Pubblicato il 11/05/2014 09:38:37
Quaderni di Etnomusicologia 12: ‘Musica Celtica’ – prima parte
‘Ker Ys’ : una leggenda celtica della Cornovaglia.
Narra una nota leggenda celtica della scomparsa di ‘Lyonesse’, un tratto di terra che un tempo collegava la Cornovaglia alla Bretagna e le numerose terre che, secondo la tradizione, compongono oggi le isole Scilly. La tradizione medievale descrive un’antica terra situata oltre Land's End, la punta sudoccidentale d'Inghilterra. Chiunque, in una giornata limpida, spazi con lo sguardo verso le Isole Scilly, non avrà difficoltà a immaginare che fra queste e il continente sorgesse, in un remoto passato, un fiorente paese. Si trattava, citando il poeta inglese Lord Alfred Tennyson, della “terra perduta di Lyonesse (Lethosow) dove oggi si stende solo il burrascoso mare”. In questo luogo che sembra esistito veramente, alcuni ricercatori hanno rinvenuto sott’acqua un anello di massi di grandi dimensioni che fa pensare a una possente costruzione, forse un monumento preistorico o un castello medioevale.
Il primo accenno scritto a una terra scomparsa al largo della costa della Cornovaglia è contenuto nell'Itinerario di Guglielmo di Worcester, del XV secolo. Egli parla di “boschi, campi e numerose chiese parrocchiali, attualmente tutti sprofondati, tra il Monte e le Isole Scilly”. Ma, a questo paese sommerso, egli non assegna alcun nome, anche se alcuni studiosi collegano a questa leggenda, tramandata inoltre in famose ballate e fiabe celtiche, il ricordo di una città mitica il cui nome ‘Ys’ (pronunciato anche ‘Is’ o ‘Ker-Ys’ in bretone) è quello di una città mitica edificata sulla riva del mare nella baia di Douarnenez in Bretagna, da Gradlon re di Cornovaglia per la bellissima figlia Dahut, “la buona strega”, in grado di realizzare con l’aiuto delle ‘fate del mare’ spettacolari città dalle mura di cristallo.
Si vuole che l'isola governata da Gradlon si trovasse sotto il livello del mare e per questo motivo attorno alla città il re aveva fatto costruire un sistema di dighe che la proteggevano dai flussi dell'oceano, e come gesto d'amore nei confronti della figlia le aveva dato le chiavi che le permettevano di aprire le dighe a suo piacimento. Ma, poiché Dahut osò sfidare le leggi patriarcali rendendosi sovrana e conducendo una vita dissoluta con un giovane straniero giunto sull’isola, fu condannata dalla legge divina e da quella degli uomini a perire insieme a lui: “E il mare, ovunque dilagando, devastò completamente il territorio di Lyonesse, e molte altre vaste zone”.
Un’altra versione della stessa leggenda narra che il giovane straniero fosse quel Tristan de Lyonesse (legato alla saga arturiana) dietro il quale pare si nascondesse il demonio e che, innamorato di Dahut, una volta impossessatosi delle chiavi delle dighe della città, le aprì, permettendo all'Oceano di sommergere l'isola con tutte le sue cose. Solo re Gradlon in sella a un bianco destriero che precedeva le onde riuscì a salvarsi, raggiungendo la costa e portando con sé Dahut, ma durante il tragitto Iddio gli ordinò di gettare in mare la figlia perché posseduta dal demonio, ed egli così fece. Si vuole che proprio Dahut, per adattarsi alle acque dell'Oceano, si trasformò in una splendida sirena che con il suo dolce e ossessivo canto, riusciva a incantare i marinai. In seguito i pescatori del luogo che nelle notti di luna piena passavano vicini alla spiaggia dove un tempo sorgeva il castello di Ys vedevano una morverc'h (a mermaid), una bellissima sirena che pettinava i suoi lunghi capelli dorati cantando alle onde che avvolgevano i suoi piedi questa ballata:
“The Breton legend of Ker-Ys” (The Fortress of the Deep)”
Ocean, beautiful one of blue, embrace me, roll me on the sand I am thine, lovely Ocean blue Born upon amidst thy waves and foam was I; As a child I played with thee Ocean, magnificent Ocean, blue Ocean, beautiful one of blue, embrace me, roll me on the sand I am thine, lovely Ocean blue Ocean, arbiter of boats and men, give me thy wrecks Gold-trimmed, jewel-bedecked treasure fleets Bring handsome sailors to my gaze, To use and then return to thee Ocean, beautiful one of blue, embrace me, roll me on the sand I am thine, lovely Ocean blue.
Oceano, bellissimo blu che mi abbraccia, che mi rotola sulla sabbia Io sono tua, e tu il bell’Oceano blu Nata tra le tue onde di schiuma son io; Come un bambino che giocai con te Oceano, magnifico Oceano blu Oceano, bellissimo blu che mi abbraccia, che mi rotola sulla sabbia Io sono tua, e tu il bell’Oceano blu Oceano, arbitro di barche ed uomini che mi porti i doni dei tuoi naufragi Flotte di tesori d’oro, e di gioielli-adornate Tu che porti i bei marinai al mio sguardo fisso, Ch’io possa usare e poi ritornare a te Oceano, bellissimo blu che mi abbraccia, che mi rotola sulla sabbia Io sono tua, e tu il bell’Oceano blu.
Nel ciclo arturiano, ‘Lyonesse’ è il nome della terra d'origine dell'eroe Tristano, nipote di re Marco e amante della moglie di questi, Isotta. Poiché Marco era sovrano della Cornovaglia, Carew e un altro autore ritennero che la "terra perduta" locale e Lyonesse fossero un solo e unico luogo. I medievalisti non accettano questa ipotesi e sono dell'opinione che ‘Lyonesse’ sia la forma corrotta di un nome più antico assegnato al paese di Tristano, “Loenois”, attualmente Lothian, in Scozia. Tale collocazione concorda con il fatto che il nome Tristano apparteneva a un principe dei Pitti delle Terre Spezzate presenti sul territorio già nelI' VIII secolo. In un’altra leggenda si dice anche che nelle notti quiete le campane di ‘Ker Ys’ possono essere sentite suonare dolcemente ancora nel vento: come in questa antica canzone qui trascritta in gaelico:
Gweles-te morverc'h, pesketour O kriban en bleo melen aour Dre an heol splann, e ribl an dour? Gwelous a ris ar morverc'h venn, M'hle c'hlevis 0 kannan zoken Klemvanus tonn ha kanaouenn.
(traduzione ‘poetica’ in italiano)
Didst tu che vedi nel mare, o pescatore lei che pettinò le sue chiome d’oro come il sole che risplende dall'orlo dell'acqua? Io la vidi nel mare pallida Io ricordo d’aver udito la sua canzone nell'aria, l'angoscia del suo lamento.
Una leggenda ascritta a ‘la dame du lac’ vuole che Dahut “la buona strega” viva ancora nel suo meraviglioso castello (di cristallo) in fondo al mare aspettando il momento adatto per tornare alla luce e, quando questo avverrà, Ys sarà la più bella città mai esistita al mondo: “che non teme pari”. L'antiquario Richard Carew, nativo della Cornovaglia, fu il primo a identificare il regno svanito nel mare con l’Avalon della leggenda di Artù. L'opinione è riportata in Britannia di William Camden e nello Studio della Cornovaglia (1602), dello stesso Carew: "quando Lyonesse fu sommersa dalle acque, solo un uomo di nome Trevelyan riuscì a fuggire su un cavallo bianco". Da quel giorno sullo stemma della famiglia che porta il suo nome fu rappresentato un cavallo bianco che emerge dalle onde.
Che si parli della terra scomparsa di ‘Lyonesse’ o della magnifica città di ‘Ys’ non lo sappiamo ancora, di certo quel tratto di terra fu un tempo occupata dai Celti, un popolo dalle origini ancora sconosciute, probabilmente giunto in Bretagna attraverso il Reno o la Moldava, stabilitosi dapprima nella Gallia Cisalpina e Transalpina, là dove il nome di Galizia ricorda i Galati o i Galli; per poi giungere in Inghilterra e in Irlanda fino alle Isole Ebridi. Una crescita demografica attiva e la necessità di nuovi spazi abitativi, li spinsero a maturare uno spirito bellicoso che, unito alla notevole capacità nel forgiare i metalli, probabilmente li portò a sciamare verso il Mediterraneo e il Mar Nero, fino in Asia Minore. Un elemento basilare accomuna oggi tutti questi territori così diversi tra loro, rintracciati nelle lingue neo-latine, questo è il ‘gaelico’, una lingua che pure rientra nella grande famiglia cosiddetta ‘indo-europea’.
Gli odierni filologi pensano sia comparsa primaria tra i Balcani e il Mar Nero, poi dispersa per ragioni che sono tuttora sconosciute, formatasi su un ceppo linguistico primitivo, così come arcaica risulta essere la loro struttura sociale, diversificatasi gradualmente nel tempo, dando forma ad altri ceppi distinti, di cui, il più antico, è sicuramente attribuibile ai Pitti, un gruppo celtico che in illo tempore occupò la Scozia. Si tratta del “Popolo Dipinto” o Pitti come sono chiamati comunemente i membri di questa razza, di cui sono rintracciabili incisioni su steli di pietra, entrate a far parte del patrimonio archeologico celtico tuttora allo studio. I Pitti, in effetti, al tempo dell'arrivo dell'uomo nelle Terre Spezzate facevano parte del popolo degli Adusti, giunto dall’estremo sud e stabilitosi dapprima negli odierni territori di Meridia e poi spintosi verso nord fino ad incontrare gli Elfi. L’incontro con un popolo così arcano e potente affascinò parte degli antichi Adusti e li spinse ad una sorta di venerazione nei loro confronti. Alcuni Adusti vedevano negli Elfi degli Dei in terra, la testimonianza diretta dell’esistenza di un mondo magico e spirituale che permea quello reale: “…ecco, Amici, ecco perché i nostri Padri amarono il popolo che negli occhi ha il colore del Cielo. Essi posseggono la forza e l’onestà delle fiere, odono i sussurri degli alberi e la loro voce ha la potenza del Vento. Sono semplici, rifuggono la civiltà, e come fanciulli che ascoltano le storie degli anziani per dimenticarle non appena il sonno giunge a chiudere i loro occhi, i Pitti rimangono per sempre giovani…” (cif. Vedi Terre Spezzate in wikispaces.com). Sembra vivino ancora oggi tra le gelide nevi di Altabrina, nella profondità delle selve di Neenuvar e in una piccola comunità nei fitti boschi di Corona del Re vive un popolo, di piccola corporatura ma di grande coraggio, misterioso ed alieno agli occhi degli Uomini.
Le saghe legate alla tradizione orale ascritte all’antica religione celtica rivelano in primo luogo la venerazione delle ‘forze della natura’ trasformate in divinità dei monti, delle foreste, dei fiumi e del cielo, oltre a combinazioni mostruose di animali ed esseri viventi, inclusi quelli vegetali, che davano luogo a tutto un mondo metafisico straordinariamente variegato. Nella mitologia celtica infatti, fanno la loro apparizione divinità con tre facce, dei con le corna di cervo e un serpente ‘favoloso’ con la testa di montone, liocorni ed altri animali fantastici la cui nascita mitica è spesso raccontata in varie forme e talvolta interpretata allegoricamente e misticamente. Dello stesso parere sembra essere Marcel Proust che nelle prime pagine della “Recherche: Dalla parte di Swann”, fa dire al narratore, lui meme: “Trovo del tutto ragionevole la credenza celtica secondo la quale le anime di coloro che abbiamo perduto sono imprigionate in qualche essere inferiore, un animale, un oggetto inanimato, perdute davvero per noi fino al giorno, che per molti non arriva mai, nel quale ci troviamo a passare accanto all’albero o a entrare in posseso dell’oggetto che ne costituisce la prigione. Allora esse sussultano, ci chiamano, e non appena le abbiamo riconosciute, l’incantesimo si spezza. Liberate da noi, hanno vinto la morte, e tornano a vivere con noi”.
Non mancano in queste leggende inoltre agli ‘spiriti’ spaventati e agnostici dell’orrore, le ‘fate’ anche dette ‘madri’, le cui capacità di trasformazione messe in relazione con la più arcaica credenza della reincarnazione di cui narrano alcuni poemi orali attribuiti al poeta di lingua gallese Taliesin (534 - 599) attivo nel basso medioevo, del quale sono sopravvissuti alcuni manoscritti che probabilmente riportavano tradizioni conosciute molto tempo prima, e trascritte nel ‘Libro di Taliessin’:
Sono cambiato più volte fui salmone azzurro, poi cane poi cervo e capriolo di montagna. Fui martello nella fucina. Per un anno e mezzo fui gallo . . .
Ancora oggi si ritrovano tracce di questa credenza arcana del folklore celtico e nelle fiabe inglesi di spettri e di magie, e sempre risalta la convinzione profonda riferita all’immortalità dell’anima che trasmigra dall’agonizzante per volare nelle regioni eteree sotto l’aspetto di un uccello o di altro animale mitico dotato di ali, che ritroviamo nei molteplici reperti archeologici (ori e bronzi) di ottima fattura, tra cui si denotano affascinanti figurazioni stilizzate di figure umane (per lo più guerrieri) che rivelano una raffinatezza di esecuzione e un disegno estetico relativo a mondi immaginari, orientati a testimoniare una certa trasfigurazione della realtà. Così come in molte miniature e incisioni in oro, nei manoscritti irlandesi e britannici, nei reperti ornati delle croci celtiche e nelle steli scolpite nella pietra, e sulle lapidi tombali.
La biografia di Taliessin è quantomeno oscura e di difficile ricostruzione, oltre a ciò che è contenuto nelle sue stesse opere, sappiamo infatti molto poco riguardo alla sua vita. Molte sono le presenze del suo nome nella letteratura popolare. La tradizione, le cui fonti scritte si attestano al XVI secolo, vuole che Taliessin fosse un ‘bardo’ nelle corti di almeno tre re britannici della zona del Galles. Secondo la leggenda egli fu nominato "Capo Bardo di Britannia" ed era perciò responsabile di giudicare le competizioni di poesia tra tutti i bardi della Britannia. Il suo nome si trova come Taliessin nella raccolta ‘Idilli del re’ (Idylls of the King) del già citato Lord Alfred Tennyson e in alcune opere posteriori. Taliessin, il cui nome significa "fronte raggiante", era il figlio adottivo di Elphin che più tardi divenne re del Ceredigion, dove si vuole si trovi la sua tomba, in cima a una collina. Della quale si dice, che se un viandante riposi nelle sue vicinanze il giorno dopo si risveglierebbe o poeta o completamente pazzo. Il villaggio di Tre-Taliesin, situato ai piedi della collina sepolcrale, prese questo nome, in onore del bardo, solo nel XIX secolo.
«Su tali opere Robert Graves ha basato molto dei suoi studi sui ‘miti’ e della sua teoria storiografica. Nel romanzo fantasy "Le nebbie di Avalon" di Marion Zimmer Bradley, il bardo Taliesin viene identificato con Mago Merlino. Taliesin è anche un personaggio chiave nel romanzo fantasy mitologico “Agenzia Senzatempo: Viaggio irreale nella Britannia di Merlino e Artù”, di Dario Giansanti e Claudia Maschio (2010). Taliessin è presente inoltre fra i personaggi secondari nella saga “Il romanzo di Escalibur” di Bernard Cornwell. Inoltre Taliesin ha fatto fugaci apparizioni in alcuni numeri del fumetto italiano “Dampyr” con un ruolo non ancora del tutto chiarito: vari indizi fanno pensare che possa essere stato l'unico dampyr attivo nel passato. Anche se di rilevanza secondaria, Taliesin è uno dei personaggi della pentalogia fantastica de “Le Cronache di Prydain” di Lloyd Alexander.» (cit. wikipedya.com).
Questa ricerca prende avvio da qui, dove la leggenda si interrompe per introdurre un altro itinerario, non meno interessante, improntato sulla musica cosiddetta ‘celtica’ che raccoglie molte tradizioni di temperamento musicale: gaelica, bretone, irlandese, inglese, scozzese, tra le quali si è spesso creata una certa mescolanza attiva, operosa e dinamica. Mescolanza che ha dato luogo a una sorta di ‘rinascimento’ musicale che dal suo interno si è promulgata all’esterno, regalandoci moltissime ‘arie’ e ‘brani’ (musica strumentale e canzoni) che sono oggi di riferimento per tutta la musica nostrana, dalla ballata, alla contraddanze; dall’uso degli strumenti tipici (viella, crotta, ghironda francese ecc.) riscoperti per l’occasione, all’utilizzo degli stessi nell’orchestra e nei molteplici gruppi folk-rock e pop di formazione inglese o irlandese.
Prima fra tutti l’arpa celtica, uno strumento a corde pizzicate tese su di un insolito telaio triangolare, solitamente di legno, diverso da quelle consegnate alla storia, note nell’antico Egitto e in Assiria in quantità di fogge e con un numero variabile di corde. Presente fin dal VI secolo presso i Celti che la portavano con sé nel loro avanzamento bellico nei paesi nordici, trasformata nella tipica forma avente il lato parallelo al corpo del musicista a forma di arco teso, l’arpa divenne fonte di una diffusione musicale vastissima a tutti i ceti sociali fin dall’era pre-cristiana a tutto il medioevo, animata soprattutto dai Bardi che sostituirono l’arcaica ‘crotta’, con uno strumento a loro più consono e di più facile trasporto, l’arpa celtica, appunto.
In Irlanda, alla versione celtica è stata affiancata la versione irlandese, mentre in Bretagna essa continua la sua incontrastata esistenza. Un tempo strumento per eccellenza di una ristrettissima élite di trovieri di corte dell’aristocrazia gaelica, l’arpa veniva suonata in modo tradizionale, almeno nel folk irlandese: il ‘sean nòs’, termine gaelico che si potrebbe tradurre con ‘stile antico’ e senza l’intervento di altri strumenti storici come le ‘uillean pipes’. Specificamente come intermezzo strumentale del canto e mai da accompagnamento ad esso, lasciando spazio agli elementi vocali della poesia medievale dei ‘bardi’. Ne è un prezioso esempio la canzone del trovatore provenzale Rigaut de Berbezilh: (cit. H. I. Marrou).
Tot atressi com la clatatz del dia Apodera totas altra clartatz, Apodera , Domna, vostra beutatz E la valors el pretz e lh cortezia, Al meu semblant, totas celas del mon.
Proprio come lo splendore del giorno Supera tutti gli altri splendori, Signora, la vostra bellezza, E il valore, il pregio e la cortesia, Supera, a mio avviso, tutte le altre del mondo.
In quanto strumento mitologico e druidico in senso stretto, l' 'arpa celtica' pur mantenendo un ruolo centrale nel panorama musicale di queste specifiche regioni, rimane lo strumento che ha mantenuto un carattere magico e dunque ancestrale per eccellenza, che si è mantenuta più o meno identica dalle sue origini, custodita con orgoglio e fierezza in queste popolazioni le cui antiche origini culturali e linguistiche i Celti conservarono gelosamente all’interno delle proprie tradizioni musicali, anche dopo che, con l’incalzare degli eventi storici, persero il loro predominio espansivo in Europa, assimilandosi ai Britanni in fuga dalle terre conquistate dai Sassoni. Con ciò le popolazioni d’origine celtica mantennero quelli che erano i loro caratteri originari, ancora oggi rintracciabili in letteratura, nelle epopee cavalleresche medioevali, e nelle canzoni ‘dell’amor cortese’, nell’uso trovadorico che dalla Provenza si estese per tutto il Medioevo e invase il Nord Europa delle Corti.
Quello stesso ‘amor cortese’ che la figura del Bardo spesso legava ad eventi epici o personaggi storici, e che continua a imperversare, mistificato in ‘passione d’amore’ ancora oggi nel pop e nel rock anche se con intenti assai diversi. “Gente pittoresca i Bardi e i trovieri in genere, di sospettabile moralità – rileva Antonio Viscardi (in biblio) – ma certamente interessante per il repertorio di canti, di novelle e più ancora di fatti e avvenimenti visti e riportati nella tradizione orale. Non v’è alcun dubbio che l’arrivo di uno di costoro in un isolato maniero medievale, chiuso e impenetrabile alla vita esterna, doveva costituire un qualche avvenimento di estremo interesse”. Allo stesso modo Costanzo Di Girolamo (in biblio)– li qualifica in quanto “rappresentanti, in qualche modo dell’invenzione della lirica moderna. Ma questa tradizione capitale per la civiltà letteraria occidentale resta ancora curiosamente remota a noi per ragioni varie e complesse: quanto comunemente si scrive o si è scritto sui trovatori sembra destinato a ricadere, inevitabilmente, negli opposti generi critici dello ‘specialismo’ più esasperato da un lato e della mera divulgazione dall’altro”.
Di straordinaria bellezza compositiva e grande intensità la poesia e il canto all’uso dei Bardi, in quanto possedeva forme complesse e sofisticate quanto quelle della musica strumentale. Nelle sue forme più alte ed ’esoteriche’ l’estrema difficoltà di eseguire oggi una tale ‘concezione’ d’intrattenimento che è quasi inaccessibile oggi sia agli interpreti che agli utenti ma che pure è una delle sue caratteristiche più rilevanti, che rende l’agglomerato musicale cosiddetto ‘celtico’ straordinariamente fruibile. Non è un caso che almeno due generazioni si sono sottoposte alla costante presenza sulla scena musicale di gruppi e composti strumentali (dall’antico medievale al moderno pop) che hanno segnato gli anni della ‘rivoluzione’ (e riscoperta) del folklore europeo e celtico in particolare.
Un’altra caratteristica, alquanto comune, è quella dell’anonimato di tanta musica o riconducibile (per assonanza) alla tradizione etnica o al folklore popolare. Ciò è riconducibile al rivestire da parte dell’esecutore, un ruolo del tutto secondario rispetto alla musica e alla qualità della performance che prevede, in abbondanza, ornamenti e variazioni sul tema, tipico dell’improvvisazione e del virtuosismo, nonché dall’efficacia e dall’immaginazione esecutiva. E in questo senso, particolarissimo ma estremamente significativo, si comprende come non esistano steccati di sorta fra ‘traditional’ e ‘jazz’, ‘etno’ e ‘tribal’, ‘folk’ e ‘pop’ nella contaminazione costante della cultura musicale contemporanea.
Molti sono gli esecutori di strumenti tipici inglesi e irlandesi nonché bretoni saliti alla fama internazionale, che rimando alla cospicua discografia in fondo all’articolo. Le ‘uillean pipes’ irlandesi fanno parte della vasta famiglia delle cornamuse di origine contadina; si dice che siano arrivate in Irlanda agli inizi del XVIII secolo e che siano state plasmate nella forma attuale verso il 1890. Hanno un temperamento alquanto nevrile (nevrotico) e sono estremamente difficili da domare, tanto che per loro è stato creato un proverbio: ‘tre volte sette è il tempo giusto per le ‘uillean pipes’: sette anni di esecuzione”. La loro popolarità si estende dalla Bretagna (binious), all’Inghilterra (horn-pipe), nonché alla Scozia dove, col nome di ‘bag-pipe’ è diventata lo strumento tipico per eccellenza. Si dice che riesca a suscitare sentimenti contrastanti, per cui certe persone la amano ed altre letteralmente la detestano. Tuttavia, con piccole differenze particolari, è presente in molte regioni dell’Europa centrale dove è in uso nelle zone montuose e collinari durante le festività religiose, come pure nei matrimoni e solo raramente nei funerali.
Il ‘bodhràn’ e uno strumento a percussione riportato in auge dal grande innovatore Sean O’Riada agli inizi degli anni Sessanta; si tratta di un tamburo a cornice di foggia circolare, generalmente fatto di pelle di capra, che la leggenda tradizionalmente associa ai ‘wren boys’, cioè a ragazzi , solitamente mascherati, che suonavano e, ancor oggi suonano, per le strade durante il Wren’s Day datato al 26 Dicembre, il giorno detto ‘dello scricciolo’, animale totem dei Druidi. Tra i flauti in legno, generalmente a-becco e molto semplici nella loro tipologia, troviamo la ‘bombarda’ simile a una trombetta dal suono caratteristico, per lo più usata in combinazione con la cornamusa, alla quale si propone come una sorta di controcanto di tipo confidenziale. I ‘tin whistle’ invece, appartengono ali ‘zufoli’, , e sono di metallo e forniscono accenti acuti e striduli e raramente assurgono al rango di strumenti solisti.
Altri strumenti sono l’’accordion’ e la ‘concertina’, entrambi appartenenti alla grande famiglia delle fisarmoniche, sempre più utilizzate nel fare musica quotidiana come ad esempio nell’accompagnare e intonare canzoni a ballo. Ecco infine il ‘fiddle’ il violino folk, molto popolare e suonato in ogni parte, soprattutto in Irlanda. Nel suo caso i puristi individuano due stili essenziali, entrambi associati ad altrettante regioni irlandesi: il primo è il cosiddetto ‘Donegal style’, molto melodico e lineare; il secondo detto ‘Sligo style’, assai più elaborato e scintillante. Entrambi eccellenti, in ogni caso, per esaltare le linee melodiche della ‘dance music’ più tradizionale e coinvolgente. A proposito della musica-a-ballo (dance music) da non confondere con la disco music, sarà forse interessante sapere che un’indagine condotta nel 1985 ha stimato in almeno seimila i temi del patrimonio tradizionale irlandese, con l’aggiunta di centinaia e centinaia di variazioni. E che la loro stragrande maggioranza è composta da ‘jigs’ e ‘reels’, le figurazioni più classiche della musica da ballo irlandese, mentre tutto il resto è è appannaggio delle logiche differenze dovute agli stili regionali, alle modalità di apprendimento, al background culturale o al semplice gusto soggettivo. Come ad esempio nelle ‘hornpipes’ e le ‘highlands’ dove nelle figurazioni l’afflato scozzese è più che evidente.
Tuttavia il ballo rappresenta un momento di aggregazione, inteso come forma del comunicare e perpetuare le antiche tradizioni, per trasmettere il culto delle deità agrarie celtiche e solstiziali di stampo druidico. Si conoscono solo alcune delle danze più antiche, tra le quali spicca: Bro Gwened (paese di Vannes), rappresentato da due danze principali: ‘An Dro’ e ‘Laridé’ a tempo variabile. Più nota è la ‘Gavotte de montagnes’ costruita su tre temi: a una prima aria di danza, segue un tempo lento o di riposo, per concludersi con un’aria più vivace; diversa a seconda del paese dove viene eseguita. Nella più austera regione del Bro Leon che si estende da Morlaix all’estrema punta della Bretagna, si danza la ‘Dance Leon’ a sottolineare la sua tipicità, ma di cui si conoscono appena alcuni passi su cui la danza si basava in origine. Indubbiamente più famosa la ‘Gavotta’ è in uso in ogni contrada dalla Bretagna all’Irlanda, alle Ebridi. Notevole in questa danza è l’uso della strumentazione, espressione della collettività in cui molti dei partecipanti si accompagnano come possono con tamburelli e altri sonagli.
L’amore per la terra natia , i sentimenti antichi, la certezza che le rocce e le montagne e i fiumi, sono abitati da spiriti e folletti, da fate e gnomi che non sono semplici spettri, ma autentici esseri in tre dimensioni, sono in questi paesi gli ingredienti fondamentali di una qualunque ballata che talvolta s’accompagna alla danza. Sarà forse per questo che a proposito dell’Irlanda è stato coniato il nickname di ‘isola dei canti’ e anche ‘l’isola di smeraldo’ per l’intensità dei colori del suo mare, lo splendore del dei suoi cieli, il senso di solitudine che attanaglia, il canto del vento, delle nuvole che corrono velocissime, che sembrano fuggire al suono di una ‘giga’ (‘jigs’ e ‘reels’) o il canto delle sirene che invece vorrebbero trattenerle.
La storia relativa al suono di quasi tutti i popoli è imperniata sul dualismo musica popolare - musica colta. Stranamente la musica riguardante questi paesi tendono a sfuggire a questa legge. Di fatto nella realtà arcaica celtica esisteva una precisa situazione musicale imperniata sul principio delle caste, successivamente, con l’estendersi del nazionalismo, le forme gentilizie più austere del culto, imperniate sulla tradizione antica, vennero assimilate alla forma della ballata trovadorica e più tardi a quella di transizione popolare. Cioè allentarono un poco la pesantezza del rito cortigiano e assunsero un uso più consono alla quotidianità, lentamente dalla realtà tristemente racchiusa del castello feudale, e si adeguò all’esterno delle piccole città urbanizzate.
Tant’è vero che con la sua dinamica intrinseca, i suoi imprevedibili salti di registro, la particolare intonazione della voce del ‘singing’ melodico permise di liberare lo ‘spirito’ del canto nella lingua madre delle singole aree di contaminazione come nelle Gaeltacht, le aree di resistenza gaelica, dove si canta appunto in questa lingua; e, differentemente, nella lingua inglese, basato sulla tradizionale forma della ‘ballad’, con la sua prodigiosa capacità di assorbire anche le più arcaiche influenze irlandesi, in modo da creare una sorta di fascinoso ibrido fra ‘stile’ irlandese e ‘radici’ inglesi. Tutto questo ha anche molto a che vedere con l’eterna migrazione irlandese in ogni angolo del mondo; con la perdita della memoria e dei legami da parte di quanti sono partiti, e con l’oblio delle tradizioni più antiche di cui immancabilmente si perdono le radici.
“Io faccio parte di una minoranza culturale che cerca di avvicinarsi alle proprie radici, con molta fatica” – spiegava alcuni anni fa Alan Stivell mettendo così in evidenza le sue intenzioni di artista e di intellettuale, ed è in questa semplicità e in questa chiarezza d’intenti che vanno ricercate le origini del revival della musica celtica, un fenomeno articolato e complesso che, partendo dalla Bretagna, dall’Irlanda e dalla Scozia ha interessato i pubblici di tutto il mondo. Non a caso i concerti, i festival, le occasioni per fare musica insieme, si sono moltiplicati con una vitalità che ha pochi precedenti nella storia della musica popolare. Queste le coordinate di questo rapido viaggio attraverso la musica celtica, a cui farà seguito una seconda parte imperniata su ‘l’eco della musica celtica nella musica contemporanea’ con i Chieftains, Dubliners, Stivell, Clannad, Fairport Convention, Lyonesse, Malicorne, Battlefield Band, Enya, Caroline Lavelle ed altri, moltissimi altri a testimonianza di una ‘differenza celtica’ che continua ad accendere passioni.
Note:
Molto del testo qui utilizzato è ripreso dalla trasmissione radiofonica “Folk Concerto” andato in onda su RAI 3 a cura di Giorgio Mancinelli per la regia di Pierluigi Tabasso. E in “Itinerari Folkloristici” con Pietro Bianchi (Lyonesse) andato in onda su RSI Radio della Svizzera Italiana.
Bibliografia di riferimento:
“The New Oxford History of Music” a cura di Gerald Abraham – Oxfod University Press / His Master’s Voice – 1960 Catalogo Mostra “I Celti” – Venezia Palazzo Grassi – Bompiani 1991 “I Celti”, Jean Markale,– Rusconi 1980 “Il mistero dei Celti”, Gerhard Herm – Garzanti 1975 “La religione dei Celti”, Margarete Riemschneider – Società Editrice Il Falco “La poesia dell’antica Provenza” a cura di G. E. Sansone – Biblioteca della Fenice – Guanda 1984 “I Trovatori”, H. I. Marrou – Jaca Book 1983 “I Trovatori”, Costanzo Di Girolamo – Bollati Boringhieri 1989 “Musica Celtica”, AA.VV., Savelli Editore 1980 “Scritture e scrittori dei sec. VII -X”, A. Viscardi – G. Vidosi – Einaudi 1977 “Antiche storie e fiabe irlandesi”, a cura di Melita Cataldi – Einaudi 1985 “Fiabe popolari inglesi”, Katharine Briggs – Einaudi 1984 “Fiabe irlandesi”, W. B. Yeats – Einaudi 1981 “Fiabe inglesi di spettri e magie”, a cura di Lorenzo Carrara – Arcana 1991 “Fiabe celtiche”, a cura di L. Carrara – Arcana 1993 “Elfi e streghe di Scozia”, a cura di L. Carrara – Arcana 1989 “Leggende della Bretagna misteriosa”, a cura di Gwenc’hlan Le Scouezec – Arcana 1986 “Fate e spiriti d’Irlanda”, a cura di Henry Glassie - Arcana 1987
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