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Una clessidra di grazia

Poesia

Meth Sambiase
Rupe Mutevole Edizioni

Recensione di Roberto Maggiani
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Pubblicato il 18/10/2011 12:00:00

Meth Sembiase, in Una clessidra di grazia, consegna alla nostra lettura una poesia dello sguardo, fatta di quasi mappe concettuali sviluppate in versi rapidi e sciolti. Essa proviene da occhi puntati sulla realtà definita dal presente e su quella ancora in definizione, quest’ultima spiegata dalla veggenza del poeta, capace di riportare sulla carta un futuro ancora in elaborazione in qualche altrove spaziotemporale, che, avverrà o meno in questo universo, è il futuro certo che il poeta vede e spera, o dispera, spolverandolo dalla soffitta dell’inesistenza come fosse un passato ribelle mai visto e scelto a rappresentanza di un presente già passato per vie traverse.

 

Marea

 

Incustodisce la forma,

di ogni pezzo di me ne ha fatto misura,

e liquida scorre, infinita

come la libertà assoluta

che assale i sogni delle notti,

come la lanula di una pozzanghera imperfetta,

di calce grezza e pioggia.

[…]

 

Le poesie, pur avendo una loro musicalità, non hanno una forma metrica ben definita, sembra che la poetessa le abbia imperniate più sul contenuto del discorso che non sulla reale cadenza tipica della scrittura poetica, fatta di soluzioni talvolta veloci nella chiusura di un concetto catturato ed espresso. Alcune poesie, addirittura, sarebbero scomponibili in poesie distinte e aventi una propria autonoma robustezza. La silloge però ben funziona, è godibile, anche se talvolta ci si impasta nel troppo detto e nell’uso prolungato di aggettivi o di parole legate al dire comune. È evidentemente una scrittura in evoluzione, e questo è un grande merito e un dono per noi lettori; spero che la nostra autrice continui a lavorare con serietà, come si evince da questa lettura, e deciso rigore sulla propria scrittura e nel confronto con gli autori a lei contemporanei. In tal modo sono certo che saprà donarci altre perle poetiche come alcune presenti in questa raccolta.

Ecco una poesia:

 

Un battito solitario

 

Al conteggio dei passi

- il dismesso arpeggio

di tacchi bassi -

chiacchiero spesso

con i miei pensieri,

in una monotonia rugginosa

che attira silenzi sparsi.

Nessuna strada

porta fretta ai miei piedi

neri,

ai crocevia

mi raggiungono i mendicanti,

comprerò i loro fiori

- forse solo uno -

da lasciar seccare

nel piccolo vaso del salotto

aspettando

lo sbocciare improvviso

di una faccia,

una qualsiasi,

con cui perdere chiavi,

cani e ascensori e vergogna,

arrampicandomi

sull’ultimo scampolo vitale,

un battito solitario

nel tempo vuoto.



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