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Il Risveglio

di Domenico Vasile
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Pubblicato il 04/01/2018 21:33:33

Il Risveglio


4 Essi ripresero vita e regnarono con Cristo per mille anni; 5 gli altri morti invece non tornarono in vita fino al compimento dei mille anni. Questa è la prima risurrezione. 6 Beati e santi coloro che prendono parte alla prima risurrezione. Su di loro non ha potere la seconda morte, ma saranno sacerdoti di Dio e del Cristo e regneranno con lui per mille anni. 12 Poi vidi i morti, grandi e piccoli, ritti davanti al trono. Furono aperti dei libri e fu aperto anche un altro libro, quello della vita. I morti vennero giudicati in base a ciò che era scritto in quei libri, ciascuno secondo le sue opere.

Cap. 20 Apocalisse




05 febbraio 2008


Era rimasta per tutto quel tempo al capezzale del letto. Ai piedi di quel giaciglio di sofferenza che ospitava Lukas, suo marito. L’uomo combatteva tra la vita e la morte in uno stato di coma profondo.
Ormai da mesi la situazione rimaneva stabile, non migliorava né peggiorava. Nessun cenno, nessun nuovo referto che potesse far trapelare uno spiraglio di speranza.
Agata era una donna distrutta. Quella situazione l’aveva debilitata, non portava più i suoi abiti preferiti, neanche il suo viso aveva più i colori del trucco. Ora tutto era insensato, andare avanti giorno dopo giorno era come navigare in balia del vento.
Lo sguardo felice di moglie innamorata che mostrava prima, ora rimaneva solo un ricordo sbiadito, confuso. In quella stanza silenziosa i suoi pensieri prendevano forma. Con la mano nella mano di lui, ricordava. Si lasciava trasportare da quelle immagini passate e le commentava insieme al marito, ma senza avere risposta.
Tra il cumulo di ricordi che le tornavano alla mente, si faceva strada inesorabile la figura indelebile di quel giorno maledetto. Il giorno in cui, rientrata dal lavoro, trovò la porta di casa semiaperta.
Entrando nel salone, non vide il suo diletto che l’attendeva come sempre e lo chiamò a gran voce, ma non vi fu risposta.
La situazione le risultò subito sinistra, si portò avanti a passi guardinghi ed entrò nello studio. La sagoma del marito era sulla poltrona, di spalle. Come se stesse gustando il fuoco del camino che ardeva ancora. Lo chiamò di uovo, ma quello non ribatté. Si avvicinò velocemente, afferrò lo schienale della poltrona girevole, la voltò e…..




Davanti ai suoi occhi, uno spettacolo raccapricciante. Gli occhi di Agata videro quell’immagine che le rimase stampata per sempre nella mente.
Suo marito era privo di sensi, con il volto spento, gli occhi aperti e le pupille dilatate. La bocca dischiusa dalla quale fuoriusciva del sangue .

Urlò come una forsennata, tremolante e spaesata. Cercò di smuovere il corpo di Lukas, ma dietro il suo cranio trovò una chiazza di sangue raffermo e, chinata la testa, vi trovò un buco che lasciava intravedere l’interno della scatola cranica.
Da quel giorno, il suo calvario ebbe inizio. Dovette lasciare la scuola dove insegnava, per seguire a tempo pieno le sofferenze del suo consorte.
Da circa sei mesi, non aveva quasi più contatti col mondo esterno, anche lei come Lukas viveva isolatamente in un mondo parallelo alla realtà.
Si limitava ad uscire di casa per raggiungere l’ospedale dove rimaneva tutto il giorno per poi a sera rientrare.

I medici e gli infermieri la conoscevano tutti, a volte la lasciavano indisturbata anche nelle ore di divieto delle visite.
Quella donna non aveva più ragione di vivere, l’unico pensiero che le rimaneva era la speranza.
In lei vigeva il passato compiuto da reminiscenze ed il futuro creato dalla fiduciosa attesa.
Era tutto serbato nella sua mente, la realtà intorno a lei taceva. Persa in un silenzio sepolcrale, spezzato soltanto dal rumore delle macchine dalle quali Lukas attingeva ancora gli ultimi rimasugli di vita.
Dietro consiglio di un giovane infermiere, che lavorava presso il reparto di malati terminali, aveva cominciato a parlare con Lukas come se quest’ultimo fosse vivo e vegeto. Il ragazzo le aveva consigliato di farlo sovente, gli si era avvicinato mentre prendeva un caffè al distributore automatico.
L’aveva già notata altre volte aggirarsi per quei corridoi pregni di sofferenza, così l’avvicinò con una scusa e le elargì i suoi metodi. Il ragazzo prestava le cure a una giovane che era in coma ormai da due anni, ma lui ogni mattina le dava il buongiorno, spalancava le finestre e la preparava per uscire. La metteva sulla sedia a rotelle e le faceva fare delle lunghe passeggiate nel parco antistante, parlandole della natura, leggendole dei libri, facendole dei regali.
Agata in un primo momento rimase sconcertata dalle dichiarazioni di qull’infermiere un po’ bizzarro, ma poi una mattina provò anche lei.
Arrivò in stanza alla buon ora quella mattina e spalancò le ante, fece entrare un po’ d’aria fresca e rivolse a suo marito un “buongiorno” allegro e pieno di fiducia. Non fu facile rivolgergli la prima parola, per niente semplice; ma da allora cominciò a farlo giorno dopo giorno, sempre con più naturalezza come se Lukas percepisse le sue parole.
Ricorda con gioia quel giorno, l’unico che quel matto infermiere irruppe nella stanza di Lukas con una sedia a rotelle. Mimando il rombo del motore disse:”Andiamo a fare un giro Luke?” Quello fu un episodio che fece schiudere le labbra di Agata in un fievole sorriso. Uscirono sul vialetto tutti e tre, era una giornata bellissima, il cinguettio tra gli alberi era come un gran concerto di piume. Nonostante l’inverno perdurasse ancora i raggi solari si facevano sentire sul viso, chissà se anche Lukas poteva sentirli.





La vitalità di quel giovane, l’amore che aveva nei confronti delle persone malate, riempì il cuore di Agata, fornendogli uno spiraglio di luce. Continuare a vivere come se Lukas fosse lì ad ascoltarla.
L’illusione di ciò le fece passare altri giorni, la portò avanti ancora un po’ fino a che non ricadde di nuovo nella disperazione più totale.
Il giovane infermiere era stato trasferito, non passava più a tirare su il morale della stanza. Agata era nuovamente sola, di fronte a lei un essere in stato vegetativo. Altri sentimenti aggredivano la sua anima ora. Era stanca, voleva farla finita. La sua mente faceva pensieri orrendi, indicibili.

Tornando a casa si imbottiva di calmanti prima del sonno, perché da qualche giorno non riusciva neanche più a riposare. La notte strani sogni le facevano visita. Vedeva Lukas in piedi che la chiamava. Aveva uno sguardo diverso il suo amato, cattivo. La chiamava a se, ma lei non riusciva mai a raggiungerlo nelle sue folli corse notturne, si risvegliava di soprassalto tutta sudata e calava in uno stato di depressione nel quale permaneva tutt’ora.
I sogni si facevano sempre più frequenti, mai ne aveva fatti prima d’ora. Eppure ogni notte Lukas turbava la sua quiete. La chiamava, le mostrava un luogo con un cenno della mano. “E’ li che devi andare” le diceva. Focalizzando la mano dell’uomo aveva scorto un marchio, posto al centro del palmo.
Le risultò singolare quella scena, suo marito non aveva mai portato tatuaggi. Lui era un uomo d’affari, in vista nella società. Sempre elegante, vestiva abiti eleganti e frequentava ambienti di un certo livello. Negli ultimi anni la fortuna della loro famiglia stava però andando a rotoli. A causa di alcuni problemi finanzieri si erano trovati costretti a vendere alcune proprietà. La villa nella quale vivevano era rimasta indenne dal disastro monetario, almeno fino a quel momento.
Il lavoro di Lukas si era ridotto nel passare ore sui libri del suo studio. Mentre la maestria era a scuola ad insegnare, il marito rimaneva a casa e a dir suo cercava di risanare il debito familiare scavando su dei testi e delineando un piano per risanare l’infelice situazione.

Ciò nonostante, la cara mogliettina aveva sempre il sorriso stampato sulle labbra per quell’uomo che tanto amava. Colui che le aveva donato il benessere e che ora stava soltanto passando un brutto momento.
“Passerà vedrai, tornerò alla ribalta ben presto!” Le diceva, mentre continuava a sfogliare i suoi libri nello studio.
La donna non aveva mai interferito nei suoi problemi, era fiduciosa nei confronti del suo uomo e lo lasciava fare. Si limitava a portargli una buona tazza di tè per una pausa tra un libro e l’altro. Poi arrivò il giorno della disfatta. Oltre al danno la beffa. Il destino le aveva riservato la brutta sorpresa.
L’unico bene immobile rimastole era la villa in cui viveva, ma non come proprietaria. Poteva usufruirne fino a che rimaneva in vita, dopodiché sarebbe passata, come tutti gli altri beni materiali della famiglia, ad una società per azioni con la quale Lukas era in affari.
Agata non era mai andata a fondo su quella storia, sul perché di tutti quei debiti improvvisi e su come Lukas si era procurato quella ferita dietro il cranio.
La polizia aveva ormai allentato la presa. Le indagini serrate delle prime settimane lasciarono lo spazio ad una sorta di indifferenza generale. D'altronde, il diretto interessato non poteva reagire e la povera moglie non aveva soldi per pagare un buon avvocato.






Era profondamente turbata e incuriosita da quegli strani incubi, tanto che una mattina di pioggia, dove era impensabile spalancare le finestre, diede il suo buongiorno sottovoce a Lukas, come per non svegliarlo. Pian piano gli si accostò, questa volta dal lato sinistro del letto, quello che di solito non avvicinava mai perché vicino al muro.
Timorosa, col cuore che le pulsava velocemente, prese la mano sinistra dell’uomo. Chiuse gli occhi per un attimo e rivoltò il palmo all’insù per vedere. Il sogno aveva frammenti di realtà. Il tatuaggio corrispondeva.
Ora poteva vederlo da vicino, quel marchio che vide sfocato nella notte, era lì dinanzi ai suoi occhi. Un simbolo incomprensibile, sconosciuto.
Ebbe un mancamento, le forze le vennero meno. Cercò di calmare i suoi spasmi. Cercò di capire cosa volesse significare quel marchio. Ne rimase meravigliata. Come aveva potuto fare un tatuaggio senza che lei se ne accorgesse?

Sicuramente nell’ultimo periodo di vita , Lukas era sempre rinchiuso nel suo studio, ma lei non aveva mai notato quel disegno inciso sulla pelle. Era la prima volta che lo vedeva, dopo la premonizione avuta in sogno. Sarà un semplice simbolo, o cosa?
Mille domande cominciarono a tartassarle la mente. Come un tarlo che punzecchiava il cervello, non trovava risposte, non trovava quiete.
A sera rientrò a casa, più stanca che mai. Ma questa volta, per la prima volta in tutti quei mesi di degenza, non salì subito al piano di sopra.
Si portò verso lo studio di Lukas. Quella porta era rimasta chiusa da allora. Portava ancora i sigilli che la polizia aveva affisso come zona invalicabile. Si fece coraggio e l’aprì.
Lenzuola bianche ricoprivano il divano, la scrivania e gli altri mobili. Era un luogo abbandonato, quelle pareti sapevano. Avevano visto tutto ciò che era successo, ma avrebbero taciuto per sempre.
Andò verso la scrivania e la scoprì, gettano a terra il lenzuolo. Solo qualche foglio con degli appunti. Aprì i cassetti e trovò articoli di cancelleria, penne forbici, tagliacarte.
Sembrava come se il tempo si fosse fermato a quel preciso istante. Un brivido le percorse la schiena, quando con impeto svestì la poltrona girevole dal lenzuolo e vide ancora la macchia rinsecchita sulla spalliera. Per un attimo penso di fuggire via, ma seguitò a cercare. Cosa volesse scoprire non era chiaro neanche a lei. Rovistò tra i libri dello scaffale, in cerca di una traccia un segno che le potesse spiegare. Quando ad un tratto, il suo sguardo fu attratto da dei residui nel camino.
Quel camino che Lukas teneva sempre acceso durante l’inverso, quello stesso focolare che trovò ancora ardente quel maledetto giorno.
Si chinò per guardare meglio. Frammenti tra la cenere. Dettaglio sfuggito ai frettolosi investigatori. Prese tra le dita quella carta, non si riusciva a leggere bene, la maggior parte del foglio era bruciato, divorato dalle fiamme. Solo alcune lettere erano visibili.

Rimase a pensare per un attimo, poi focalizzò nuovamente la figura sulla mano di Lukas. Quello che sembrava un segno indecifrabile ora prendeva forma . Le stesse lettere disegnate in modo sfarzoso erano poste sul palmo dell’uomo.





Ma come era possibile che questo pezzo di carta così importante fosse sfuggito alle indagini.
Forse lo aveva messo qualcuno dopo? Al solo pensiero che uno sconosciuto si fosse introdotto in casa la fece cadere in uno stato di panico.
Cominciò a tremare e a guardarsi intorno, tutti quei lenzuoli sembravano come dei fantasmi, la leggera brezza che proveniva dalla porta li faceva smuovere leggermente, animandoli. Scappò via al piano di sopra, portando con se la sua nuova scoperta. La poggiò sul comodino e cercò di prender sonno, con non poca difficoltà.
Ripensò alle parole di sua sorella:“Come fai a vivere in quella casa, vattene via di lì,cercati un appartamento in centro. Ricomincia a vivere”
Era molto premurosa con lei la sua amata sorellina, ma Agata rispondeva sempre con un grazie e poi abbassando lo sguardo proseguiva per la sua strada. Una strada lunga e tortuosa che il destino le aveva drasticamente riservato.
Quella notte fu priva di immagini. Cadde in un sonno profondo, non fece alcun sogno, fino a che un rumore non la scosse. Si destò all’improvviso, spaventata si mise seduta sul letto con le spalle poggiate al muro, ricoperta dalle lenzuola come a formare uno scudo per combattere le sue paure. La maniglia della porta si mosse ed il suo cuore le salì fino alla gola. Nel buio della notte, una figura d’uomo si presentò dinanzi. Venne verso di lei a passo lento. L’urlo della donna non riuscì a varcare la bocca che spalancata non emise alcun suono.


Era lui. Suo marito che stava venendo verso di lei. Sicuro di se, con uno sguardo insolito. Lo stesso che teneva nei sogni. Alzò la mano sinistra e le disse:”Cercavi questo?”
Ella non rispose, le parole non riuscivano ad uscire. Con un cenno della testa annuì.
“Vai dalla veggente, lei saprà indicarti la via.” Si avvicino ancora e la svestì da quel lenzuolo, facendola rimanere coi seni al vento. Si portò a ridosso di Agata e cercò di baciarla, ma lei si ritirò paurosamente.

Non poteva essere suo marito quell’uomo scuro, dallo sguardo cattivo. Cercò di dimenarsi, ma l’uomo la bloccò e le prese i capezzoli. Con la punta delle dita glieli strinse forte fino a farle male, a torturarla. A quel punto Agata riuscì ad urlare, urlò forte a squarciagola. Uno strepito liberatorio per poi portarsi di nuovo sotto le lenzuola, nascondendosi da quel bruto.
Piangendo riabbassò lentamente il lembo sperando di non trovare nessun ospite nella sua camera. E così fu, la stanza era vuota e silenziosa, erano rimasti soltanto lei e l’eco dei suoi respiri.
La luce del giorno era ormai alta, si vestì velocemente per uscire ed andare all’ospedale. Animata voleva subito andare a verificare se Lukas fosse ancora lì disteso su quel letto.
Prese un taxi e ordinò al conducente di portarla all’ospedale, ma infilando le mani in tasca ritrovò quel biglietto con il marchio inciso. Lo guardò ancora, poi lo capovolse e…
Sul retro non si era accorta che c’era segnato un indirizzo. Non se n’era avveduta prima? Oppure il suo visitatore notturno lo aveva scritto? Cambiò itinerario, “Via della pergola 118, per favore.” L’autista svoltò secondo le direttive della sua cliente e la portò a destinazione. “Mi aspetti qui” gli disse.




Quella era la via di un sobborgo della città. Tra il numero civico antecedente e quello dopo non vi era alcun 118. Quando, alle spalle, si sentì chiamare da una voce roca. Una vecchia mendicante era seduta sul marciapiede, dietro di lei una scalinata che portava ad un sotterraneo. “Signora, faccia la carità ad una povera vecchia come me. Le predico il futuro. Lei avrà tanta fortuna e una vita serena.”
Agata si portò verso di lei, la superò e scese per quella scalinata. La porta in fondo alle scale aveva il numero che stava cercando. Un vecchio scantinato con la porta d’ingresso di legno consumato. Bussò più volte prima che una zingara dagli abiti lunghi ed il foulard in testa venisse ad aprire.
La padrona di casa non rispose al buongiorno di Agata, si voltò di spalle e seguitò verso il suo tavolo rotondo. Si sedette al suo posto e Agata le si posizionò di fronte.
Quella casa era un cumulo di cimeli, sembravano provenire da ogni parte del mondo. La pelle di orso faceva bella mostra appesa al muro alle spalle della veggente. Due grossi elefanti di ceramica erano posizionati ai lati del tavolo. Alla luce fioca, i grandi orecchini che quella donna portava spiccavano col riflesso del candelabro.
Al centro del tavolo, che aveva una tovaglia rossa tutta ricamata, vi era collocata una sfera di cristallo. La zingara pose le sue mani affusolate su di essa e chiuse gli occhi. Le sue unghia lunghe cominciarono a tremare, così come tutto il suo corpo. Agata la guardava con timore, un brivido le percorse la schiena, troppe le emozioni avute nelle ultime ore.
“Io vedo attraverso l’occhio, ti stavo aspettando Agata!”
La giovane trasalì. La zingara conosceva il suo nome, questo rendeva la situazione ancora più illogica. Quella aprì gli occhi e la fissò intensamente:”L’occhio di Osiride mi dice che lui è vivo e sta vagando nelle tenebre, ha chiesto a te di liberarlo.”
Agata scoppio a piangere e si portò le mani al volto, la sofferenza era troppa non poteva resistere ancora per molto. La zingara continuò, questa volta a voce più alta: “La Casa del Perdono e della Rinascita, è lì che avrai la risposta a tutti quei quesiti che ti tormentano!”
La giovane rimase disorientata dopo quelle affermazioni, ma sembrava proprio giunto il momento di andare, la zingara era caduta in una specie di sonno e non dava più alcun cenno.
Allorché la giovane si alzò per andare, quando all’improvviso con uno scatto fulmineo la veggente le afferrò la mano. Le unghia lunghe e smaltate di viola la tennero salda:”Lascia pure un omaggio alla mendicante qui fuori, avresti dovuto già farlo prima mia cara!” E la lasciò andare.
Agata salì subito la scalinata, frugò nella borsetta per trovare degli spiccioli, ma la vecchia mendicante non era più lì.
Scappò via, spaventata sperando vivamente di trovare almeno il suo taxi. Si era lì, tirò un sospiro di sollievo, si accomodò sui sedili posteriori e ordinò al tassista di portarla via.
“La Casa del Perdono e della Rinascita” volle subito prendere un appunto per non dimenticarlo. Tirò fuori ancora quel foglietto, l’unico che avesse in tasca in quel momento. Chiese all’autista una penna in prestito e fece per scrivere quel nome, quando notò che le iniziali del tatuaggio erano proprio le stesse.




Sconcertata e dubbiosa sul da farsi, riconsegnò la penna al legittimo proprietario e si mise a riflettere silenziosamente guardando dal finestrino scorrere la città.
Quando ad un tratto, un urlo scosse l’autista che si voltò per chiedere cosa fosse successo.
“Siiii, ci sono!” Esclamò eccitata. “Mi porti alla - Rebirth S.p.a - presto”, disse rivolta all’uomo. Il puzzle stava prendendo forma. La Rebirth che tradotto dall’inglese vuol dire rinascita, era la società con la quale Lukas aveva instaurato un rapporto d’affari. Ma cosa stava a significare tutta quella storia non le era ancora del tutto chiaro. L’auto arrestò la sua corsa davanti l’enorme palazzo con la facciata colma di vetrate ed eccolo lì, il simbolo che tormentava i suoi pensieri spiccava sulla porta d’ingresso della società.
“Aspetto qui?” Chiese l’autista sfregandosi le mani, era una giornata al quanto proficua per lui. La donna acconsentì, scese dalla macchina e levò lo sguardo ammirando quell’interminabile palazzo che saliva per ventiquattro piani. Sulla porta girevole d’ingresso era affissa l’insegna col simbolo. Entrò facendo girare le aperture , un elegante usciere la salutò cordialmente.
L’atrio immenso di granito portava anch’esso, esattamente al centro, il disegno della P e della R sovrapposte alla stella a tre punte e a quella specie di pergamena dispiegata.
Il cuore le batteva all’impazzata, era persa in quello spazio immenso, quando dalla balconata del piano superiore a vista, si sentì chiamare. Un giovane in giacca e cravatta le fece cenno di salire.
Non riuscì a vederlo bene in volto, non lo riconobbe. Fece le scale e seguitò verso il luogo dal quale l’uomo l’aveva invitata. La porta in fondo al corridoio era semiaperta, la varcò e si ritrovò all’interno di un lussuoso ufficio, ma non vi era nessuno all’interno.
Dietro la scrivania era collocata una grande scansia pieni di libri, testi antichi e moderni. Il suo sguardo fu rapito da uno di quei libri dal titolo importante: “Il Libro della Vita”

Il libro somigliava a quello che stava consultando Lukas nell’ultimo periodo. Fu proprio mentre studiava quel libro che quel giorno le promise: “Tornerò alla ribalta amore….fidati!”
Si avvicinò a quel testo antico e fece per prenderlo, era messo un po’ in alto e la sua statura non le permise di arrivarci con disinvoltura. Così, in modo impacciato, cercò di tirarlo verso il basso ma, un rumore meccanico si mise in moto azionato dal movimento del libro.
Un passaggio segreto dietro la libreria. Agata era sfinita, voleva che quella storia finisse al più presto. In un primo momento rimase perplessa, poi s’incuneò in quel passaggio angusto e buio. Una scala a chiocciola scendeva ai piani inferiori. Dopo i primi scalini, cominciò a sentire delle voci in lontananza. Un vociare di cori, una nenia cantata. Indugiò per un istante , poi proseguì. La melodia sinistra si faceva sempre più alta. Giunse al piano interrato e uno spettacolo inquietante le si presentò.
Una messa di incappucciati che ripetevano senza sosta la stessa frase all’unisono. In fondo al salone, dietro una sorta di bancone da giudice era seduto un anziano con la barba bianca che poneva, ai due collaboratori di fronte, delle domande inspiegabilmente in lingua francese.
I due sorreggevano un ragazzo e lo portavano dinanzi al banco di quello che doveva essere il Gran Maestro.
Ai due lati della stanza vi erano due spalti, zeppi di persone con indosso cappucci neri a coprire il volto, che continuavano a cantare nei momenti di silenzio del Maestro.
Quando l’anziano parlava, il coro taceva. Agata non capiva il francese, ma da ciò che si poteva dedurre, il ragazzo si stava prestando per un’iniziazione.



I due uomini che lo sorreggevano lo facevano camminare bendato, su un percorso preparato lungo il corridoio tra le due tribune. Gli ostacoli da superare erano simbolici, dei piccoli scivoli e delle risalite, costruite con delle travi. Stavano a simboleggiare le difficoltà della vita. Con le parole del Gran Maestro egli si doveva abbandonare ad occhi chiusi e superarle, giurando fedeltà alla confraternita. Se avesse rivelato a qualcuno la sua nuova dimora, la sua nuova appartenenza, le cento spade degli uomini sugli spalti lo avrebbero trafitto.
Agata voleva scappare via da quella bolgia, ma quando il ragazzo si voltò verso di lei, lo riconobbe.
Era l’infermiere che aveva portato Luke a fare un giro in carrozzella quel giorno di sole.
Lasciò quel suo stato di leggero torpore e si stropicciò gli occhi, non si era mai mossa dal capezzale di quel letto pieno di sofferenza. La giovane Agata era rimasta lì tutto il giorno, come faceva ormai da mesi. Il silenzio della stanza rompeva i timpani. La situazione di suo marito Lukas era stabile. Lo guardò negli occhi e gli diede il buongiorno, stringendogli la mano come faceva sempre, quando quel silenzio fu improvvisamente rotto da un beep.
Alzò gli occhi verso l’elettroencefalogramma che da mesi risultava inerte e con sua grande sorpresa vide una linea che si protraeva verso l’alto per poi riscendere vertiginosamente.
E’ suggestione pensò. Ma poi il disegno si ripropose ancora una volta. Strinse più forte la mano del suo uomo e questi come a risponderle, fece nuovamente sobbalzare la linea della macchina per un altro soffio di vita.
Col cuore pieno di gioia Agata pianse, le lacrime le bagnarono il volto, caddero giù stille liberatorie fino a bagnare le mani dei due che rimanevano salde.
Fino a che la donna lasciò per un attimo la mano sinistra di Lukas che miracolosamente l’aprì mostrandole il palmo candido.






















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