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Hitler Studio sulla tirannide Alan Bullok

Argomento: Storia

di Alberto Castrini
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Pubblicato il 28/06/2025 17:59:18

 

Il ponderoso volume risulta sin da subito ben fatto e la filosofa Hannah Harend lo aveva definito il migliore su Hitler.

 

Addirittura Bullok riesce a dargli spesso il ritmo e la struttura del thriller, pur trattandosi di fatti ben noti al lettore.

 

Diviso in tre parti: Leader di partito, Cancelliere, Signore della guerra.

 

Hitler nel 1934, alla morte di Hindenburg, riunirà le due cariche: Presidente e Cancelliere, conseguentemente Capo dello Stato. Senza nessuna modifica costituzionale ma solo con un referendum, ancora col corpo caldo del Feldmaresciallo, al quale partecipò il 96% degli aventi diritto che approvò col 90%, contrari 10% pari 4,5 milioni!

 

Con questo s’introdusse il giuramento di fedeltà non al Reich, ma ad Hitler, perché il destino della Germania era lui.

 

Permise sin da subito il poliferare di centri decisionali, spesso in conflitto fra loro: SA, SS, GESTAPO, PARTITO NAZISTA, REICHSTAG, ecc. Questa policrazia era addirittura favorita dal dittatore che poteva così assicurarsi il diritto di avere l'utima parola su tutto.

 

Il Principe degli spergiuri all’apertura del Reichstag : “...il governo ricorrerà ai poteri straordinari solo se necessario …l’esistenza autonoma degli Stati Federali non sarà soppressa …i diritti delle Chiese non saranno intaccati …il governo apre ai partiti del Reichstag le porte della più cordiale collaborazione. Ma è pronto a proseguire nel caso di rifiuto o ostilità. A voi decidere fra guerra o pace …”

 

Già dall’estate del 33 Hitler divenne padrone assoluto di un governo nel quale, per poco, von Papen venne a mala pena tollerato, perciò un governo indipendente dal Reichstag, dal Presidente Hindenburg e dagli alleati politici.

 

Scrisse: “...che il Capo sia il servitore dell’Idea è una scemenza incredibile, questa è la peggiore democrazia. Per noi capo e Idea sono una cosa sola. Ciascun membro del partito deve fare ciò che gli viene ordinato”

 

Nessun Gran Consiglio, perché Il Fuhrer doveva avere le mani libere.

 

La parola era il suo più grande mezzo di dominio non solo sulle folle ma sul suo stesso temperamento. Parlava senza tregua, più che per comunicare il suo pensiero per far scattare la molla delle emozioni, per frustare col suono della sua voce anche l’uditorio a parossismi d’ira o di esaltazione.

 

Incapace di discutere freddamente, anche con se stesso. Se si mettevano in dubbio le sue asserzioni andava in bestia . Non sopportava alcuna critica, di conseguenza odiava gli intellettuali, perché solo dall’istinto nasce la fede!

 

Come oratore Hitler era eccessivamente verboso e spesso e si evolveva in frasi nebulose, però questi difetti scomparivano di fronte alla sua impressione di forza, alla passione, all’intensità di odio, alla furia della sua voce che sapeva suscitare nell’uditorio. Ma specialmente era preponderante la sua sensibilità nel captare gli umori della folla, coglierne le passioni, i rancori e le aspirazioni.

 

La sua disordinata e fertile immaginazione era figlia del romanticismo tedesco tardo ottocentesco, imbevuto di idee caricaturali da Wagner, Nietzsche e Schopenhauer.

 

Hermann Rauschning, uno dei primi delusi dal nazismo : “Avrebbe potuto essere inventato da Dostoevskij per il suo morboso squilibrio e per la pseudo creatività di origine isterica”.

 

Ma l'importante è capire fino a che punto fosse convinto di essere un ispirato o, invece, sfruttasse di proposito il lato irrazionale della natura umana. In questa mistura di calcolo e fanatismo è difficile delinearne la personalità.

 

Sir Neville Henderson, ambasciatore britannico, “La sua eccezionale autosuggestionabilità gli serviva sia a montare le proprie passioni che a convincere gli altri”.

 

Negli impeti di collera pareva smarriva completamente il controllo. Col viso chiazzato e gonfio, urlava a pieni polmoni, scaricando sull’avversario torrenti d’insulti, agitando furiosamente le braccia e tempestando di pugni la tavola. Poi d’improvviso s’interrompeva e dopo essersi ricomposto i capelli e riaggiustato il colletto riprendeva a parlare con voce normale.

 

La sua tattica abituale era quella di passare per aggredito. Accusava gli avversari di perfide mene ai suoi danni e, dopo avere denunciato l’oltraggio scagliava fulmini d’indignazione.

 

Recitava la parte del capo che sapeva tutto, faceva affidamento su una notevole capacità mnemonica che gli permetteva di snocciolare lunghi elenchi di nomi, date, schieramenti di battaglie senza alcuna esitazione, non importava se talora risultavano errati.

 

Fino all’ultimo conservò su quanti l’avvicinavano un sorta di magnetismo che molti hanno descritto come un potere ipnotico del suo sguardo.

 

Sempre guardingo e riservato diffidava di tutti, non si comprometteva mai. Ogni cosa in lui era il risultato di un freddo calcolo.

 

Hitler godeva di un dono raro, quello di non avere nessun ritegno morale che lo frenasse: uomo senza radici, casa, famiglia. Non conosceva fedeltà e non nutriva rispetto né per Dio ne per gli uomini.

 

Pretese il sacrificio di milioni di vite tedesche per la sacra causa della Germania fino alla sua distruzione totale piuttosto che dichiararsi sconfitto.

 

La sua caduta è l'esatto finale del Gotterdammerung ove non solo s'inabissano tutti gli dei ma l’intero Walhalla.

 


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