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Honolulu e altri racconti

Racconti

W. Somerset Maugham
Adelphi

Recensione di Giuliano Brenna
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Pubblicato il 12/08/2011 12:00:00

Quale miglior lettura per il periodo delle vacanze, se non quella che ci porta in paesi lontanissimi, resi ancor più distanti da un secolo in cui i cambiamenti sono stati tanto evidenti quanto radicali? Ed è li che ci conduce la spensierata penna di Somerset Maugham nel corso di questa raccolta di racconti che sembrano altrettanti film dall’ambientazione esotica, degli avamposti dell’impero britannico qualche decennio prima di cominciare a scricchiolare sino a sfaldarsi completamente. Lungo i nove racconti vedremo compassati sudditi della corte di san Giorgio vivere ai tropici, lungo fiumi melmosi, e in mezzo a foreste inestricabili con gli stessi ritmi e le stesse abitudini della madre patria. D’altronde molti inglesi vivono anche in Italia con lo stesso spirito, ovvero il ritrovarsi tra selvaggi e dover decisamente affermare la propria civiltà e supremazia, fatta di compassate cene, partite a carte ed incontri di tennis, sempre indossando l’abito giusto, senza dimenticare le classiche formalità verbali e comportamentali che si potrebbero ammirare al Royal Automobile Club di Londra ma che ai tropici sembrano un po’ forzate. Quindi, l’ambientazione è quella dei tropici dei primi del secolo, terra di conquista ma anche di conservazione del potere, i personaggi dei compassati inglesi nostalgici della Patria, dove temono di tornare per paura dei cambiamenti avvenuti durante la loro assenza, gli argomenti sono quelli da classico romanzo da appendice, o da feuilleton, l’incesto, il delitto, la gelosia, lo spirito cameratesco, affari che vanno a rotoli o fioriscono secondo le richieste di caucciù. Ogni racconto, come dicevo, è simile ad un piccolo film, le descrizioni di Maugham permettono al lettore di ricostruire con precisione le ambientazioni e i tratti, fisici e psicologici, dei vari personaggi; la narrazione, data la brevità, è incalzante, densa di avvenimenti, posti in fine simmetria con i tratti dell’animo umano e le forzature della lontananza da casa, in un luogo di difficile assimilazione per lo spirito anglosassone. I racconti tendono leggermente alla dimensione del “giallo”, i delitti, spesso irrisolti, si susseguono, favorevolmente alimentati dalle passioni del cuore e dalle gelosia che inevitabilmente questi portano con sé. Il tutto è narrato con piglio deciso e sicuro, il linguaggio è semplice ed immediato, complice l’ottima traduzione di Vanni Bianconi. La lettura è delle più rilassanti, molto adatta ad un periodo di relax, quando adagiati su di un balcone di città ci si può immaginare sulle rive del Mekong, con un cappello coloniale a tentare di risolvere i misteri di una società formata dagli indigeni e dagli inglesi, ovvero da due aspetti dell’umanità che più dissimili non potrebbero essere. Tuttavia l’involontario razzismo culturale di Maugham fa si che i racconti siano prevalentemente imperniati sui bianchi, trattando i personaggi locali come una cornice di servitori, contadini e pescatori, senza cattiveria o sarcasmo, ma con quel pizzico di esclusione che doveva essere uno dei tratti dominanti dei coloni britannici. Essendo stato l’autore uno di loro porta con sé questi tratti, ma lo perdoniamo facilmente per la bellezza dei racconti, l’originalità delle trame e la precisa ricostruzione degli ambienti.



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