’aggettivo “volanti”,  che giudicava una trovata pubblicitaria,  ma il verbo “vèndonsi”.

Aveva così  tante volte recriminato tra sé e sé di fronte a certi sgangherati e sgrammaticati cartelli quali  “Vendesi villette abbinate con grazioso giardino”, “Vendesi panini e tramezzini”,  che restò incantato di fronte a questo esempio di proprietà  grammaticale più unico che raro.

Decise quindi di entrare nella botteguccia per fare le congratulazioni al proprietario.

Costui era un tipo segaligno, dall’aria piuttosto trasandata, con un gran barbone nero appena segnato da qualche traccia argentea. Le congratulazioni del professore lo lasciarono del tutto indifferente tanto che questi,  per pura cortesia, visto che si trovava nel negozio, chiese informazioni sui tappeti in vendita.    Senza sprecare alcuna parola, il commerciante gli mostrò vari  tappeti di fattura e dimensioni  diverse, decantò la struttura, la lavorazione, il numero dei nodi per centimetro quadrato,  la felice armonia del disegno e dei colori.  Aggiunse poi che si trattava, logicamente, di tappeti volanti.

Il professore, affascinato dalla fluidità dell’eloquio, non si mise a ridere.  Sotto sotto pensava che un comunicatore di quel livello andava in qualche modo premiato e gli chiese quindi il costo di uno di quei tappeti.

Il commerciante lo considerò attentamente e poi estrasse da uno scaffale un esemplare che sembrava un ushak, ma di dimensioni piuttosto ridotte. Spiegò che, dato il limitato peso corporeo dell’acquirente, quel tappeto poteva bastare. L’avrebbe ceduto per 1750 balkazyn, cifra che,  giudicò il professore, ammontava quasi esattamente ad una rata della sua pensione e non era poco per un tappeto di quelle dimensioni.  Ma decise di rischiare l’acquisto, anche perché di un tappeto aveva  veramente bisogno, visto che quello che teneva in salotto era consunto in più punti.

Senza aggiungere altro, il commerciante lo arrotolò a cilindro e gli spiegò che la prima notte di luna piena si sarebbe dovuto recare in un luogo elevato, avrebbe dovuto sedersi sul tappeto a gambe incrociate e in quella posizione avrebbe dovuto semplicemente aspettare.

Così fece il professore alcuni giorni dopo su un poggio non distante dalla città, vergognandosi un poco della propria dabbenaggine. Ma trascorsa mezz’ora senza che nulla accadesse, non gli restò altro che rientrare nel suo appartamento col tappeto sotto il braccio.

La mattina seguente, fingendo una collera che in realtà non provava, tornò al negozio.  Davanti alla vetrina sostava un vecchio furgone tutto ammaccato su cui il mercante stava caricando i tappeti della bottega.    “Come ,”   disse il professore ,  “ si sta trasferendo? Chiude l’attività? “

“ Per forza,”  rispose  l’omone,   “ con la crisi in cui ci troviamo, non riesco a sopravvivere.  Son qui  da  un mese e l’unico tappeto che son riuscito a vendere è il suo ushak.” 

“ Ma non dipenderà un poco  dal fatto che i suoi tappeti  in realtà non si alzano da terra?”  ribatté ironico il professore.  E  proseguì  lamentandosi  perché il tappeto non aveva affatto preso il volo e reclamando uno sconto adeguato al mancato funzionamento.

L’omone parve sorpreso dalle parole del cliente,  rifletté un attimo e poi gli chiese:

“  Ma come era vestito, quando si sedette sul tappeto?”

“ Così come mi vede! “  rispose impermalito il professore.

“ Ecco,”   ribatté l’omone ,  “è proprio questo che non va.  Nelle illustrazioni con tappeti volanti lei ha mai visto il passeggero in giacca e cravatta, con le Timberland ai piedi?  Credo di no. Il   tappeto non l’ha riconosciuta e per questo non si è mosso.  Deve procurarsi un vestito tradizionale, completo di caffettano,  babbucce ai piedi e turbante in testa.  Vedrà che la cosa funzionerà .”

Il professore sentiva puzza di canzonatura,  ma era un uomo di principi e decisamente pignolo.  Si ricordò che in soffitta doveva esserci un abbigliamento simile appartenuto a qualche trisavolo.  Si propose di rispolverarlo, e quella notte stessa ritornò sul poggio.

 La luna,  bianchissima e tonda,  stava sorgendo tra la fitta vegetazione sottostante.

Cominciò subito a cambiarsi di abiti: piegò diligentemente pantaloni, camicia e giacca, si tolse le Timberland e si infilò le pantofole ricamate.  Infine distese il tappeto sull’erba e vi si sedette sopra con le gambe perfettamente incrociate.

Un po’ più sotto,  una coppia di fidanzati in vena di effusioni,  si erano imboscati tra i cespugli e  osservavano la scena incuriositi.

I due ragazzi dissero che dopo pochi secondi il tappeto cominciò a frusciare, come se una forza misteriosa lo spingesse verso l’alto. Poi videro il tappeto su cui stava seduto un uomo vestito in modo strano,  prendere l’abbrivio,  pencolare un poco,  ma assestarsi subito dopo e scivolare con grande levità verso la luna piena.  


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